Silvio
Berlusconi, ottenuta l’agibilità politica è tornato in campo. Non è dato sapere
quali siano le ragioni che hanno indotto il Tribunale di sorveglianza di Milano
di infliggergli un servizio sociale di 4 ore la settimana, in tutto, con gli
sconti di pena, meno di 200 ore. Un sospetto si fa strada, però, e riguarda le
conseguenze di una compagna elettorale senza l’ex-cavaliere: i contendenti
sarebbero stati solo due, Renzi e Grillo.
Se facciamo
un passo indietro e guardiamo alle elezioni del sindaco di Parma (2012),
possiamo osservare che il ballottaggio ha avuto luogo tra un vecchio e incolore
quadro excomunista come il presidente della provincia Vincenzo Bernazzoli, al
primo turno vicino al 40%, e il giovane outsider grillino Federico Pizzarotti, con
il 20% circa. Nel testa a testa, tutto l’elettorato di centro-destra privo di
candidato e ostile a ciò che rappresentava l’uomo del Pd, riversò i suoi voti
proprio su Pizzarotti conducendolo all’insperata vittoria.
Un’elezione
europea celebrata senza Berlusconi avrebbe fatalmente visto una quota
importante del suo elettorato riversarsi sulle liste del Movimento a 5 Stelle,
consegnandogli non solo il monopolio dell’opposizione, ma percentuali
inimmaginabili.
Quindi, una
pena mite, mitissima ha restituito l’uomo di Arcore alla campagna elettorale,
mettendo in discussione il previsto secondo posto di Grillo. È vero che il
comico ci sta mettendo del suo per scendere nei gradimenti degli italiani: in
una competizione con il voto di preferenza, le sue liste di sconosciuti
collegate alle parole d’ordine eccessivamente radicali, spesso sbagliate o
controproducenti hanno serie possibilità di anticipare il flop che, a medio termine, è lecito
pronosticare per un movimento antisistema, xenofobo e razzista come il suo.
Renzi, per
ora, veleggia col vento del consenso popolare in poppa. I suoi avversari
interni ed esterni acquisiscono la patente di conservatori antiriformisti, di
difensori del vecchio sistema e dei vecchi leader, insomma perdono qualsiasi appeal.
Rimangono,
grandi come macigni, i problemi che ci portiamo dietro da vent’anni. Per
risolverli occorre definire con certezza il ruolo che il ceto medio deve
rivestire nell’Italia della ripresa e della ricostruzione. È il ceto medio, che
s’è diviso tra destra centro e sinistra, che esprime il maggior tasso di
simpatia (non corrisposta) verso l’exsindaco di Firenze.
Subito dopo
il 25 maggio 2014, giorno delle elezioni europee, la luna di miele tra Renzi e
gli italiani cesserà e anche i suoi rinvii e i suoi errori verranno al pettine.
Primo fra
tutti, l’ulteriore aggravio del carico fiscale che colpisce proprio il ceto
medio. E, subito dopo, l’attacco (renziano) alla burocrazia: i numeri di quella
italiana sono minori della Gran Bretagna e della Francia, ma in linea con la
Germania. Quello che non è in linea è il prodotto,
cioè il contributo al Pil: mentre nei paesi citati la macchina pubblica è un
serio supporto all’economia nazionale, in Italia è il maggiore freno, il costo
senza ritorni che tutti siamo costretti a pagare. Mettere questa macchina in
moto è in compito improbo, ma non rinviabile: certo non sarà la Madia ad
affrontarlo.
La
ricreazione e le indulgenze termineranno d’improvviso e l’exboy-scout fiorentino sarà costretto a
ricorrere a tutte le sue qualità politiche per continuare. Sì, per continuare.
Nulla è più
caduco dell’improvviso successo non confortato da veri, misurabili, immediati
risultati.
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