9 apr 2014

"asini e i secchioni" di Domenico Cacopardo



ASINI E SECCHIONI
Si dice che il Signore accechi chi vuol perdere. E che prima o dopo gli errori si paghino. Quelli che sta inanellando il più celebrato premier d’Italia dal 1945 a oggi fanno temere che il conto gli sarà presentato piuttosto presto, investendo in pieno l’azione di governo.
Nonostante ogni buona disposizione verso lo svecchiatore del sistema che ha trasformato in reperti archeologici gran parte dei dirigenti del Pd in carica prima del dicembre 2013, i segnali quotidiani che si susseguono mostrano una inattesa pervicacia sulla via delle scelte che hanno l’inconfondibile crisma della sciocchezza.
Parliamo di palazzo Chigi, cuore e cervello del sistema di governo dell’Italia.
Nella posizione più delicata, quella di sottosegretario e segretario del consiglio dei ministri vediamo Graziano Del Rio endocrinologo, già sindaco di Reggio Emilia. Avrà tutto il fiuto politico possibile, Del Rio, ma non può avere la conoscenza della macchina dello Stato (ben diversa dalla macchinetta reggiana) necessaria per definire i contenuti tecnico-giuridici dei vari provvedimenti di riforma annunciati.
Direte: però si sarà messo vicino dei collaboratori di serie A.
Infatti: il segretario generale delle presidenza del consiglio è l’ex-city-manager di Reggio Emilia. A naso, sembra che prevalgano la familiarità e l’amicizia, sulla competenza e il prestigio. Immaginate questo segretario generale di fronte al capo di gabinetto di Pier Carlo Padoan, Roberto Garofoli, giovane consigliere di Stato di livello A1, un fuoriclasse: quale autorevolezza potrà mai esprimere, quale interpretazione giuridica, quale richiamo giurisprudenziale potrà mai richiamare per convincere Garofoli delle sue tesi, magari collaudate nelle discussioni con l’assessorato alla famiglia di Reggio Emilia.
Il caso fa comprendere come il rifiuto generalizzato dell’apporto dei consiglieri di Stato, l’unico corpo italiano paragonabile agli allievi della francese Ena, è una specie di rivolta dei rimandati a ottobre nei confronti dei promossi, degli asini rispetto ai secchioni, dei geometri (con tutto il rispetto) nei confronti degli ingegneri.
Ora, un osservatore attento, ma pratico del mestiere, si sarà detto: “Vediamo l’ufficio legislativo, la fucina in cui si forgiano le leggi dello Stato”.
Ecco invece che i giornali di ieri raccontano che il prossimo capo sarà Antonella Manzione, già capo della Polizia municipale di Firenze. Con tutto il rispetto, una follia.
L’avessero nominata numero due, in modo da impratichirla, da farle conoscere ambiente e regole, persone e gerarchie (tecnico-scientifiche)? Invece no, numero uno.
Scorrono nella mente i volti dei suoi predecessori, da Patroni Griffi a Nino Freni ad Alfonso Quaranta (poi presidente della Corte costituzionale), e viene da ridere.
Anche perché, accanto a questa squadra di sconosciuti burocrati di paese è schierata una squadra di ministri neofiti, che non hanno idea dei loro compiti e delle loro responsabilità.
La Mogherini, per esempio, che immagina di ridimensionare le retribuzioni degli ambasciatori (sempre gli asini contro i secchioni), senza avere approfondito ruoli, competenze, responsabilità. Senza avere accertato quanti dipendenti (più o meno legati al sindacato) si muovono per il mondo in costose missioni, senza, alcuni, nemmeno conoscere l’inglese?
Come fa a sentenziare che gli ambasciatori guadagnano troppo se non ha cercato di capire quali e quanti siano i punti di spreco nel suo dicastero?

Per carità, di questo passo, l’imperativo diviene categorico:cerchiamoci un ennesimo premier meno provinciale e supponente dell’attuale. Ne avremo bisogno presto.

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