Dei diritti e delle pene di paolo Speciale
Quando una sentenza è definitiva e
quindi, come si suole dire, “passa in giudicato”, dovrebbe solo constatarsi la
sua esecutività e riservare ad essa ed a chi l'ha pronunciata ogni dovuta
deferenza, che si concretizza, formalmente ma anche sostanzialmente, con la non
sottrazione da parte dell'imputato alla “inflictio”.
Definisco illegittima qualsiasi pretesa
- specie se supportata dall'uso improprio di pubbliche facoltà istituzionali -
di totale astensione da libera manifestazione di pensiero, tranne quando ciò
non comporti vilipendio.
Quando l'esercizio di un potere - come
quello giudiziario - comincia a perdere i pezzi della propria componente
genetica fondante, cioè quella del mero servizio alla collettività senza di
essa cercare impropri consensi che invece appartengono alla politica, giunge il
momento in cui chi ne abbia la responsabilità – il Parlamento - è tenuto ad attivare
ogni procedura prevista per la tutela del “diritto”: cosa è esso infatti se non
il reciproco rispetto delle funzioni e del ruolo di ciascuno?
La nostra è una democrazia matura, che
non può permettersi di confondere il rispetto delle istituzioni con il
sopraggiunto vero e proprio culto fondamentalista delle stesse, creando così –
come giustamente Piero Ostellino scrive oggi sul Corriere della Sera - altre
caste che nascono dalle ceneri di altre.

Concludo: non posso che esprimere tutta la mia allarmata perplessità
dinanzi ad un inaccettabile baratto consistente nella imposizione del silenzio
assoluto ad un condannato in cambio del mantenimento a valere su di esso del beneficio
di espiare la pena con modalità diverse dalla detenzione.
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