Il più
potente dei bracci destri di Silvio Berlusconi, il più intelligente, il più
vicino, Marcello Dell’Utri viene catturato a Beirut come uno sprovveduto
dilettante. Un telefono consente agli inquirenti italiani di localizzarlo. Non
è difficile trovare il luogo in cui si nasconde (per modo di dire): uno degli
hotel più belli della città, cinque stelle, nei quali s’è registrato con il suo
nome e cognome, con un normalissimo passaporto italiano.
Questo modo
di fuggire e nascondersi fa venire in mente “I soliti ignoti” di Monicelli e
l’attore Carlo Pisacane, che interpreta il personaggio di Capannelle, l’attempato componente della
banda che, alla fine, si contenta di un piatto di minestra.
A dire il
vero, già da qualche giorno la stampa nazionale scriveva che il latitante, in
attesa della decisione della Corte di cassazione, s’era rifugiato proprio a
Beirut.
La polizia
libanese, allertata da quella italiana, lo cattura facilmente e lo conduce alla
Centrale, dove è trattenuto in quella che lui stesso definisce una foresteria.
Sulle
prossime mosse dei fantastici Gmen italiani
e del governo libanese, i telegiornali formulano le più approfondite ipotesi,
intervistando esperti di diritto internazionale, dalle opinioni, ovviamente,
divergenti.
Domenica
sera, per esempio, un serioso professore spiegava che il trattato vigente tra
Italia e Libano prevede l’estradizione in caso di mandato di cattura per reati
che siano contemplati anche dalla legge libanese.
Un altro
aggiungeva che anche in quel paese vige il reato di associazione a delinquere,
anche se altrimenti denominato.
Quindi, l’estradizione sarebbe sicura.
La realtà è
ben diversa.
La Corte d
‘Appello di Palermo ha adottato la misura cautelare per un reato,
l’associazione a delinquere di stampo mafioso, che non esiste in altri
ordinamenti nazionali. La condanna di primo e secondo grado di Dell’Utri è
motivata dal concorso esterno, ignoto alle altre nazioni, anche perché risultato
di una elaborazione giurisprudenziale.
Abbiamo
scritto che per l’estradizione, il reato deve essere contemplato in entrambi
gli ordinamenti.
Per
l’ospite della Centrale di polizia di Beirut non è così.
Quindi, pensare a Capannelle è del tutto improprio. Le possibilità che il latitante-catturato sia estradato in Italia sono limitate. Andandosene a Beirut, via Tel Aviv, Marcello Dell’Utri ha scelto una via abbastanza sicura e, probabilmente, studiata adeguatamente nei mesi scorsi. Ed è possibile che l’appoggio di Putin presso Gemayel (fatto trapelare dalle solite fonti bene informate) ci sia effettivamente.
Quindi, pensare a Capannelle è del tutto improprio. Le possibilità che il latitante-catturato sia estradato in Italia sono limitate. Andandosene a Beirut, via Tel Aviv, Marcello Dell’Utri ha scelto una via abbastanza sicura e, probabilmente, studiata adeguatamente nei mesi scorsi. Ed è possibile che l’appoggio di Putin presso Gemayel (fatto trapelare dalle solite fonti bene informate) ci sia effettivamente.
Resta solo
una domanda: perché i media lasciano intendere che l’estradizione è (quasi)
cosa fatta, quando, riflettendo, si capisce che ci saranno dei problemi e che il
nostro uomo è meno fesso di quanto si voglia far pensare? E non potrebbe essere
altrimenti, visto che il Tribunale e la Corte d’appello di Palermo l’hanno
ritenuto l’uomo di collegamento tra la mafia e Berlusconi.
La risposta
è semplice: strategia comunicativa, in modo che se e quando Beirut dirà di no,
l’opinione pubblica se la prenderà con i libanesi invece che con chi doveva
prevenire e vigilare e non ha prevenuto e vigilato.
Più che
giusto e brillante l’esame del cugino Domenico. Un articolo che mi permette di
aggiungere quanto importante sia la forza di tali strategie comunicative.. e quanto ancora più rilevante sia trovarne i veri responsabili.
La fuga in
Libano (sicuramente studiata ad arte) si sarebbe potuta prevedere. Con astuzia,
Dell’Utri, ha messo in evidenza la sua scomparsa attraverso facili riscontri,
lo ha fatto volutamente in modo da far credere di non aver nulla da temere,
dichiarando dapprima personali problemi
di salute, salvo dopo asserire di trovarsi in Libano per una campagna
elettorale in favore di un suo amico politico. Nessuno oggi potrebbe incolparlo
di essere davvero fuggito al destino di un provvedimento della giustizia, non
essendosi nascosto.
Qualunque
sia stata la circostanza..quella dell’amico del Cavaliere.. è sicuramente una
fuga da un Paese che ancora ritiene un reato come quello del "concorso esterno" poco chiaro e molto discutibile.
Sarebbe opportuno riscontrare in questo reato una
seria colpevolezza: o si è manifestamente aderenti al sistema mafioso o no! Quel
“concorrere” potrebbe identificarsi in una compartecipazione spesso fumosa sulla
quale..chiunque.. può rimestarvi attraverso inganni.. persino di comodo.
Con ciò non
mi permetto, avendo scarsa conoscenza degli atti che riguardano il processo a Dell’Utri,
di coniugare alcun attestato di innocenza o colpevolezza, ma solo di porre luce
su un reato che lascia ancora aperti parecchi dubbi, oltre che in tante altre Nazioni, persino
nell’ambito della nostra giurisprudenza.
vincenzo cacopardo
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