15 apr 2014

Una chiosa al nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul caso Dell'Utri

di domenico Cacopardo

Il più potente dei bracci destri di Silvio Berlusconi, il più intelligente, il più vicino, Marcello Dell’Utri viene catturato a Beirut come uno sprovveduto dilettante. Un telefono consente agli inquirenti italiani di localizzarlo. Non è difficile trovare il luogo in cui si nasconde (per modo di dire): uno degli hotel più belli della città, cinque stelle, nei quali s’è registrato con il suo nome e cognome, con un normalissimo passaporto italiano.
Questo modo di fuggire e nascondersi fa venire in mente “I soliti ignoti” di Monicelli e l’attore Carlo Pisacane, che interpreta il personaggio di Capannelle, l’attempato componente della banda che, alla fine, si contenta di un piatto di minestra.
A dire il vero, già da qualche giorno la stampa nazionale scriveva che il latitante, in attesa della decisione della Corte di cassazione, s’era rifugiato proprio a Beirut.
La polizia libanese, allertata da quella italiana, lo cattura facilmente e lo conduce alla Centrale, dove è trattenuto in quella che lui stesso definisce una foresteria.
Sulle prossime mosse dei fantastici Gmen italiani e del governo libanese, i telegiornali formulano le più approfondite ipotesi, intervistando esperti di diritto internazionale, dalle opinioni, ovviamente, divergenti.
Domenica sera, per esempio, un serioso professore spiegava che il trattato vigente tra Italia e Libano prevede l’estradizione in caso di mandato di cattura per reati che siano contemplati anche dalla legge libanese.
Un altro aggiungeva che anche in quel paese vige il reato di associazione a delinquere, anche se altrimenti denominato. Quindi, l’estradizione sarebbe sicura.
La realtà è ben diversa.
La Corte d ‘Appello di Palermo ha adottato la misura cautelare per un reato, l’associazione a delinquere di stampo mafioso, che non esiste in altri ordinamenti nazionali. La condanna di primo e secondo grado di Dell’Utri è motivata dal concorso esterno, ignoto alle altre nazioni, anche perché risultato di una elaborazione giurisprudenziale.
Abbiamo scritto che per l’estradizione, il reato deve essere contemplato in entrambi gli ordinamenti.
Per l’ospite della Centrale di polizia di Beirut non è così.
Quindi, pensare a Capannelle è del tutto improprio. Le possibilità che il latitante-catturato sia estradato in Italia sono limitate. Andandosene a Beirut, via Tel Aviv, Marcello Dell’Utri ha scelto una via abbastanza sicura e, probabilmente, studiata adeguatamente nei mesi scorsi. Ed è possibile che l’appoggio di Putin presso Gemayel (fatto trapelare dalle solite fonti bene informate) ci sia effettivamente.
Resta solo una domanda: perché i media lasciano intendere che l’estradizione è (quasi) cosa fatta, quando, riflettendo, si capisce che ci saranno dei problemi e che il nostro uomo è meno fesso di quanto si voglia far pensare? E non potrebbe essere altrimenti, visto che il Tribunale e la Corte d’appello di Palermo l’hanno ritenuto l’uomo di collegamento tra la mafia e Berlusconi.
La risposta è semplice: strategia comunicativa, in modo che se e quando Beirut dirà di no, l’opinione pubblica se la prenderà con i libanesi invece che con chi doveva prevenire e vigilare e non ha prevenuto e vigilato.


Più che giusto e brillante l’esame del cugino Domenico. Un articolo che mi permette di aggiungere quanto importante sia la forza di tali strategie comunicative.. e quanto ancora più rilevante sia trovarne i veri responsabili.
La fuga in Libano (sicuramente studiata ad arte) si sarebbe potuta prevedere. Con astuzia, Dell’Utri, ha messo in evidenza la sua scomparsa attraverso facili riscontri, lo ha fatto volutamente in modo da far credere di non aver nulla da temere, dichiarando dapprima  personali problemi di salute, salvo dopo asserire di trovarsi in Libano per una campagna elettorale in favore di un suo amico politico. Nessuno oggi potrebbe incolparlo di essere davvero fuggito al destino di un provvedimento della giustizia, non essendosi nascosto.
Qualunque sia stata la circostanza..quella dell’amico del Cavaliere.. è sicuramente una fuga da un Paese che ancora ritiene un reato come quello del "concorso esterno" poco chiaro e molto discutibile. 
Sarebbe opportuno riscontrare in questo reato una seria colpevolezza: o si è manifestamente aderenti al sistema mafioso o no! Quel “concorrere” potrebbe identificarsi in una compartecipazione spesso fumosa sulla quale..chiunque.. può rimestarvi attraverso inganni.. persino di comodo.

Con ciò non mi permetto, avendo scarsa conoscenza degli atti che riguardano il processo a Dell’Utri, di coniugare alcun attestato di innocenza o colpevolezza, ma solo di porre luce su un reato che lascia ancora aperti parecchi dubbi, oltre che in tante altre Nazioni, persino nell’ambito della nostra giurisprudenza. 
vincenzo cacopardo      

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