17 giu 2014

Il "caos creativo" di Domenico Cacopardo



di domenico Cacopardo
Le difficoltà in cui ci dibattiamo da almeno sei anni non sono miracolosamente risolte. Anzi, la sensazione è che, insieme a un quadro politico più chiaro e più coerente, si sia impadronito del governo del Paese il caos, un caos creativo intendiamoci, ma pur sempre un caos.

Non c’è un settore in cui un disegno efficace sia emerso: le riforme sembrano collage di idee incapaci di cogliere i punti fondamentali della crisi.

Prendiamo la riforma della pubblica Amministrazione, affidata alla Marianna Madia, un nessuno con nessuna esperienza, tranne quella maturata nella legislatura compiuta per miracolo ricevuto da Valter Veltroni. 

Intendiamoci subito: chi conosce le aziende private, sa come si procede quando è ora di cambiare tutto per essere al passo con i tempi. Si abbandonano al loro destino le unità esistenti, e si creano task force di gente capace di usare nuove tecnologie, avviando un nuovo modo di produrre. Per lo Stato, la ricetta è analoga: i pannicelli caldi servono a poco. Occorrerebbe costruire un’Amministrazione che si muova per obiettivi e che li individui affidandoli a squadre di tecnici e funzionari addestrati alle nuove necessità. Solo dopo che la non breve fase di avviamento di un simile sistema sarà completata, avremo una burocrazia adeguata dalle performances misurabili e, soprattutto rilevabili dagli stessi cittadini. Tanti specie di Duc parmigiani (a 360°) dovrebbero popolare il Paese.

Ovviamente, il progetto Madia non prevede nulla di tutto ciò. Sfogliamolo: “Staffetta generazionale”. Viene eliminata cioè la possibilità che i dipendenti pubblici presentino domanda per rimanere in servizio due anni in più. “Ridotti i permessi sindacali”: l’immenso monte ore destinato all’attività sindacale viene ridotto, senza alcuna concreta possibilità di utilizzare efficacemente il personale ‘di ritorno’. “Sforbiciata per le prefetture”. Un’altra delle misure alla “Coraggio con prudenza”. Se le prefetture servono, occorre lasciarle e potenziarle rendendole il fulcro della pubblica Amministrazione periferica. Se non servono, è meglio abolirle tout court (vedi pasticcio Senato). “Part time” prima della pensione. È chiaro di che si tratta: di una nuova riduzione dell’età pensionabile alla faccia di tutti i discorsi (europei) sull’equilibrio dei conti previdenziali. Infine la chicca più gustosa: “I direttori delle Asl scelti fuori dalla politica”, mediante il sistema della presentazione di candidatura con curriculum. Viene da ridere: chi valuterà i curricula? Tanti piccoli marziani ingaggiati all’uopo? E, in Emilia-Romagna, nella regione più pervasiva d’Italia, chi lo farà?

Comunque, siamo nel caos creativo. Nonostante tutto, l’istinto politico di Matteo Renzi (il suo, solo il suo) riesce a mantenere una rotta tutta politica verso il cambiamento strutturale della nostra democrazia, da trasformare in una macchina istituzionale esente dai vecchi poteri di ricatto sindacali e di groppuscoli organizzati, capace di individuare una maggioranza e di lasciarla governare. Un assetto che dovrebbe moralizzare i costumi nazionali, in un’alternanza virtuosa tra partiti e proposte di governo, senza compromissioni sottobanco.

I piccoli ministri passeranno. La trasformazione, se ci sarà, rimarrà a lungo.



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