di domenico cacopardo
La luna di miele tra Matteo Renzi e gli italiani continua. I dati dei sondaggisti concordano sull’assegnargli un gradimento vicino al 70% nel quale è compreso lo strano mondo dei seguaci di Beppe Grillo.
Le ragioni sono evidenti: dopo anni di dominio di personaggi improbabili, ancorché popolari, come Berlusconi, di politicanti alla Prodi (che ha il coraggio di dare ancora indicazioni al Paese), di leader in difficile comunicazione con la pubblica opinione come D’Alema, di professori supponenti di fragile sostanza come Amato e Monti, di democristiani vecchio stile come Enrico Letta, irrompe sulla scena il giovane sindaco di Firenze, dal linguaggio nuovo, in sintonia con i tempi e con il desiderio di cambiamento del Paese, e vince il banco del Pd prima, del governo poi.
Ma, concretamente, a che punto siamo nel Cambiare verso, lo slogan fortunato di Renzi?
In politica pura (le riforme del Senato, del titolo V e della legge elettorale), la sensazione è che dopo 32 anni dall’enunciazione della necessità di intervenire sul tessuto istituzionale del Paese (Conferenza socialista di Romini del 1982), sia la volta buona. Certo, il misoneismo (paura delle novità) domina la minoranza del Pd (e non fa meraviglia che un vecchio quadro comunista del Pci come Vannino Chiti se ne faccia portavoce), il dispetto quella di Forza Italia, mai come ora terminale, e il senilismo quello di gente alla Rodotà, finalmente estromessa da un immeritato prestigio istituzionale.
Per il resto i 126 giorni di palazzo Chigi compiuti oggi, ci consegnano la certezza che la dote principale del premier è l’istinto che lo mette in immediata sintonia con l’elettorato, ma che per l’azione di governo siamo in un’area di gravissimo rischio. Tutto può miseramente crollare in poche ore nel ridicolo per una delle possibili scivolate che è lecito temere. La formula propagandistica «Io ci metto la faccia», che Renzi ripete spesso, è sbagliata: il conto del possibile disastro lo pagheremo noi italiani.
Partiamo dall’Europa. Il patto di stabilità non sarà toccato e ci rimane davanti come un macigno. Il compagno Hollande deluderà le attese italiane e si allineerà alla Merkel, mantenendo in vita l’Asse carolingio che da qualche decennio (dall’uscita di scena di Bettino Craxi) governa l’Unione. Ci voleva ben altro da parte italiana: la capacità di rendere coesi i paesi mediterranei, primo fra tutti la Spagna, di assumere la leadership dello schieramento alternativo alla Germania e satelliti, contestando punto per punto l’agenda europea. Invece, come abbiamo visto, Junker, l’uomo di Angela Merkel, sarà presidente dell’Unione e Schultz, il socialista, presidente di un Parlamento senza peso.
La cosa più paradossale è che la stampa nazionale sembra non accorgersi della caduta di peso internazionale del primo ministro e dell’inesistenza del suo governo, a partire dalla ministro degli esteri («Mogherini chi?») a pari merito con l’imbarazzante ministro della difesa Pinotti, e a seguire molti altri. Le ultime notizie che darebbero addirittura la predetta Mogherini sulla poltrona di ministro degli esteri europeo e Padoan alla presidenza dell’Eurogruppo, sono improbabili bufale comunicative di Renzi in cerca di una via per disfarsi della Mogherini medesima, e per allontanare il difficile ministro dell’economia. Bufale, cui dolosamente abboccano giornalisti di vecchio e nuovo corso accorsi in soccorso del vincitore.
Sul piano interno, la situazione è caotica. A palazzo Chigi, si racconta con stupore che la dottoressa Manzione, già capo dei vigili urbani di Firenze, ora capo del dipartimento affari legislativi, trascorra la giornata chiusa con i funzionari suoi collaboratori, senza contatti esterni (ministeriali e non).
Anche un giornale allineato come il Corriere della sera ha dovuto dare atto del caos organizzativo. E un indispettito Quirinale non è intervenuto a vuoto sulla riforma dello Stato.
In realtà, gli 80 euro mensili ai percettori di basso reddito (non a tutti, naturalmente) non avevano copertura: Renzi fu costretto a correre al ministero dell’economia per incontrare, oltre il ministro, il ragioniere generale dello Stato, e ottenere la bollinatura del provvedimento. Una cosa inaudita, visto che il primo ministro dovrebbe convocare i comis nella propria sede. Negli ambienti di Camera e Senato si confermano attendibili dubbi sull’assenza di una copertura credibile per il provvedimento, oltre la sua sostanziale ingiustizia, visto che una platea vasta di indigenti ne è stata esclusa.
I consigli dei ministri sono convocati ad horas, spesso senza un odg definito (ma Del Rio è un endocrinologo, il segretario generale è l’exmanager del comune di Reggio Emilia e il capo del dipartimento affari legislativi, l’abbiamo ricordato); i provvedimenti vengono raffazzonati lì intorno alla sala del consiglio.
Pensate che a Bruxelles non si sappiano queste cose? Certo, si sanno, e si sa anche che presto, semestre italiano ininfluente, riceveremo una bella scoppola, una sveglia che porrà Matteo Renzi di fronte all’inconsistenza della propria azione di governo.
La capacità di stare al centro del palcoscenico del premier, incontestata e incontestabile, gli permetterà di proseguire nella navigazione e di raggiungere i risultati annunciati? C’è da dubitarne fortemente, anche se (ma non è un ragionamento) il suo istinto l’ha condotto sino a questo punto senza guai seri.
Non si può che essere d'accordo con questa attenta analisi proposta da Domenico, il quale... oltre alla sua professionale conoscenza, si propone scettico verso chi, con estrema ambizione e fretta, pensa di poter risolvere con la sola forza comunicativa.. gli immensi problemi di un paese come il nostro.
E' inutile ormai sottolineare gli enormi dubbi sui propositi di chi sembra operare su una comunicazione tanto ipocrita e sfacciata verso un popolo come il nostro... tanto ignorante.. quanto prostrato di fronte alla inettitudine di una passata politica che ha contribuito inesorabilmente a mettere in luce chiunque si proponga con tale determinazione.
Vorrei solo aggiungere e stigmatizzare la scarsa sensibilità di un premier che, come ha giustamente sottolineato il cugino consigliere Cacopardo, si è premurato di proporre un provvedimento in favore di chi un lavoro lo ha già... alla faccia dei tanti indigenti che invece ne avrebbero avuto più bisogno.
Il sindaco d'Italia opera prevalentemente per governare al fine del suo “fare”, non avendo alcuna vera capacità di intuire l'importanza di doverlo fare attraverso un percorso che non deve trascurare i principi base di una democrazia e di equità.
Inconsapevolmente Renzi è fautore di quella deleteria cultura asettica e pragmatica che concepisce il suo “fare” come matrice di uno sviluppo attivo, fregandosene dei principi di una democrazia che potrebbero solo intralciarla. Finisce col lavorare (nell'insieme di una squadra governativa mediocre) per una Nazione in cui le stesse istituzioni possano favorire tale sottocultura e tale asettico pragmatismo.
vincenzo cacopardo
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