Finalmente.
E non per merito della comunità internazionale, dell’Onu, degli Stati Uniti o dell’Ue.
Ma soltanto per la decisione unilaterale del governo israeliano di concludere le operazioni e di far rientrare in caserma soldati e carri armati. Certo, l’iniziativa dell’Egitto è stata utile e determinante: avendo in mano l’unica porta di accesso legale a Gaza, è riuscita a portare a un tavolo di discussione i rappresentanti di Hamas mentre, a un altro tavolo, esaminava le varie opzioni con i rappresentanti di Israele.
L’elemento fondamentale, dal punto di vista tattico, è la distruzione dei tunnel dai quali i militanti armati di Hamas, palestinesi e non, potevano sbucare nel territorio nemico e aggredire civili e militari.
Sino alle ultime ostilità, questi tunnel perfettamente operativi non erano stati utilizzati. Solo qualche azione sporadica. Erano lì, pronti per Armageddon, l’apocalittica battaglia finale in cui l’unica posta in palio sarebbe stata lo sterminio degli ebrei e del loro Stato.
L’averli distrutti, ha un innegabile valore tattico, come valore tattico hanno le più recenti ostilità e quelle precedenti, tutte mirate a scompaginare i preparativi di Hamas e a rinviare di qualche anno la resa dei conti.
Dobbiamo, però, riconoscere che l’unica via d’uscita accettabile è la pace. Per raggiungerla, queste piccole sanguinose guerre non servono, anzi rafforzano le posizioni degli estremisti, sempre più agguerriti e diffusi nel mondo islamico, talché, oggi, possiamo contare due sedicenti califfati, quello siro-iraqeno e quello libico.
Ci vuole, quindi, una seria iniziativa verso il mondo islamico moderato che, ancora oggi, è largamente maggioritario, nonostante le minacce continue degli estremisti e il ricatto della solidarietà di schieramento religioso. Un valore, quello dello schieramento religioso, mai onorato sino in fondo nella storia.
Ciò che manca, per imboccare questa strada, è l’impegno diplomatico delle grandi potenze.
Certo, la diplomazia non basta se non è accompagnata dalla forza, dalla capacità cioè di imporre le decisioni e le scelte della comunità internazionale.
Niente di nuovo, naturalmente, se ricordiamo, per esempio, il protocollo di Troppau, del 1820, con il quale Austria, Prussia e Russia, cioè l’Europa intera del tempo, si assumevano l’impegno di garantire ordine legale e stabilità del continente.
Del resto, con la fine del mondo bipolare Usa-Urss s’è tornati alla politica internazionale del primo Novecento e ai canoni definiti dalla pace di Westfalia.
Mancano dunque, prima di tutto, gli Stati Uniti, incapaci di onorare le loro responsabilità storiche. E, poi, l’Unione europea che, dopo i disastri del 2011 (Libia, Siria etc.), non riesce a esprimere una qualunque linea politica.
Non è un paradosso sostenere che il conflitto dei giorni scorsi -che ha visto Israele entrare a Gaza- è dovuto proprio alla mancanza di garanzie internazionali e di un serio approccio politico Usa-Ue all’Islam moderato capace di dissuadere i tanti doppiogiochisti dello scacchiere dal continuare nel sostegno sotterraneo, ma non troppo, alle varie organizzazioni terroristiche schierate in campo.
A questo punto, dobbiamo aspettare, tra due anni, il nuovo presidente Usa, augurandoci che la deriva retorico-verbale di Obama sia sostituita dall’antica concretezza.
Da lì, non dall’inesistente Europa dei nostri giorni, si deve ripartire.
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