10 ago 2014

la posta di Paolo Speciale

La democrazia incompiuta 
di Paolo Speciale
L'interrogarsi sul sistema perfetto ed il tentativo – reiterato – di scovarlo ed istituirlo è la storia e l'evoluzione dell'uomo sociale.
E questo princìpio non tiene conto dei confini geografico-politici: ciascuno ha agito ed agisce secondo modelli o valori più o meno condivisibili.
Possiamo parlare oggi della sussistenza di democrazie compiute? O forse è più opportuno considerarle cresciute - ma mai abbastanza - ed in continuo “affinamento”?
Stante che la perfezione non è di questo mondo, proviamo a guardare lo stato di questo processo evolutivo in casa nostra.
Facendo a meno volentieri di un vuoto preliminare nozionismo, possiamo dire che da tempo ci si è accorti della ingravescente inadeguatezza della vigente legislazione elettorale e della progressiva dissoluzione della effettiva rappresentanza parlamentare.
L'attuale maggioranza di governo è in sé una anomalia ormai istituzionalizzata oltre ogni ragionevole tempo, perché se da un lato identifica più efficacemente la collettività attraverso la compresenza di forze politiche intuitivamente e tradizionalmente opposte dal punto di vista del consenso, nel contempo, volendo considerare causa strumentale e quindi impropria di essa l'emergenza economico sociale (di portata anche transnazionale), finisce con lo stimolare quella parte di opinione pubblica e di informazione che non le riconosce la necessaria autorevolezza per agire – e non parliamo qui certo di legittimità – e per generare un impulso fecondo soprattutto nel settore economico e sociale.
Quando poi il nostro premier, forse particolarmente sensibile soltanto al ruolo di gestore dell'emergenza istituzionale insieme al Capo dello Stato, si ostina a concentrare l'attività di un ramo del Parlamento alla propria non necessaria o comunque prioritaria autoriforma, opera suo malgrado una dannosa ed inutile commistione tra due parti del programma di governo che dovrebbero rimanere distinte: quella che attiene alle riforme istituzionali e quella che rimanda alla necessità di intervenire sulla riduzione del debito pubblico con il contestuale rilancio dell'economia attraverso tagli meno populistici e più efficaci della diminuzione del numero dei senatori.
Questo esecutivo diventa giorno dopo giorno sempre più vulnerabile a causa della sopraggiunta e prevedibile sua identificazione con la popolarità – nel bene e nel male – del suo capo e di qualche ministro (o ministra, se è lecito usare questo termine), che determina di fatto la priorità dell'immagine sull'azione concreta. E' un boomerang forse non previsto al quale, se proprio non si vuole andare a votare, si può opporre una maggiore e più attiva partecipazione di altre espressioni politiche presenti nella maggioranza e diverse dal PD che, in atto inspiegabilmente silenti, tornerebbero così a legittimare agli occhi di molti questo insolito condominio e alleggerirebbero quella pressione mediatica che grava sul presidente del consiglio e che, alla fine della fiera, fa male soltanto al Paese.
Anche questo, perchè no, è assunzione di responsabilità propria di governo e valido contributo alla costante ricerca di quel sistema che siamo condannati a cercare per sempre.



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