La bugia dell'allargamento dei diritti di domenico cacopardo
Non c’è stato nessuno, nei media, che abbia chiesto a qualche esponente della minoranza del Pd: «Quali diritti intendeste allargare? Sostenete che invece di toccare l’art. 18 dobbiamo allargare l’area dei diritti dei lavoratori, spiegateci in cosa consiste la vostra proposta.»
Secondo me, l’interpellato farfuglierebbe qualche parola in puro politichese. Infatti, si tratta di una bugia bella e buona, annunciata con aria pensosa, proprio per confondere le acque di una discussione che, in realtà, è abbastanza semplice e riguarda l’allentamento delle rigidità dello statuto dei lavoratori, che impediscono all’imprenditore di avere fiducia e di assumere.
I diritti dei lavoratori sono diritti di libertà (sindacale e politica), di sicurezza sociale (assenze pagate), di retribuzione. Tutti, proprio tutti comportano costi per le aziende.
«Allargare i diritti dei lavoratori», quindi, significa aggravare i costi del lavoro.
Punto. Basterebbe questa constatazione per tappare la bocca ai confusi esponenti delle varie minoranze del Pd, in concorrenza tra loro, pronte, in alcuni casi, a ingrossare le file del vincitore.
Alle loro spalle c’è il colosso d’argilla, l’organizzazione che da condizionata dal partito, ne è diventata la condizionatrice: la Cigl. Essa, è il riferimento politico e organizzativo di gran parte della minoranza del Pd, legata mani e piedi al sindacato e alla congerie di soggetti che fanno capo a esso, compresa la cooperazione.
Come dimostra la posizione del «riformista d’un mese» Giuliano Poletti, ministro del lavoro e delle politiche sociali.
L’allargamento dei diritti, in un periodo di drammatica crisi come l’attuale, allontanerebbe ogni idea di ripresa, a meno che, scartellando da ogni impegno europeo lo Stato non si desse ad assumere, caricando, ulteriormente, sulla collettività i costi del disastro.
Del resto, lo stolido Cofferati si dichiara in questi giorni neokeynesiano e propone un vasto piano di investimenti per recuperare posti di lavoro e rilanciare l’economia. Non lo sfiora il dubbio che i soldi non ci sono; se ci fossero mancano i progetti; e se tutto fosse pronto e disponibile dovremmo muoverci negli angusti spazi concessici dall’Unione europea.
A nessuno al mondo che abbia avuto esperienze produttive, in qualsiasi posizione, verrebbe in mente di rendere ancora più problematiche le assunzioni, lasciando a spasso, senza speranze, per le nostre piazze i giovani, poco qualificati dalla scuola, che vi soggiornano.
A nessuno, sano di mente, verrebbe in mente di allargare il ruolo dell’autorità giudiziaria (che è il garante dei diritti) dandole ulteriori facoltà di intervenire nelle gestioni aziendali.
Se, quindi, è così intuitivo che «allargare i diritti» è una formula senza costrutto, una follia comunicazionale, perché gente che, per altri versi, conosciamo come ragionevole e posata, la adotta come una bandiera? Pensiamo a Bersani, solido, spietato burocrate dell’exPci, dotato di una naturale bonarietà. Pensiamo al raziocinante Cuperlo, prezioso consigliere alla presidenza del consiglio in anni non lontani, e a tanti altri che si prodigano su questo terreno dichiarando a destra e a manca che il problema non è l’abolizione dell’art. 18, ma, appunto, l’allargamento dei diritti.
Se questo accade, non accade per caso. Dalle parti della sinistra Pd, si è capito che quella sull’art. 18 è la madre di tutte le battaglie del renzismo. La sua vittoria determinerebbe la fine di quel poco o tanto di potere che la Cgil esercita ancora nelle aziende, e, per li rami, le possibili influenze che gli eredi di quella che fu una grande armata, il Pci, riescono ancora ad avere sul mondo produttivo nazionale.
Probabilmente, lo sa anche la massa dei disoccupati che l’«allargamento dei diritti» è una bugia che può solo prolungare il loro tragico stato rendendolo permanente. Meglio spazzarla via dalla scena il prima possibile.
In una visione moderna riesce sempre più difficile parlare del lavoro come di un diritto.. e ciò non perchè si voglia sottovalutarne l'importanza, ma per via dei tempi che hanno imposto una globalizzazione quasi selvaggia... condizionando tutti i paesi.. soprattutto il nostro finanche privo di risorse energetiche.
In realtà il tema dell'articolo 18, come vuole far intendere Domenico, è sicuramente la madre di tutte le battaglie del renzismo, ma rimane anche un vessillo per chi, come la CGIL, non pare ricercare ulteriori alternative per la sua lotta contro un sistema e la sua classe imprenditrice.
La guerra odierna interna in seno al PD ...è infuriata anche in forza del fatto che.. lo stesso giovane segretario, usa questa contesa per avversare ulteriormente le poche forze a lui ostili all'interno del Partito. … Forze che, in realtà, poggiano ancora i loro valori sui principi di una classe lavoratrice non più adeguabile all'allargamento di alcuni diritti dei lavoratori.
Il potere che la Cgil esercita ancora nelle aziende non è più quello di prima ed il confronto con una realtà industriale moderna globalizzata, non può che prescindere da un articolo che pone un freno alla stessa competizione tra le aziende. Tuttavia sarà necessario studiare modelli alternativi per rendere maggiore sicurezza al lavoratore, il quale non potrà mai più pensare di ottenere le certezze del passato... se non attraverso alternative più flessibili.
Vincenzo cacopardo
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