Sta
per chiudersi nel nostro Paese una lunga era cominciata negli Anni 70
e segnata dall’espansione della democrazia elettiva, intesa come
forma di partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica.
Su impulso specialmente del Pci, che vi vedeva un inveramento della
Costituzione (il Centro per la riforma dello Stato di Ingrao ne fu il
laboratorio teorico), dalle Regioni fino ai Consigli di Istituto,
passando per i Consigli circoscrizionali nelle città, abbiamo da
allora eletto una pletora di livelli di autogoverno, producendo forse
più democrazia di quanta fossimo in grado di consumare.
La
sbornia è stata tale che prima o poi il pendolo della storia doveva
cambiare verso. E infatti dal 28 settembre al 12 ottobre si terrà in
tutt’Italia la prima tornata di elezioni indirette per 64 assemblee
provinciali e 8 città metropolitane. Sarà dunque l’esordio di una
democrazia di secondo grado (sperando che non sia tale anche per
qualità) che dovrebbe culminare con l’elezione indiretta dello
stesso Senato, e cioè di un’assemblea legislativa.
Quale
sia l’obiettivo di questo cambiamento e perché sia popolare, è
facile da capire: si tratta di spoliticizzare istituzioni finora
dominate dai partiti e di sfrondarle (da 2.500 consiglieri si passerà
a meno di mille, e senza indennità). Invece che dai cittadini, i
membri delle nuove assemblee e i loro presidenti saranno scelti dai
consiglieri comunali e dai sindaci, con un voto ponderato in base
alla popolazione che rappresentano. Però, come tutte le volte che si
cerca di cacciare la politica dalla democrazia, c’è il rischio che
quella si vendichi rientrando dalla finestra.
È ciò che sta accadendo in queste ore. È tutto un fiorire di trattative, spesso segrete, alcune già chiuse, altre riaperte, per dar vita ad alleanze contro natura tra partiti che di solito si combattono, o fingono di farlo, pur di assicurare un posto a tutti.
È ciò che sta accadendo in queste ore. È tutto un fiorire di trattative, spesso segrete, alcune già chiuse, altre riaperte, per dar vita ad alleanze contro natura tra partiti che di solito si combattono, o fingono di farlo, pur di assicurare un posto a tutti.
La
più scabrosa è saltata proprio ieri, quando Pizzarotti ha dovuto
rinunciare a guidare un listone unico tra Pd e M5S a Parma, a causa
dell’opposizione di Grillo. Ma in altri territori il dialogo
prosegue e non mancano, soprattutto al Sud, scambi di effusioni tra
Pd e Forza Italia (anche se questi, dopo il patto del Nazareno, sono
ormai meno innaturali). Spesso queste alleanze scatenano lotte
interne ai partiti, come è accaduto in Puglia, dove Emiliano ha
dovuto sconfessare l’intesa raggiunta dal Pd con i berlusconiani a
Taranto e Brindisi, per non compromettere le sue primarie alla
Regione.
Il
rischio vero, insomma, è che una riforma che punta a cacciare i
partiti dal tempio della cosa pubblica si trasformi in una fase più
proterva della lottizzazione partitica (alle Province restano per ora
rilevanti poteri e capacità di spesa), con spartizioni di nomi e di
cariche decise in stanze chiuse al pubblico, e senza neanche avere
più sul collo la spada di Damocle del giudizio popolare. Non sarebbe
la prima beffa del genere, ma questa getterebbe una luce sinistra
sulla ben più delicata elezione di secondo grado prospettata per il
Senato, che giochetti locali di piccolo calibro potrebbero
trasformare in un pied-à-terre romano per la nomenklatura regionale
dei partiti. Anche se stavolta non votiamo, sarà dunque bene che
vigiliamo: della democrazia di secondo grado siamo pur sempre il
pubblico pagante.
Una democrazia ormai umiliata
Più
che una democrazia di secondo grado mi sembra un gioco condotto al solito scopo di rendere più potere all'esecutivo. ...e a coloro che hanno già in mano le leve del potere politico.
Quella espansione
della democrazia elettiva, intesa come forma di partecipazione
popolare alla gestione della cosa pubblica, a cui fa riferimento il
giornalista, non sta per chiudersi, ma sembra essersi conclusa già da
tempo in rapporto ad una mentalità politica che segue ormai assoluti
principi di potere, oligarchici e che mirano prevalentemente ad una
comoda governabilità. La mentalità di chi
ritiene che per far funzionare un sistema sia necessario tagliare o
percorrere vie più semplici senza un rispetto verso i principi della
democrazia..è ormai prevalente. Quando si operano simili riforme non
si può partire da un principio generico di risparmio e di
riduttività dell'azione parlamentare..umiliandola a favore di una
governabilità!
Con
questi ultimi metodi non si sta provando ad uscire dal
parlamentarismo eccessivo, ma si corre dritti verso un'avventura. Se
si esaspera una certa semplificazione senza una logica costruttiva
che protegga un vero principio di democrazia. ...i risultati potranno
solo essere a danno del cittadino e di tutto il contesto sociale che
lo circonda.
Polito,
prendendo anche spunto dalla nuova riforma del Senato e delle
Provincie, descrive con accortezza i rischi che continua a correre il
nostro ordinamento politico che, con le nuove riforme promosse dal
governo, rischia di porre la democrazia elettiva... nei più oscuri
sotterranei.
vincenzo
cacopardo
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