di vincenzo cacopardo
Qualcuno
ha reagito male alle proposte avanzate da alcuni ministri..di
intervenire con maggior forza sulla responsabilità dei giudici...La
censura da parte dell'Organo è stata sempre netta anche in un
momento storico, come quello odierno, in cui lo stesso operato del
Consiglio Superiore è continamente messo in discussione.
Il
tema della responsabilità dei giudici è rimasto da tempo fermo al
palo ..non avendo avuto mai un percorso deciso. La
magistratura, attraverso il CSM rappresenta un organo di
autogoverno..una prerogativa non di poco conto. La sua posizione
di indipendenza.. potrebbe però essere messa in dubbio..giacchè la
regolarità della sua composizione, compromessa da una lottizzazione
partitica, pone con urgenza non solo il problema della riforma della
responsabilità civile, ma della stessa validità dell' Organo.
Nel
passato..i padri costituenti italiani, abituati a vedere i giudici
sottoposti ad un governo ampio (ingresso, carriera, progressione,
incarichi, attribuzione di funzioni etc) pensarono che il miglior
modo per assicurare la indipendenza della magistratura, fosse quello
di togliere questo governo al Potere esecutivo per affidarlo agli
stessi giudici. A tal fine crearono
il
Consiglio Superiore della Magistratura.
Un Organo composto
in maggioranza da membri giudici eletti dagli stessi, con una
minoranza di membri politici. Non considerarono, però, la
particolare struttura del Potere giudiziario, né ebbero presente che
questa struttura sarebbe stata essenziale per il vero bene che si
voleva difendere, che è e sarà sempre l’indipendenza
del giudizio.
L’equivoco
sembra proprio essere quello che, il giudice, a causa della
delicatezza del suo compito e per poterlo svolgere in modo realmente
indipendente, ciò che rifiuta è proprio un governo senz’altro,
tanto che sia in mano all’esecutivo o in mano a qualsiasi altro
organo. Pertanto forse la strada da seguire sarebbe dovuta essere,
non quella di togliere il governo della Magistratura al Potere
esecutivo, ma quella di ridurre al minimo la necessità di governo
dei giudici... facendo il possibile per regolare a mezzo della legge
la loro carriera.
Potremmo
affermare che nelle mani del Potere esecutivo si mette una forza
materiale, mentre al giudice si
pone soltanto forza ed autorità morale. La forza di chi sa quanto
sia essenziale la sua funzione in democrazia. Quanto più profondo è
detto convincimento generale, tanto maggiore sarà la forza morale
del giudice in quanto egli non ha una forza propria, ma una forza che
gli viene attribuita. Proprio per tali motivi il giudice non potrà
mai illudersi di potersi confrontare con gli altri poteri dello Stato
o di potere risolvere da solo il problema della sua indipendenza,
poiché detta indipendenza rappresenta un bene prezioso per il
cittadino, più che per il giudice stesso.
Detto
questo... è poco immaginabile poter risolvere questa problematica
sul piano di una certa deontologia politico democratica.. senza prima
analizzare a fondo i motivi che ne provocano l'ostacolo: Una logica
motivazione che la magistratura replica (in modo quasi naturale) alla
classe politica che contesta in modo significativo i conflitti e gli
interessi che potrebbero sorgere in seno ad un ordine giudiziario
“politicizzato” dal CSM.
Rimane
costantemente indecisa la posizione assai compromessa del politico,
il quale non risovendo il proprio conflitto.. non potrà mai essere
in grado di porre limitazioni ad un Organo indipendente voluto dalla
Carta Costituzionale, se non accentuando principi assoluti che si
discostano dai veri valori di una democrazia: Se
deve essere chiara e definita l'indipendenza del giudizio..dovrebbe
essere chiaro anche il posizionamento del politico che opera per fare
le leggi. Se
il valore che si vuole proteggere è quello dell'indipendenza ..anche
il politico non potrà mai rendersi indipendente e libero.. se
costretto ad operare contemporaneamente per costruire le normative e
metterle in atto condizionato da un potere governativo. Non
è difficile immaginare che un altro politico, in ruolo esecutivo,
potrebbe esercitare un particolare potere agendo in modo dubbio
sull’obbiettivo pensiero del singolo parlamentare, nella identica
maniera con cui il magistrato requirente potrebbe influenzare il
pensiero del giudice.
Tale
motivo è di per se sufficiente ad individuare una ulteriore
anomalia anche rispetto ad una
Costituzione che, da un lato vorrebbe identificare due poteri con
ruoli ben diversi (esecutivo e parlamentare) e dal l'altro, non pone
sufficienti e chiare limitazioni a questa separazione di compiti,
destinando, in modo troppo sintetico, la guida e l’indirizzo della
politica dello Stato all’esecutivo.
“nemo
potest duobus dominis servire” ..dove
“dominis” è oggi inteso come “potere”
Nessun commento:
Posta un commento