Di che si stupisce Domenico Cacopardo?
E' lo stato di abbandono di una società che ha sempre più sottovalutato la cultura del rispetto per una società ed i suoi valori fondamentali che non possono mai essere costruiti sul potere di una economia e del denaro.
Per quanto riguarda il nostro Paese..non può porsi meraviglia Domenico..che, pur esprimendo una chiara posizione contro l'incedere inopportuno del governo, non pare aver ben percepito il percorso ingannevole del lavoro del sindaco d'Italia.. alquanto sbrigaticcio.. oltre che privo di logica.
Il suo sottolineare :"la politica giudiziaria del governo e del Parlamento invece di occuparsi delle disfunzioni della giustizia, dei ritardi biblici della giustizia civile e di quella amministrativa, si focalizza sulla sottrazione di lavoro ai giudici e ai pubblici ministeri, in modo che possano occuparsi solo di alcuni «grandi» reati". Suona come un giusto richiamo ad una politica governativa che continua a ingannare con le sue azioni di falso rinnovamento ..e poco può importare la voce di un Parlamento.. ormai totalmente soggiogato da una governabilità assoluta che non rispetta per nulla le regole ed i principi fondamentali di una democrazia.
Il richiamo al Parlamento, quindi ..risulta del tutto improprio, giusto per la mancanza di ciò che si dovrebbe ad un Aula.. dove per logica deve anteporsi un dialogo aperto e non continue fiducie... a volte persino ricattatorie.
Tutto prima o poi torna quando non si ha rispetto dei principi cardine di una società che vive in uno Stato democratico. La parola prevenzione non appartiene a questo governo..come non gli attiene ogni logica di politica democratica.
Nel caso della giustizia e della sicurezza, il rischio che l’autonomia del singolo debordi sino all’anarchia del tutto...è ormai di tutta evidenza. Si continua dilatare il problema attraverso regole di prescrizione e depenalizzazioni. Siamo oggi ad un punto critico..ed ancora non si vuole capire che il metodo renziano della semplificazione e della fretta, (che appare erroneamente il più sbrigativo ed utile) nel suo esprimersi in modo sommario, non potrà mai sortire un successo nel futuro..anzi ci tornerà indietro come un boomerang, portando al pettine gli ulteriori nodi irrisolti alla base.
Il problema è solo di natura culturale politica..ed il rischio è maggiore di quello che si crede!
Lo
Stato in ritirata:
così potrebbe intitolarsi il capitolo di storia
patria che sarà dedicato al 2015, l’anno in cui è stata
introdotta nell’ordinamento italiano la depenalizzazione di 112
reati, tra i quali ne ricordiamo solo alcuni: abbandono o violenza di
persone minori o incapaci; invasione e occupazione di aziende
agricole o industriali; appropriazione indebita; attentato alla
sicurezza dei trasporti; evasione; furto; istigazione a delinquere;
minacce; omicidio colposo; percosse; violazione di domicilio.
Le
condizioni sono due: tenuità e non abitualità, elementi questi che
saranno valutati discrezionalmente dal giudice.
Nella
sostanza, si tratta della gran parte del carico giudiziario, che
spesso rimane abbandonato per la priorità accordata ad altre
fattispecie, ma che pesa come un macigno sulla società civile.
Basti
pensare all’omicidio colposo, quello che più frequentemente si
manifesta nelle strade (spesso aggravato dall’uso di alcol e di
droghe, compresi gli spinelli che accoppiati all’alcol e ai
tabacchi costituiscono un micidiale cocktail, ma in questo caso
«aggravato» e non riducibile per tenuità) e che colpisce migliaia
di famiglie, sempre alla ricerca di una aleatoria riparazione morale
e materiale, sempre gelate dall’insensibilità degli inquirenti.
Basti pensare al furto e alla violazione di domicilio, lesioni della
personalità, prima che delle cose, spesso causa di irreparabili
traumi psicologici.
Va
ricordato che la criminologia insegna che nel curriculum di un grande
criminale c’è quasi sempre un inizio di «piccoli» crimini. E
che, questa depenalizzazione accentuerà la sensazione di abbandono
da parte dell’autorità giudiziaria (da cui dipende quella delle
forze dell’ordine, ormai quasi sempre inerti di fronte al furto
d’auto o in appartamento), e l’insicurezza generale.
Insomma, la
politica giudiziaria del governo e del Parlamento invece di occuparsi
delle disfunzioni della giustizia, dei ritardi biblici della
giustizia civile e di quella amministrativa, si focalizza sulla
sottrazione di lavoro ai giudici e ai pubblici ministeri, in modo che
possano occuparsi solo di alcuni «grandi» reati. Ma questo non è
garanzia di procedimenti celeri ed efficaci, visto che,
contemporaneamente, vengono incrementate le pene, allungate le
prescrizioni e introdotti tanti nuovi reati, peraltro già previsti
in varie forme dall’ordinamento. Il medesimo reato di tortura è
già perseguibile nelle forme previste dal codice penale.
Perché,
dunque, si procede in questa direzione? Perché così si manda un
messaggio di subalternità alla corporazione degli operatori di
giustizia e di speranza alla cittadinanza, illusa, invece, da una
irrealistica prospettiva di efficienza. Irrealistica: non ci sono gli
strumenti organizzativi e disciplinari per mettere in moto la
macchina, premiando i solerti e punendo gli incapaci o gli ignavi.
Non c’è un’organizzazione economica e sociale che possa
efficacemente funzionare senza un reale potere gerarchico di
direzione e di controllo. Questo manca del tutto nel sistema
italiano, nel quale l’autonomia del singolo deborda sino
all’anarchia del tutto.
Con la
riforma della custodia cautelare (sarà più difficile e dovrà
essere più motivata) si completerà questo rischioso pezzo di
riforma. È facile immaginarne l’insuccesso, il tragico insuccesso.
Domenico
Cacopardo
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