Un disastro annunciato
di domenico cacopardo
Immaginate
che il Corpo dei vigili del Fuoco non riesca a spegnere tutti gli
incendi che si sviluppano in Italia e che il governo e il Parlamento
decidano che quelli di piccola entità siano lasciati a se stessi.
Naturalmente, dai piccoli incendi si svilupperanno incendi più gravi
e diffusi, tali da mettere in discussione centri abitati e attività
commerciali.
«Una
ipotesi paradossale», penserete.
Invece
non è così: quello che è accaduto con la depenalizzazione di reati
«tenui» è qualcosa di simile, pur rimanendo sul tappeto una
differenza sostanziale. Per gli incendi, i cittadini hanno il diritto
e, in qualche caso, il dovere di intervenire, senza attendere
l’arrivo delle autobotti. Per i reati, gli interessati non possono
intervenire, pena vedersi perseguiti per reati non tenui, di reazione
a reati tenui. Secondo logica, se lo Stato si ritira dalle strade,
abdica ai suoi doveri in materia di sicurezza pubblica per venire
incontro alle esigenze di una corporazione rivelatasi incapace di
offrire i servizi richiesti dalla popolazione (di «servire» come
dovrebbe il popolo, nel cui nome adotta le sue decisioni), dovrebbe
al contempo allargare le maglie della legittima difesa e
dell’autorizzazione al porto di armi per difesa personale.
Certo,
una follia, come s’è dimostrato con il caso del tribunale di
Milano e con le altre decine di casi di aggressioni a impiegati
comunali, a operatori delle Asl, ad addetti di Equitalia, accaduti
dal 1° gennaio 2015, ma dimenticati dalla stampa nazionale. Se a
essi si fosse porta un po’ di doverosa attenzione, probabilmente,
qualche procuratore generale avrebbe deciso di imporre regole più
stringenti in materia di controllo degli accessi ai tribunali.
Ma
la questione, come avevamo promesso, non può essere abbandonata,
giacché, spulciando l’elenco infinito dei reati non punibili se
«tenui», ne vengono fuori di belle o, se preferite, di incredibili.
In
realtà, quello che metteremo in rilievo è che, profittando del
decreto delegato, il governo-legislatore s’è ampiamente occupato
dei reati in cui incorrono frequentemente i politici, trasferendoli
nella categoria dei «tenuibili», a condizione che in pochi giorni
la parte lesa non si opponga all’archiviazione.
Cominciamo
con l’abuso d’ufficio, che è una infrazione tipica del pubblico
ufficiale. È certamente vero che, dopo i precedenti interventi
legislativi, questo reato è residuale, nel senso che viene
utilizzato dall’autorità giudiziaria quando non si riesce a
invocare la corruzione o la concussione. Ma è altrettanto vero che,
iscrivendolo alla categoria «attenuata», si concede ai pubblici
ufficiali e soprattutto ai pubblici amministratori una sanatoria
forte e generale su una materia che li ha tanto «disturbati» in
passato. Se pensiamo al caso dell’exsindaco di Salerno, ora
candidato alla presidenza della regione Campania, Vincenzo De Luca
(che su queste colonne abbiamo difeso con convinzione),
probabilmente, con le nuove norme, non ci sarebbe nemmeno stato il
processo che l’ha condannato proprio per abuso. Fra l’altro la
schizofrenia imperante fa coesistere il reato «depenalizzato» con
l’obbligo di sospensione dai pubblici uffici, introdotto dalla nota
Paola Severino, disastrosamente passata dagli uffici di via Arenula
(ministero della giustizia).
C’è
poi la falsità materiale del pubblico ufficiale, art. 477 del codice
penale: «Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue
funzioni, contraffà o altera certificati o autorizzazioni
amministrative, ovvero, mediante contraffazione o alterazione, fa
apparire adempiute le condizioni richiesta per la loro validità, è
punito …»
Tralasciando
l’uso demenziale delle virgole, rimane il fatto che si tratta di un
contesto molto delicato che può incidere sulle situazioni
soggettive. Sento l’osservazione: «Ma il cittadino se ne accorge
facilmente …» Ma se pensate che una certificazione alterata può
consentire a una ditta in odore di mafia, di partecipare a un appalto
e di vincerlo, vi renderete conto che non si tratta di un «reatino
da due soldi».
Aggiungiamo
la frode nelle pubbliche forniture, l’omessa denuncia di reato da
parte del pubblico ufficiale (che magari avrebbe da denunciare tante
illegalità del suo capo, assessore o sindaco o presidente di
regione), la rivelazione e
utilizzazione di segreti d’ufficio e di segreti inerenti ad un
procedimento penale (casi questi tipici degli operatori di giustizia
mai perseguiti), il rifiuto e l’omissione di atti d’ufficio e il
traffico di influenze illecite (introdotto per consegnare ai
magistrati un’arma nei confronti di coloro che concorrono a
elezioni). Si delinea, quindi, un quadro di interventi rivolti al
«palazzo», sui quali andrebbero disposti approfondimenti e, se
possibili, valutazioni critiche.
La
cosa che più impressiona, a questo punto, è il fragoroso silenzio
della stampa nazionale e dei media, tutti rivolti al pettegolezzo
spicciolo, al «colore» degli avvenimenti politici quotidiani, mai a
un’analisi puntuale delle invenzioni di quella politica di cui è
tributaria, in quanto suo costante megafono.
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