5 mag 2015

Una nota al nuovo articolo di domenico Cacopardo sui recenti episodi di Milano

I recenti episodi di violenza perpetrati dai black-block a Milano durante la manifestazione contro l'Expo offrono altra opportunità al premier per diffondere la sua cantilena contro i nemici del fare, ma.. come giustamente scrive in questo articolo Domenico.. costoro restano “gli stupidi nihilisti che producono ferite a se stessi e consensi ai loro nemici.” e quindi anche una ulteriore circostanza per Renzi per confondere altre verità sulla sua politica semplicistica.

E' difficile persino poter comprendere per quale ragione oggi si possa operare una simile manifestazione contro un evento di tale portata a nostro favore..se non..forse.. per l'unica ragione che vede il nostro Paese proiettato verso una esorbitante povertà (soprattutto nel meridione) che finisce col non offrire alcun motivo a sostegno.

Le violenze non possono che essere condannabili, ma una certa opportuna ricerca di azioni preventive non cessa mai di mancare in questo Paese, persino in momenti di alta tensione che dovrebbero vedere attività di intelligence in primo piano. Dice bene Domenico Cacopardo quando afferma che ogni responsabilità cade sul governo, ed anche se in primo piano pare esservi un mediocre Ministro degli interni, queste azioni eversive possono essere previste ed i pericoli studiati opportunamente e combattuti attraverso azioni governative più utili.

Sappiamo che esistono queste frange violente che sembrano non aver nulla da perdere e che si appocciano a queste manifestazioni unicamente per poter dare sfogo ad una innata voglia di distruggere la qualunque. Le attività segrete potrebbero e dovrebbero muoversi preventivamente. Oggi vi è una tale povertà ed una mancanza di lavoro tendente a trasformare ogni persona normale e perbene verso istinti anarchici e violenti assai pericolosi proprio perchè non si ha più nulla da perdere.

Al di là di ogni facile ed indiscussa condanna verso la violenza ..sta proprio alla capacità di una organizzazione statale saper comprendere la differenza tra chi agisce per motivi di immotivata ed idiota prepotenza..da coloro che, al contrario, si muovono spinti da una istintiva reazione per motivi legati ad una società che li ha abbandonati in un incomprensibile silenzio.
vincenzo cacopardo


C’è una sola ottica con la quale si deve osservare quanto accaduto nel pomeriggio del 1° maggio a Milano, la cosiddetta capitale morale: è l’ottica di Mario Rossi, cittadino comune ed esemplare, contribuente fedele, studente, impiegato, professionista, commerciante, pensionato.
Mario Rossi ha visto attenuarsi (eufemismo che significa crollare) le tutele di cui disponeva: nella pratica poliziesca e giudiziaria una serie di reati di quotidiana constatazione sono stati abbandonati; poi, una sconsiderata legge ha depenalizzato oltre 100 reati, come dire, normali, nel senso che ne accadono a migliaia ogni giorno; infine a Milano (dopo Napoli, Genova, Roma) la diserzione dello Stato di fronte al compito di tutelare i suoi cittadini, secondo Costituzione e codice penale.
Cosa possono rispondere Alfano e il suo capo della Polizia (che giusto il 1° mattina dichiarava che la situazione era sotto controllo) al signor Rossi (la signora di via Carducci che ha visto il suo piccolo negozio di pasticceria devastato e incendiato il suo furgoncino) colpito nella sua persona, anche indirettamente, poiché lo spettacolo offerto dai disadattati convenuti a Milano da tutta Europa lo ha direttamente e indirettamente leso?
Che era tutto previsto e sotto controllo e magari ch’era il caso di vantarsi «Ammu evitato ‘u muorto», come affermò l’esimio e napoletanissimo (come il capo della Polizia) questore di Roma dopo l’invasione dei tifosi del Fyenoord?
Diciamolo subito. A Milano c’è stata una palese reiterazione della tecnica messa in atto a Genova: tutelare una zona «off-limits» (o rossa) mediante un cordone impenetrabile di forze dell’ordine e abbandonare il resto della città nelle mani degli schizzati, gli stupidi nihilisti che producono ferite a se stessi e consensi ai loro nemici.
Ma la Polizia e i Carabinieri non debbono tutelare l’ordine pubblico? Non hanno il dovere di impedire danni morali, patrimoniali e fisici nei confronti dei cittadini inermi, cui è vietato di armarsi e di difendersi? Non hanno il dovere di intervenire in via preventiva nei centri sociali con perquisizioni per cercare armi proprie e improprie? Non avevano il dovere, la notte prima dell’inaugurazione dell’Expo di irrompere nei ben noti centri degli antagonisti di Milano per disturbare il sonno, le fumate, le sniffate, le bevute di tutta questa gente (che s’è già bevuta il cervello), per privarli delle mazze di cui disponevano e di tutto l’armamentario del piccolo terrorista?
Non avevano il dovere di arrivare nella notte o al mattino presto nelle sedi dei sedicenti centri sociali d’Italia e fare le stessa cosa? Certo che l’avevano.
Non l’hanno fatto.
C’è una sola spiegazione di fronte a questa diserzione nei confronti dei propri doveri e la si trova nella riforma del codice di procedura penale introdotta con il decreto legislativo 22 settembre 1988, n. 447. Ricordiamo alcuni articoli significativi: il 330 (il pubblico ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di reato presentate o trasmesse …) e il 347 (acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria, senza ritardo, riferisce al pubblico ministero … comunica, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona … quando sussistono ragioni di urgenza, la comunicazione della notizia di reato è data immediatamente anche in forma orale... ).
Questo significa un rapporto di dipendenza permanente e funzionale, anche prima della «notitia criminis», della polizia (giudiziaria) nei confronti dell’ufficio del pubblico ministero, sempre più proiettato verso l’investigazione come stratega delle indagini.
Come abbiamo visto ovunque nel Paese (e da ultimo a Milano dove 3 tedeschi espulsi dall’Italia in quanto identificati in un centro abusivamente occupato –reato di per sé, l’occupazione- hanno beneficiato di una revoca dell’espulsione decisa dal giudice civile su loro ricorso), la tendenza degli uffici giudiziari è quella di non autorizzare una puntuale e specifica prevenzione delle attività degli antagonisti mediante perquisizioni, intercettazioni, controllo di sms e email, in modo da conoscere per tempo le intenzioni (illegali) di questa gente e di intervenire per evitare il manifestarsi di attacchi alla popolazione inerme.
È questo che impedirebbe, secondo fonti del ministero dell’interno, una efficacia azione della Polizia e dei Carabinieri, circoscrivendo il loro campo di azione in una difesa passiva che, nella pratica, è una vera e propria autorizzazione al danneggiamento di cose e persone.
Se questa è la dura realtà, essa merita una riflessione del governo, nel suo complesso, non dell’esangue ministro della giustizia.
Torna alla mente l’impressionante osservazione di Giuseppe de Rita, fondatore e presidente del Censis (il centro di ricerche sociali e sociologiche più prestigioso d’Italia). Egli sostiene che in Italia c’è una tripolarità del potere: i professionisti del contrasto alla corruzione; i professionisti della comunicazione di massa, luogo di rimbombo delle campagne di moralizzazione (e, di intossicazione dell’opinione pubblica, ndr); i professionisti del potere locale. Il resto non conta, viaggia sulla deriva delle correnti mosse dai tre poteri.
Riflettere sui danni prodotti anche dal 1° maggio milanese è necessario e dà una chiave d’interpretazione della crisi nazionale e della difficoltà di uscirne.
Modificare il sistema, imponendo di operare per Mario Rossi, è dovere del governo, se vuole che l’Italia ricominci a respirare l’ossigeno della libertà e di una relativa serenità.
Domenico Cacopardo





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