12 mag 2015

Una nota al nuovo editoriale di Domenico Cacopardo sulla spending review

Ancora una volta Domenico indica con puntualità l'inspiegabile contraddizione relativa alle riforme. La teoria dei tagli lineari è sempre stata inutile oltre che riduttiva e tipica di chi lavora per semplificare, ma non per rendere il sistema più semplice (differenza non di poco conto). Soprattutto per il Mezzoggiorno del Paese, tale metodo, rimane penalizzante.

Per quanto riguarda il termine "in house providing", (come giustamente espone Domenico) viene indicata l’ipotesi in cui un committente pubblico, derogando al principio di carattere generale dell’evidenza pubblica, in luogo di procedere all’affidamento all’esterno di determinate prestazioni, provvede in proprio all’esecuzione delle stesse attribuendo l’appalto o il servizi di cui trattatasi ad altra entità giuridica di diritto pubblico mediante il sistema di un affidamento diretto ossia senza gara. Ma sappiamo che negli affidamenti in house non vi può essere il coinvolgimento degli operatori economici nell’esercizio dell’attività della Pubblica Amministrazione, per cui è chiaro che le regole sulla concorrenza sugli appalti pubblici, non vengono messi in rilievo. Questo è un modello organizzativo in cui una pubblica amministrazione provvede da sé al perseguimento degli scopi pubblici. Una sorta di auto-organizzazione che chiaramente non risulta tanto compatibile con una riforma che dall'altro lato deve tenere conto di una spending review oculata ed equilibrata.


Non so se le argomentazioni esposte a fine articolo da Domenico Cacopardo sono in realtà le vere ragioni e cioè... se veramente quei centri definiti parassitari appartenenti ad una vecchia repubblica, impediscono ad un governo determinato e deciso come quello del sindaco d'Italia, di proseguire verso una spending review che possa migliorare i dati della contabilità nazionale ed introdurre un po’ di moralità nel sistema degli appalti. Ma una cosa è certa: il tempo è passato ed ancora, dopo il piano Cottarelli , nulla sembra muoversi in proposito ed in senso chiaro.
vincenzo cacopardo


C’è una sorta di inspiegabile antinomia tra le riforme che si annunciano e il silenzio sulla «spending review», seppellita, dopo Cottarelli, sulle scrivanie del duo Perotti e Gutgeld, consiglieri non retribuiti di Renzi. Questa del lavoro a titolo gratuito è una trovata di moda di questi tempi e contraddice principi morali, pratici e funzionali (visto che se non sei pagato, puoi fare ciò che ritieni meglio).
La «spending review» è, in parole povere, il taglio delle spese dello Stato, delle regioni e dei comuni. In una spesa complessiva di circa 830 miliardi di euro l’anno, ci dovrebbe essere ampio spazio per tagli non più lineari, ma indirizzati alle innumerevoli fonti di spreco e di dissipazione. Per esempio le migliaia (9000?) società pubbliche partecipate dai tre soggetti istituzionali di cui sopra, in gran parte deficitarie, quasi tutti create in frode alla legge. Perché in frode alla legge? Perché con la riforma della legge comunale e provinciale Bassanini è stato consentita la costituzione di società cui affidare l’attuazione di particolari compiti della pubblica amministrazione. Le cosiddette «inhouse». Si tratta di delegare a un soggetto esterno di proprietà dell’amministrazione incaricata, l’esecuzione di funzioni proprie della stessa. C’è da chiedersi come mai questa «gabola» abbia avuto tanto successo. Lo spieghiamo: 1)consente al sindaco, al presidente della regione, al ministro di associare nell’impresa un privato, possibilmente amico, attraverso una procedura «aggiustabile»; 2)autorizza il sindaco, il presidente etc. ad affidare alla società così formata, per esempio, la realizzazione di un certo tipo di opere pubbliche. E qui il ragionamento si fa chiaro: poiché questo soggetto ha natura privatistica, può non applicare la normativa europea e nazionale sugli appalti e affidare all’amico di turno progettazione, direzione lavori e tutto quanto riguarda l’esecuzione dell’opera. Alcuni, più raffinati, incaricano la società in questione di trovare un «general contractor» e quindi, frappongono tra se stessi e il malaffare due sbarramenti. Certo, si sa che la Corte di cassazione e il Consiglio di Stato hanno escluso la natura privata di questo genere di attività e disposto l’applicazione della normativa europea e nazionale.
Ma nel comune di «Oltredisotto» non lo sanno, lo dimenticano, lo aggirano, continuando a fare ciò che da oltre un decennio fanno. E, se nessuno ricorre, abbondante acqua arriva all’orto dell’amministratore.
Se torniamo al governo Renzi e alla «spending review» è facile chiedersi il perché di questa inerzia rispetto a un fenomeno che andrebbe rimosso per migliorare i dati della contabilità nazionale e per introdurre un po’ di moralità nel sistema degli appalti.
C’è una sola ragionevole spiegazione: finché sarà in carica questo Parlamento espressione della vecchia seconda Repubblica, se il governo attaccasse i centri di spesa parassitari, ben più forti (politicamente) delle categorie organizzate, in poche ore perderebbe l’appoggio della sua maggioranza, composta da gente che è espressione del sistema.
Solo col nuovo Parlamento, tagliato il cordone ombelicale con i gruppi sociali che controllano il vecchio, il governo, se vorrà restituire al Paese la voglia di correre, potrà incamminarsi sulla pericolosa, ma vitale strada dell’effettiva «spending review».
Domenico Cacopardo



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