30 ott 2015

Una riflessione su un articolo di Domenico Cacopardo sul Congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati

L'impeccabile analisi di Domenico Cacopardo sul Congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati e sui tempi della giustizia mi spinge in una più approfondita riflessione sul lavoro dei giudici.

Così come si è criticato in un precedente post il ruolo del CSM che spesso deborda dai suoi principali compiti, bisogna tenere in considerazione il lavoro svolto dal singolo magistrato il quale, oggi, è sicuramente sottoposto ad un carico eccessivo per il moltiplicarsi delle cause e per gli affari di cui deve occuparsi. Le ultime riforme in campo di giustizia sono caratterizzate dalla generale riduzione dei termini lunghi per impugnazioni, riassunzioni etc..Il tutto restringendo sempre più le risorse che lo Stato dovrebbe per mantenere meglio le strutture ed un miglior lavoro.

Nelle Corti principali, le cause vengono di continuo rinviate di parecchi anni. E’ anche noto che, per fissare un’udienza in Cassazione, possono passare non meno di cinque anni. Tutto ciò per l’immensa mole di lavoro del singolo magistrato, dovuta al moltiplicarsi delle cause e degli affari cui deve occuparsi. A ciò bisogna porre rimedio, anche a costo di dover rompere vecchi schemi che hanno indubbiamente reso cattivi risultati.

Qualcuno potrebbe prendere ad esempio la carriera di un primario ospedaliero e confrontarla col lavoro di un magistrato per rendersi conto della enorme e diversa difformità organizzativa.

Nella funzione di un primario ospedaliero, consistente nell’esaminare e fornire indicazioni per varie decine di casi al giorno, lo stesso viene coadiuvato da una corte di ausiliari, aiuti, assistenti, persino studenti oltre che infermieri, che operano per lui una serie di indagini necessarie sul malato. Mediante questi dati e la osservazione del malato, tramite la sua indiscussa esperienza, egli può intervenire per una diagnosi e per una terapia. Infine, anche per la scrittura della diagnosi e per la terapia penseranno i suoi assistenti e gli infermieri.

A paragone, il magistrato lavora in solitario. Riceve un aiuto dal cancelliere limitato a funzioni unicamente materiali come la formazione dei fascicoli, la redazione dei verbali, la pubblicazione delle sentenze etc. Inoltre il sostegno non è più intenso poiché il rapporto, negli anni, si è ormai reso malato tanto da scoraggiare lo stesso cancelliere.

Il magistrato non ha nulla che assomigli ad una squadra di aiuti e assistenti che lo possano assistere come nel caso di un primario.
Gli aiuti del primario sono medici con lo stesso titolo di studio che lo assistono con la sola differenza di una minore esperienza e minore capacità professionale rispetto alla sua. Assistenti che nel tempo si vanno formando mediante il lavoro quotidiano.

Il magistrato invece deve fare tutto da solo per il compito assegnatogli: deve assumere le prove, esaminare i documenti, ricercare i precedenti, scrivere le sentenze oltre naturalmente tutti i vari provvedimenti. Costringere un magistrato ormai esperto a scrivere fatti puramente storici o a scrivere una motivazione che qualunque uditore potrebbe benissimo scrivere al suo posto, rappresenta un chiarissimo spreco delle risorse umane di quella che dovrebbe considerarsi “azienda giustizia”.

Lavoro che, come abbiamo già detto, equivale a quello che svolgerebbe un primario ospedaliero se gli si imponesse di far lui le analisi cliniche o le radiografie e persino praticare le iniezioni prescritte. Tutto ciò è un chiaro spreco di intollerabili proporzioni al quale bisognerebbe porre rimedio circondando il magistrato esperto, di un gruppo di ausiliari, magistrati come lui, anche se con minore esperienza, ai quali possa essere affidata la assunzione delle prove,la ricerca dei precedenti, lo studio giuridico pertinente ed in fine, la stesura delle sentenze.

In questo caso, il vantaggio che ne deriverebbe sarebbe principalmente di qualità, ma anche di maggiore velocità per la soluzione dei casi e con un incremento notevole della produzione complessiva. Un ulteriore vantaggio sarebbe quello di fornire una maggiore preparazione alla professione dei giovani magistrati in continuo esercizio sotto la guida professionale del magistrato anziano più ricco di esperienza.

Ci si rende chiaramente conto che proposte simili potrebbero apparire miraggi, sebbene si deve essere consapevoli che la gravità della situazione è tale da indurci a formulare, anche se solo teoricamente, idee simili per spingere gli addetti ai lavori verso la ricerca di una migliore soluzione.

La considerazione sul rispetto avanzata dal consigliere Cacopardo è più che valida, ma la restrizione sulle risorse e una valida riforma per un funzionamento più corretto sopra espresso rimangono..e ciò non può che penalizzare il lavoro e la tranquillità dovuta a chi ha il compito di salvaguardare i diritti ed i doveri di tutti i cittadini che aspettano per anni sentenze, garanzie e sicurezza.
Anche in questo caso non potranno mai essere le solite riforme semplificate a risolvere l'annoso problema.
vincenzo cacopardo





Il documento finale del XXXII è un’utile lettura. È pubblicato integralmente nel sito dell’Associazione. 

Il suo aspetto più significativo è la completa assenza del cittadino, utente unico della giustizia, si tratti dell’investimento di un pedone, del furto in un appartamento, di una truffa, di un omicidio, di mafia o di corruzione, o di una lite tra privati, nella quale la tempestività della decisione è quasi più importante del merito. E nessun accenno a una politica giudiziaria che, per venire incontro alle esigenze della categoria, ha in sostanza depenalizzato decine di reati di grande impatto sociale.

Il gruppo dirigente dell’Anm, si è invece dedicato alla indicazione di esigenze, nell’ottica di migliorarne le performances ma ai fini della semplificazione del lavoro dei magistrati. Ed è tornata la questione rispetto, evocata dal dottor Sabella, infatti: «I magistrati italiani riaffermano il principio di indipendenza ed autonomia quale cardine degli equilibri costituzionali. Tale principio non può alimentarsi di un ossequio formale, ma deve basarsi su di una cultura fondata sul rispetto, su norme che regolano lo stato giuridico della magistratura e ne disciplinano la responsabilità e l’efficiente sistema di governo autonomo, nonché su norme processuali che definiscano ruolo e doveri dei magistrati …»

Ciò che si pretende con questa affermazione è un ossequio sostanziale, fondato su elementi connessi alla persona che esercita la funzione affidatagli, a prescindere dalla sua capacità, solerzia, equilibrio e impegno nel lavoro. Una specie di riconoscimento a scatola chiusa che dovrebbe derivare da una nuova cultura, quella, appunto del rispetto. 

In un Paese nel quale il ricambio generazionale e la modernità globale hanno posto in discussione il mondo in cui viviamo, c’è un soggetto o un’istituzione che possa imporre una cultura fondata sul rispetto di un sistema le cui inefficienze e disfunzioni cogliamo ogni giorno, ogni ora? Una percentuale crescente di italiani ha studiato e si è formata, anche lavorando, all’estero. Può essa accettare i tempi della giustizia nazionale, i suoi privilegi, l’assenza dell’orologio nei palazzi giudiziari, talché il processo italiano è di gran lunga il più lungo del mondo occidentale? 
Domenico Cacopardo

Nessun commento:

Posta un commento