In
questo articolo Domenico Cacopardo esprime il suo libero pensiero
sull'opportunità delle dimissioni della ministra Boschi, ritenendo
che non dovrebbe farlo. Domenico lo spiega in modo puntuale
accostandovi le figure politiche che nel passato sono state indotte a
farlo per i loro imbarazzanti comportamenti istituzionali. Lo fa
definendo espressione del solito acritico conformismo, accentuato da
un solito pregiudizio nei riguardi di chi come Elena Boschi è donna,
è ministro, è potente ed ammirata per la sua bellezza.
Al di
là del fatto che.. con questo principio.. potremmo anche affermare
che, ugualmente, per quanto riguarda la Cancellieri, il trattamento
poteva dipendere dal pregiudizio di non essere ammirata per il fatto
che non esprimeva alcuna bellezza, questo fatto che quando si parla
della Boschi si debba per forza avere un qualsiasi pregiudizio.. non
mi convince affatto.
A
riguardo.. per il sottoscritto.. non esiste alcun
pregiudizio..ritenendo tra l'altro inutile e persino in favore della
stessa ministra il fatto di aver intrapreso una azione di sfiducia
che.. di sicuro..le offrirà nel futuro maggiore visibilità
supportata da un conseguente vittimismo. Era tra l'altro chiaro che
tale mozione non sarebbe mai passata.. non rendendo alcun
vantaggio ai sprovveduti parlamentari che vi hanno creduto! Infine..
il suo conflitto è sempre apparso assai debole..al contrario di
quanto esprime un quadro di insieme della faccenda che concerne il
mancato impegno da parte del governo.
Il mio
personale giudizio su colei che io ho sempre definito “la bella
addormentata tra i Boschi” è differente ed è concentrato
esclusivamente sulle sue difettose riforme.. tanto assurde che dannose
per gli stessi principi di una democrazia: “Addormentata”... nel
senso che pare dormire sopra un soffice letto di riforme talmente
comodo per chi intende governare senza impedimenti in barba a
qualsiasi possibile controllo parlamentare. E' difficile per chi
come me ama lo studio della politica valutare una figura in modo
pregiudizievole per invidia o addirittura per la sua immagine, ma lo
è di sicuro dover digerire l'impianto del suo combinato di riforme
che costringono e chiudono ogni futuro ad un ordinamento della
politica più funzionale ed utile. Riforme volute da chi non pare
portare rispetto ed alcuna sensibilità verso un sistema di
democrazia che richiede partecipazione dal basso.
Mi
auguro perciò che Domenico non mi accomuni a qualsiasi altra persona
capace solo di valutare per immagine con spirito acritico e
conformista, e che..al contrario.. possa percepire il mio pensiero
rivolto esclusivamente al funzionamento di un processo politico che
non può mai risoversi con tale semplicità e fretta e che può
essere analizzato con giusto spirito critico.
Vincenzo
Cacopardo
Non è
stupefacente l’allinearsi di giornali e media sull’asserzione che
la Boschi goda di un trattamento diverso e privilegiato rispetto alla
Idem, alla Cancellieri, alla De Girolamo e a Lupi, tutti indotti alle
dimissioni dall’emergere di notizie, quanto meno imbarazzanti, sui
loro comportamenti istituzionali ed extraistituzionali. È
l’espressione del solito acritico conformismo, accentuato da una
sorta di insidioso pregiudizio nei confronti di Elena Boschi per le
solite, già esplorate ragioni: è donna, è ministro, è potente e,
infine, è ammirata per la sua bellezza.
Josefa
Idem, governo Letta, si dimise perché il marito, col quale gestiva
una palestra, aveva dimenticato di
pagare l’Ici e la cosa era stata oggetto di formale contestazione:
un comportamento della cui scorrettezza nessuno ha dubitato, compresa
la Idem che dopo un paio di giorni di burrasca mediatica rinunciò
all'incarico ministeriale.
Per
la prefetta Cancellieri, ministro della giustizia, la pietra dello
scandalo erano le registrazioni di alcune sue telefonate a uno dei
fratelli Ligresti, nelle quali laministra
della “giustizia” esprimeva
solidarietà umana a
uno dei predetti fratelli ristretto nelle patrie galere. In quei
giorni, era anche emerso che un figlio dellaministra aveva
lavorato dai Ligresti in posizione rilevante nel complesso del caso
Sai-Fondiaria e che era poi transitato in altra azienda.
Ritengo
ancora oggi che la signora Cancellieri si sarebbe dovuta dimettere
immediatamente e che il suo flebile primo ministro, Enrico Letta,
avrebbe dovuto imporle le dimissioni. Che, giustamente, Maria Elena
Boschi, allora, aveva sollecitato.
Per
memoria, ricordo che questa Cancellieri è uno dei regali avvelati di
Napolitano.
L’onorevole
De Gerolamo era stata tirata in ballo dalle registrazioni di
conversazioni tra due persone da lei conosciute e a lei estranee,
inquisite per lo scandalo Asl di Benevento. La natura delle accuse
rivolte a quegli estranei era particolarmente pesante e la ministra,
forse autorevolmente consigliata, si decise a presentare le
dimissioni, accolte il giorno dopo dal premier Letta.
Maurizio
Lupi, dimissionario il 20 marzo 2015 (governo Renzi), è stato
vittima di rivelazioni riguardanti suo figlio, presunto (ma non
tanto) beneficiario di incarichi e regali di valore nel contesto
dello scandalo grandi opere,
quello, per intenderci del Consorzio Venezia Nuova. Lupi, di fronte
al montare delle accuse, forse su pressioni del premier e
del capo del suo partito Alfano, si dimise.
Veniamo
a Maria Elena Boschi. La sua colpa è quella di essere figlia
dell’exvicepresidente di Banca Etruria, una delle quattro banche
nella tempesta, commissariate e, in questi giorni, salvate.
Allo
stato, Pierluigi Boschi non è oggetto di avviso di garanzia. Lo si
può dire, in quanto, se lo fosse, ne sarebbero piene le pagine dei
giornali.
Quando
Pierluigi Bersani, speculando poco, ma speculando, accomuna la Boschi
alla Idem, alla Cancellieri (il caso più grave e impunito, forse –si
dice- per il permanente sostegno del presidente della Repubblica
dell’epoca), alla De Girolamo e a Lupi, sbaglia in genere numero e
caso, evocando una specie di biblica maledizione per la quale i figli
dovrebbero pagare per le colpe (presunte, attualmente) dei genitori.
Naturalmente,
c’è dell’altro.
C’è
l’art. 35 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, che, al
3° comma, dispone: «L'esercizio dell'azione sociale di
responsabilità e di quella
dei creditori sociali contro i membri degli organi amministrativi e
di controllo e il direttore generale, dell'azione contro il soggetto
incaricato della revisione legale dei conti, nonché dell'azione del
creditore sociale contro la società o l'ente che esercita
l'attività di direzione e coordinamento spetta ai commissari
speciali sentito il comitato di sorveglianza, previa autorizzazione
della Banca d'Italia.»
Franco
Bechis, giustamente, ne denunzia la scandalosità.
Tuttavia,
anche per esperienza personale, ritengo che si tratti di una norma di
favore non per gli amministratori (non tutti) ma per la Banca
d’Italia, non insolita a chiedere e, talora, pretendere norme di
salvaguardia del genere. Ricordo il caso del salvataggio di Sir
(Rovelli) e Liquigas (Ursini), nel cui decreto il governatore della
Banca d’Italia chiese e ottenne che fosse inserito un articolo che
rendeva esenti da conseguenze penali gli amministratori degli
istituti di credito coinvolti e per li rami la Banca d’Italia
medesima per i possibili omessi controlli.
Quindi
il 3° comma dell’art. 35 è una norma di favore per la Banca
d’Italia che, nell’esercizio (immotivato) della sua facoltà di
consentire o meno l’esercizio dell’azione sociale di
responsabilità, può salvare coloro
che hanno operato a stretto contatto con la Banca stessa o che erano
portatori di suoi orientamenti.
Questa
è una norma a regime, al di là e al di fuori del regolamento
comunitario, che va rimossa il prima possibile, per rendere questa
Banca d’Italia, ben lontana da quella di Einaudi, Menichella e
Baffi, un soggetto pienamente inserito nell’ordinamento e
responsabile di atti, omissioni e distrazioni se mai ce ne fossero e
fossero dimostrati.
Per
ciò che, nello specifico, concerne la Boschi, la norma non solo è
generale, ma altresì ha mostrato la propria inefficacia nei
confronti degli amministratori di Banca Etruria, Banca Marche, Casse
di risparmio di Chieti e Ferrara, in quanto le azioni di
responsabilità nei confronti degli amministratori, compreso
Pierluigi Boschi, sono state tutte iniziate e, se il giudice le
riterrà fondate com’è lecito ritenere, i patrimoni dei convenuti
(gli amministratori) saranno duramente attaccati. Salve le eventuali
responsabilità penali.
Queste
fanno pensare al procuratore della Repubblica di Arezzo, consulente
(uno degli 81) di palazzo Chigi, Roberto Rossi: sarebbe stato
opportuno che avesse rinunciato all’incarico nel momento
in cui il governo affrontava questioni che potevano avere riflessi
penali deducibili da parte del suo ufficio. Se non l’ha fatto, lo
faccia subito: la sua posizione è già insostenibile.
Queste
le ragioni per le quali non ritengo che Maria Elena Boschi debba
dimettersi e che, anzi, debba continuare nel suo determinato impegno
per le riforme di cui ha bisogno l’Italia.
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