20 dic 2015

Un commento alla analisi di Domenico Cacopardo sulle possibili dimissioni della Boschi

In questo articolo Domenico Cacopardo esprime il suo libero pensiero sull'opportunità delle dimissioni della ministra Boschi, ritenendo che non dovrebbe farlo. Domenico lo spiega in modo puntuale accostandovi le figure politiche che nel passato sono state indotte a farlo per i loro imbarazzanti comportamenti istituzionali. Lo fa definendo espressione del solito acritico conformismo, accentuato da un solito pregiudizio nei riguardi di chi come Elena Boschi è donna, è ministro, è potente ed ammirata per la sua bellezza.

Al di là del fatto che.. con questo principio.. potremmo anche affermare che, ugualmente, per quanto riguarda la Cancellieri, il trattamento poteva dipendere dal pregiudizio di non essere ammirata per il fatto che non esprimeva alcuna bellezza, questo fatto che quando si parla della Boschi si debba per forza avere un qualsiasi pregiudizio.. non mi convince affatto.

A riguardo.. per il sottoscritto.. non esiste alcun pregiudizio..ritenendo tra l'altro inutile e persino in favore della stessa ministra il fatto di aver intrapreso una azione di sfiducia che.. di sicuro..le offrirà nel futuro maggiore visibilità supportata da un conseguente vittimismo. Era tra l'altro chiaro che tale mozione non sarebbe mai passata.. non rendendo alcun vantaggio ai sprovveduti parlamentari che vi hanno creduto! Infine.. il suo conflitto è sempre apparso assai debole..al contrario di quanto esprime un quadro di insieme della faccenda che concerne il mancato impegno da parte del governo.

Il mio personale giudizio su colei che io ho sempre definito “la bella addormentata tra i Boschi” è differente ed è concentrato esclusivamente sulle sue difettose riforme.. tanto assurde che dannose per gli stessi principi di una democrazia: “Addormentata”... nel senso che pare dormire sopra un soffice letto di riforme talmente comodo per chi intende governare senza impedimenti in barba a qualsiasi possibile controllo parlamentare. E' difficile per chi come me ama lo studio della politica valutare una figura in modo pregiudizievole per invidia o addirittura per la sua immagine, ma lo è di sicuro dover digerire l'impianto del suo combinato di riforme che costringono e chiudono ogni futuro ad un ordinamento della politica più funzionale ed utile. Riforme volute da chi non pare portare rispetto ed alcuna sensibilità verso un sistema di democrazia che richiede partecipazione dal basso.

Mi auguro perciò che Domenico non mi accomuni a qualsiasi altra persona capace solo di valutare per immagine con spirito acritico e conformista, e che..al contrario.. possa percepire il mio pensiero rivolto esclusivamente al funzionamento di un processo politico che non può mai risoversi con tale semplicità e fretta e che può essere analizzato con giusto spirito critico.
Vincenzo Cacopardo



Non è stupefacente l’allinearsi di giornali e media sull’asserzione che la Boschi goda di un trattamento diverso e privilegiato rispetto alla Idem, alla Cancellieri, alla De Girolamo e a Lupi, tutti indotti alle dimissioni dall’emergere di notizie, quanto meno imbarazzanti, sui loro comportamenti istituzionali ed extraistituzionali. È l’espressione del solito acritico conformismo, accentuato da una sorta di insidioso pregiudizio nei confronti di Elena Boschi per le solite, già esplorate ragioni: è donna, è ministro, è potente e, infine, è ammirata per la sua bellezza.
Josefa Idem, governo Letta, si dimise perché il marito, col quale gestiva una palestra, aveva dimenticato di pagare l’Ici e la cosa era stata oggetto di formale contestazione: un comportamento della cui scorrettezza nessuno ha dubitato, compresa la Idem che dopo un paio di giorni di burrasca mediatica rinunciò all'incarico ministeriale.
Per la prefetta Cancellieri, ministro della giustizia, la pietra dello scandalo erano le registrazioni di alcune sue telefonate a uno dei fratelli Ligresti, nelle quali laministra della “giustizia” esprimeva solidarietà umana a uno dei predetti fratelli ristretto nelle patrie galere. In quei giorni, era anche emerso che un figlio dellaministra aveva lavorato dai Ligresti in posizione rilevante nel complesso del caso Sai-Fondiaria e che era poi transitato in altra azienda.
Ritengo ancora oggi che la signora Cancellieri si sarebbe dovuta dimettere immediatamente e che il suo flebile primo ministro, Enrico Letta, avrebbe dovuto imporle le dimissioni. Che, giustamente, Maria Elena Boschi, allora, aveva sollecitato.
Per memoria, ricordo che questa Cancellieri è uno dei regali avvelati di Napolitano.
L’onorevole De Gerolamo era stata tirata in ballo dalle registrazioni di conversazioni tra due persone da lei conosciute e a lei estranee, inquisite per lo scandalo Asl di Benevento. La natura delle accuse rivolte a quegli estranei era particolarmente pesante e la ministra, forse autorevolmente consigliata, si decise a presentare le dimissioni, accolte il giorno dopo dal premier Letta.
Maurizio Lupi, dimissionario il 20 marzo 2015 (governo Renzi), è stato vittima di rivelazioni riguardanti suo figlio, presunto (ma non tanto) beneficiario di incarichi e regali di valore nel contesto dello scandalo grandi opere, quello, per intenderci del Consorzio Venezia Nuova. Lupi, di fronte al montare delle accuse, forse su pressioni del premier e del capo del suo partito Alfano, si dimise.
Veniamo a Maria Elena Boschi. La sua colpa è quella di essere figlia dell’exvicepresidente di Banca Etruria, una delle quattro banche nella tempesta, commissariate e, in questi giorni, salvate.
Allo stato, Pierluigi Boschi non è oggetto di avviso di garanzia. Lo si può dire, in quanto, se lo fosse, ne sarebbero piene le pagine dei giornali.
Quando Pierluigi Bersani, speculando poco, ma speculando, accomuna la Boschi alla Idem, alla Cancellieri (il caso più grave e impunito, forse –si dice- per il permanente sostegno del presidente della Repubblica dell’epoca), alla De Girolamo e a Lupi, sbaglia in genere numero e caso, evocando una specie di biblica maledizione per la quale i figli dovrebbero pagare per le colpe (presunte, attualmente) dei genitori.
Naturalmente, c’è dell’altro.
C’è l’art. 35 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, che, al 3° comma, dispone: «L'esercizio dell'azione sociale di responsabilità e  di  quella dei creditori sociali contro i membri degli organi  amministrativi  e di controllo e il direttore generale, dell'azione contro il  soggetto incaricato della revisione legale dei conti, nonché dell'azione  del creditore  sociale  contro  la  società  o   l'ente   che  esercita l'attività  di  direzione  e  coordinamento  spetta  ai   commissari speciali sentito il comitato di sorveglianza,  previa  autorizzazione della  Banca  d'Italia.»
Franco Bechis, giustamente, ne denunzia la scandalosità.
Tuttavia, anche per esperienza personale, ritengo che si tratti di una norma di favore non per gli amministratori (non tutti) ma per la Banca d’Italia, non insolita a chiedere e, talora, pretendere norme di salvaguardia del genere. Ricordo il caso del salvataggio di Sir (Rovelli) e Liquigas (Ursini), nel cui decreto il governatore della Banca d’Italia chiese e ottenne che fosse inserito un articolo che rendeva esenti da conseguenze penali gli amministratori degli istituti di credito coinvolti e per li rami la Banca d’Italia medesima per i possibili omessi controlli.
Quindi il 3° comma dell’art. 35 è una norma di favore per la Banca d’Italia che, nell’esercizio (immotivato) della sua facoltà  di consentire o meno l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, può salvare coloro che hanno operato a stretto contatto con la Banca stessa o che erano portatori di suoi orientamenti.
Questa è una norma a regime, al di là e al di fuori del regolamento comunitario, che va rimossa il prima possibile, per rendere questa Banca d’Italia, ben lontana da quella di Einaudi, Menichella e Baffi, un soggetto pienamente inserito nell’ordinamento e responsabile di atti, omissioni e distrazioni se mai ce ne fossero e fossero dimostrati.
Per ciò che, nello specifico, concerne la Boschi, la norma non solo è generale, ma altresì ha mostrato la propria inefficacia nei confronti degli amministratori di Banca Etruria, Banca Marche, Casse di risparmio di Chieti e Ferrara, in quanto le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, compreso Pierluigi Boschi, sono state tutte iniziate e, se il giudice le riterrà fondate com’è lecito ritenere, i patrimoni dei convenuti (gli amministratori) saranno duramente attaccati. Salve le eventuali responsabilità penali.
Queste fanno pensare al procuratore della Repubblica di Arezzo, consulente (uno degli 81) di palazzo Chigi, Roberto Rossi: sarebbe stato opportuno che  avesse rinunciato all’incarico nel momento in cui il governo affrontava questioni che potevano avere riflessi penali deducibili da parte del suo ufficio. Se non l’ha fatto, lo faccia subito: la sua posizione è già insostenibile.
Queste le ragioni per le quali non ritengo che Maria Elena Boschi debba dimettersi e che, anzi, debba continuare nel suo determinato impegno per le riforme di cui ha bisogno l’Italia.

Domenico Cacopardo

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