Un breve commento all'articolo di domenico Cacopardo
In questo suo articolo Domenico Cacopardo esprime con animo un certo risentimento nei confronti di una verità che nel PD si vuole nascondere. La verità è quella rappresentata da chi come D'Alema...volendo esprimere un proprio pensiero... viene costantemente impedito da pesanti critiche interne. L'ex primo ministro...nel bene o nel male.. ha sempre voluto dire la sua e.. a differenza di Bersani che lancia sassi per nascondere successivamente la mano, continua ad esprimersi con libertà dimostrando coraggio in forza di un proprio pensiero.
Sappiamo
che la vita comune di tutti i giorni è rappresentata da una chiara
differenza di uomini che determinano un vero cambiamento attraverso
una azione personale del pensiero e da altri che passivamente si
adeguano. Nel mondo della politica in molti si fanno trasportare
da logiche superate o si aggrappano al pensiero altrui non
preoccupandosi mai di incidere sui percorsi..Ma se in un Partito
manca il dialogo o meglio..se il dialogo rimane unico e non si
accettano i confronti e le critiche..non esiste più quella che
dovrebbe identificarsi come una casa politica comune.
E' vero..come afferma Domenico, gli uomini..ed ancora più quelli che si occupano di politica, si giudicano per il loro operato, ma anche per le loro pubbliche prese di posizione...Chiunque prende posizioni diventa scomodo e pieghevole e D'Alema oggi sembra essere divenuto ingombrante. Ma quello che si scorge in seno a questo malato PD è la prova di un fallimentare Partito che sembra aggrappato con forza alla figura di un segretario premier che.. pur apparendo forte e deciso... nella sostanza brancola nel buio.. proprio in forza del fatto che il dialogo di ogni altra personalità, non proprio comoda, non lo si voglia più ascoltare.
vincenzo cacopardo
D'Alema è diventato un simbolo
Ingombrante
ma anche da gestire in un confronto chiaro
di domenico cacopardo
Sembrano
i «Ragazzi della via Paal», Renzi come Boka, il capo, gli altri,
Lotti, Boschi come Geréb, Nemecsek uniti dall'appartenenza alla loro
strada, non quella definita nelle varie manifestazioni alla Leopolda,
ma proprio il loro vicolo di città toscana, quello nel quale si sono
cementate amicizie, intese naturali e solidarietà nonostante tutto.
Avevano
bisogno di un nemico (ma questa è già una considerazione che
ingloba la contemporaneità e la grande forza –spesso inquinante-
della comunicazione) e l'hanno sin dall'inizio individuato in Massimo
D'Alema. Non s'è mai visto in nessuna nazione occidentale che un
leader che appartiene alla storia del Paese e alla storia di un
partito (Pci, Pds, Ds, Pd) fosse estromesso dal Pantheon delle donne
e degli uomini rilevanti a opera degli organi dirigenti del suo
medesimo partito, in fondo carne della sua carne, visto che D'Alema
s'è prodigato, dopo naturali perplessità iniziali, per la nascita
del Pd.Immaginate la Merkel che demonizza Kohl o Hollande che indica
al pubblico ludibrio Jospin o Miliband Blair.
La
cosa non avrebbe senso comune se non fosse indicativa di una
insicurezza politica e personale di fondo, che indulge ai discorsi
d'intendenza, alle beghe (quanti scontano la «condanna» di non
essere ammessi all'udienza del «Capo» perché hanno espresso
opinioni non allineate?), rinunciando al volare alto proprio degli
uomini di Stato, di coloro che lavorano sul piano della grandi idee e
dei grandi interessi nazionali, riassorbendo, là dove ci sono le
aree di dissenso, in una visione complessiva che considera tutti i
possibili contributi, anche critici, occasioni per la crescita del
movimento che rappresentano. L'«affaire» D'Alema di questi giorni
viene da lontano. E viene dalle mani di Bersani, il primo a non
pretendere la sua candidatura in Parlamento, e prosegue con la
mobilitazione di tutti i componenti della «Banda dei ragazzi della
via Paal» contro il leader di qualche anno fa. Solo che questi
«ragazzi» non sono più ragazzi e Renzi non può più essere Boka.
Gli
uomini politici si giudicano per il loro operato e per le loro
pubbliche prese di posizione. Se Renzi e l'attuale Pd considerano
D'Alema un nemico da estromettere per sempre dalla loro vita
politica, confezionino un processo politico nei suoi confronti, nel
quale sia garantita al «colpevole» la possibilità di difendersi.
Altrimenti, rinuncino a imboscate e tranelli, a pettegolezzi e
maldicenze che, alla fine, sono soltanto autolesionistiche. Come un
personaggio della grande tragedia greca, Massimo D'Alema non è un
politicante comodo, pieghevole come sono pieghevoli tanti esponenti
dal Pd attuale: considera suo dovere essere e presentarsi così come
è, con la sua storia, i suoi successi, le sue sconfitte. Non
cambierà mai. Sarà sempre quello che da primo ministro disse a un
suo ministro: «Caro non puoi raccontarmi il giornale di oggi, l'ho
letto prima di te. Se ci riesci dicci qualcosa di intelligente » Non
sarà simpatico a molti, come non lo è chi si esprime senza le
ovattate parole tipiche di un passato ormai remoto. Però, come
sostiene un personaggio letterario: «Meglio una sgradevole verità
che mille piacevoli bugie»
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