post di Paolo Speciale
Come non sempre accade in una crisi di governo, oggi i protagonisti della politica nazionale sono i tre Presidenti, e ciò con buona pace dell’ex Giuseppe Conte. Ex da tutto, sia da Palazzo Chigi, sia sostanzialmente da quel Movimento di cui, Rousseau o non Rousseau, rimane un estraneo oggi anche scomodo.
Durante il suo premierato, Conte non è mai stato considerato un esponente Cinque Stelle, ma solo il premier dell’emergenza Covid. Poi ha impersonato, senza volerlo, il bersaglio della colpevole ingratitudine della nazione e di chi la rappresenta, che gli ha preferito tout court un uomo di caratura internazionale. La storia lo consacrerà come un dilettante – solo della politica a cui siamo abituati e senza intenzione offensiva – con la fortuna di essersi trovato – lì ed ora - a gestire un evento straordinario che gli ha conferito una popolarità inaspettata. Spazzato via dal ciclone Draghi non appena apparve più che manifesto il disagio economico emerso con la pandemia, oggi il Professore Avvocato Conte consuma la sua vendetta, apprestandosi a ritirare i suoi ministri dopo il rovinoso strappo già subito dal Ministro degli Affari Esteri.
Mai come adesso una “questione personale” forse ha influito sui destini di più soggetti, ciascuno dei quali a pieno titolo coinvolti, nel bene e nel male, in un duello che resta comunque impari e certo dai più non voluto.
Vittima primaria lo stesso Movimento Cinque Stelle, che andrà avanti nel suo processo di decomposizione; vittima anche un PD debole, demotivato, in attesa di una adrenalina che ormai tarda troppo e che finirà per trasferire altri consensi – inutili ed insufficienti sul piano pratico - ad un Renzi che si illuderà di poter tornare sulla scena da protagonista.
Dall’altra parte, un centro destra fiducioso in elezioni immediate, che si riscopre unito e che certo non lamenta l’assenza dal Governo del Paese, come del resto nessun’altra forza politica di rilievo, tranne Fratelli D’Italia, che brama in tal senso.
Ora, andare al voto anticipato segnerà il ritorno di quel particolare bipolarismo italiano che dovrebbe far tornare la politica nuovamente ripartita in maggioranza ed opposizione? E come si concilierebbe tutto ciò con una ancora da più parti invocata unità nazionale che faccia fronte alle montanti emergenze nazionali ed internazionali di carattere sociale ed economico?
Il Presidente Mattarella, conscio della ricaduta improvvisa nel tunnel della mancanza di una vera leadership a livello esecutivo, prova a trattenere, anche esercitando il suo ruolo di garante, un Draghi empirista tutt’altro che teoretico, che grazie all’esperienza ha capito che il “tirare innanzi” non funziona ma soprattutto non gli aggrada; meno che meno un ritorno rigenerato che presto andrebbe verso una analoga dissoluzione.
La parola torni al popolo? Certo, ci mancherebbe altro. Purché siamo tutti consapevoli e pronti a considerare che dalle urne potrebbe uscire l’ennesimo quadro di difficile interpretazione; perché forse il bipolarismo è un male necessario, così come lo sarebbe anche un sistema proporzional – capillare, dove TUTTI – o quasi – siano rappresentati.
Ma il Governo di unità nazionale potrebbe non più costituire per forza una necessità-emergenza e divenire ordinario, in quanto legittimato da una diffusa tolleranza? Se così fosse, la democrazia - nella sua più comune accezione di lotta politica in sede parlamentare in cui siano presenti i ruoli di maggioranza-governo ed opposizione-controllo sull’operato dell’Esecutivo – sarebbe garantita e quindi presente ed operativa?
Infine, cosa si intende da più parti quando si dice “si torni alla politica, quella vera”, e quale sistema elettorale nella più comune accezione consente il totale ed ampio dispiegamento di quella democrazia che finalmente si realizza concretizzando il suo fine storico? Le riforme? A quelle non ci fa più caso nessuno; eppure sarebbero la vera adrenalina per la rinascita di una politica che sia praticata e trattata nuovamente con il rango di “scienza”, che molto le si addice.
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