(inerente alla ricerca ed allo studio della politica, non possiamo trascurare questo commento di un profondo politologo come Giovanni Sartori)
IL DIVIETO DI VINCOLO DEL MANDATO
La libertà degli eletti
Nel mio
ultimo pezzo di febbraio il cui titolo doveva essere Le bugie elettorali dalle
gambe lunghe scrivevo in esordio: «Che brutte elezioni». Era facile
indovinarlo, ma non ho indovinato abbastanza. L’elezione è stata più che
brutta, bruttissima; e il bello è che tra i suoi tre quasi-vincitori è stata
quasi vinta da una organizzazione incostituzionale. Io non ho titolo per
sottoporre la questione all’esame della Corte costituzionale. Ma l’Italia, mi
raccontavano da bambino a scuola, è «la patria del diritto». Del diritto romano
certo; ma del diritto costituzionale delle democrazie rappresentative (moderne)
si direbbe proprio di no. E ancor meno ne sa, temo, la appena eletta presidente
della Camera che ha esordito con questa puerile sparata retorica: «Noi abbiamo
la più bella Costituzione del mondo».
Temo di no.
Ho sostenuto più volte che quel testo andava emendato sui poteri del governo,
che sono insufficienti; che i nostri costituenti avevano dimenticato di
richiedere ai partiti dei veri e propri statuti, e che non avevano previsto lo
«stato di emergenza» o di necessità: un istituto che sarebbe davvero servito,
per esempio, a legittimare e rafforzare il governo Monti senza dover ricorrere
alla fragile finzione del «governo del presidente». Ma salvo ritocchi come
questi, ho sempre avversato l’idea di scrivere una nuova Costituzione
ricorrendo ad una Assemblea costituente di politici.
Le buone
Costituzioni sono sempre state stilate da giurisperiti, mentre le Costituzioni
che sono un parto assembleare (vedi America Latina) sono state quasi tutte
pessime (come non potevano non essere). Comunque, il primo punto da fermare è
che il XX secolo ha anche prodotto Costituzioni intelligenti e innovative quali
la attuale Costituzione della Germania federale, e la Costituzione
semi-presidenziale (da non chiamare presidenziale, come è invalso nello sciatto
giornalismo dei nostri giornali) della V Repubblica francese, la Costituzione
stesa da Debré (e poi in parte modificata, ma senza danno, anzi).
Ma veniamo
al punto che davvero importa. Questo: che il divieto del mandato imperativo è
stato formulato dai costituenti della Rivoluzione francese, e che da allora si
ritrova in tutte le Costituzioni ottocentesche e in buona parte anche in quelle
del Novecento. Perché? Semplicemente perché istituisce la rappresentanza
politica (di diritto pubblico) dei moderni. Senza questo divieto si ricadrebbe
nella rappresentanza medioevale, nella quale, appunto, i cosiddetti
rappresentanti erano ambasciatori, emissari, portavoce che «portavano la
parola» dei loro padroni e signori. Il loro mandato era imperativo perché
dovevano solo riferire senza potere di trattare. Esattamente come pretendono
oggi Grillo e il suo guru.
Mi sembra
chiaro che della ragion d’essere costituzionale (ineliminabile) del divieto del
mandato imperativo (la cui formula è: «I rappresentanti rappresentano la
nazione») Grillo-e-Guru non sanno nulla. Ma questo non li giustifica né li
legittima. Fanno finta di praticare una nuova democrazia diretta (telematica).
Ma la verità è che nel loro macchinario ha voce, e parla, solo la loro voce.
Confesso che non riesco a capire come la nostra Corte costituzionale non abbia
sinora veduto una così macroscopica violazione costituzionale.