22 giu 2013

Il coraggio di cambiare



Già da parecchi anni analizzo il cammino di una politica che stenta a dare forza ad un processo funzionale ed istituzionale del nostro Paese. Da quando scrissi il mio piccolo libro “La politica ed il cambiamento” nel quale avevo già messo in evidenza tutte le difficolta' di un sistema bipolare troppo anticipato nei tempi, rispetto ad una Repubblica edificata sul centrismo democristiano, sono passati ben quattordici anni. Nel trascorrere di questi, ho approfondito con l’esclusivo senso della passione che mi avvince, la possibilità di altri percorsi più inerenti al processo di una veloce modernizzazione. Sono idee teoriche poste come ricerca per il riscontro di un alternativo sistema che, da troppo lungo tempo, si basa sulle ormai poco costruttive posizioni antitetiche sinistra –destra.

Questa è la ragione per la quale mi son sentito fortemente attratto dalle parole del Senatore Monti che, con sorpresa ha toccato un campo sul quale ho svolto con attenzione le mie analisi. 
Nel mio studio,…ho ricercato una strada verso un progetto di innovazione della politica rivolto verso una specializzazione dei ruoli (induttivi-deduttivi) dove la parola chiave dovrebbe essere “funzionalità”, come sinonimo di efficienza ed innovazione ma anche intesa come teoria secondo la quale, la funzione di ognuno, ha una importanza predominante sulla evoluzione stessa. Uno studio che dovrebbe basarsi su un principio di specializzazione e di suddivisione del lavoro.

La evidente dicotomia che scaturisce in un sistema come il nostro, che per Costituzione rimane di principio Parlamentare, fa si che possano automaticamente sorgere contrasti i quali, non favoriscono lo sviluppo naturale di una vera politica costruttiva. Quella simbiosi politica evidenziata nel Diritto Costituzionale, affinché ambedue i poteri potessero camminare in sinergia, per far sì che si costruissero assieme leggi, programmi e relative mansioni amministrative, si è persa poiché vittima della mancanza di valori fondamentali ormai spariti. Alcuni programmi esposti in sede di elezioni vengono esclusi o non inseriti nei tempi dovuti, altri, scaturiscono in un gioco di condizionamento in corso d’opera che ne cambia il senso e la volontà espressa in un primo momento. Il risultato di tutto ciò è sempre un brutto ed inaccettabile compromesso. Da qui l’esigenza di dover distinguere i ruoli persino in termini di carriere.

Credo che la politica non possa avere solo un sintetico senso del governare, in quanto essa racchiude in se i contenuti di teoria e pratica, di arte e scienza, di idea e funzionamento. La politica rimane arte nel principio consistente la ricerca delle idee, nel confronto con i cittadini, nella mediazione, diventa scienza nell’esercizio della sua funzione amministrativa legata allo sviluppo costruttivo della società. Ecco perchè, la necessità di determinare e distinguere i differenti ruoli.

In base a questo concetto, si pone anche quello che potrebbe oggi apparire come un paradosso e cioè: Chiunque, motivato da una capacità creativa, geniale ed intuitiva, potrebbe essere in grado di saper creare iniziative politiche idonee e funzionali alle esigenze,  anche se solo in termini teorici. ( Le capacità di chi esercita questo ruolo appaiono  essere prevalentemente di inventiva il che comporta sicuramente quell’intuito e quella sensibilità per certi versi vicina alla capacità creativa di un artista in senso lato. Sebbene costoro, devono sempre avere una buona conoscenza dell’aspetto sociale ed istituzionale del paese in cui si vive).

Ben diversa rimane l’attività di chi deve predisporsi per una amministrazione in termini di conoscenza e quindi anche di esperienza per la soluzione di un processo costruttivo e di un buon funzionamento: Chi amministra deve avere un ruolo determinato e diretto verso la conoscenza scientifica di ciò che si deve con efficienza realizzare.

In base a ciò.. sembra, quindi, più che necessario dover guidare un processo di modernizzazione della politica che parta dai principi di una giusta funzione della dottrina. Un percorso più efficiente che possa esser costruito col dialogo ed insieme ai cittadini, ma che possa anche definire un ruolo amministrativo più concreto e sicuro.

Un rivoluzionario cambiamento che potrà vedere anche territorialmente competenze diverse lasciando alle regioni una politica di indirizzo seguita dai ruoli parlamentari ed ai comuni (che necessitano prevalentemente di strutture e servizi).. un’unica politica seguita dai ruoli amministrativi.


Percorsi innovativi per il cambiamento

L’idea di poter dividere in modo più deciso le funzioni del potere legislativo da quello esecutivo, affidando ruoli separati per tutto l’arco della legislatura, non è sicuramente gradito alle forze politiche odierne: Il fatto di non poter dare contestualmente voce ed esecuzione alle loro azioni, li vedrebbe sottoposti in uno strano compito che non riuscirebbero a percepire positivamente. La maggioranza di loro si opporrebbe di certo ad una idea simile, ritenendo impossibile creare un ambito in cui chi governa e decide un programma, non viene contestualmente inserito in quella opera di costruzione delle leggi, essenziale per la determinazione progettuale di ciò che si vuole realizzare. Rimane comunque, il fatto che proprio ”un programma”, in via preventiva, non può non essere  vagliato, discusso, partecipato ed infine votato dagli stessi cittadini.

La visione odierna è certamente legata ad una condizione che lega in modo assiomatico il compito del politico nel suo genere: Una concezione che parte dal principio che chi governa, oltre a decidere, deve essere in grado di definire le normative. Un concetto legato ad una politica determinata nel passato, in cui si aveva una visione alta dei suoi valori, suggerendo costituzionalmente un armonico raccordo tra i due poteri, al fine di una costruzione più utile e corretta.

Ed è proprio questa la base di partenza sulla quale si potrebbe porre qualche riserva, poiché non è detto che, oggi, questa procedura possa essere quella giusta per determinare la funzionalità e la concretezza delle proposte. Anzi, partendo dall’alto, ogni proposta, finisce spesso con l’essere bloccata o distorta in via parlamentare. Al contrario, poi, attraverso la molteplicità dei decreti o le richieste di fiducia, si svilisce notevolmente il lavoro dei parlamentari.

Nel sistema che ancora oggi si vuole di democrazia, si è ormai creata una anomalia di chi governa in contrasto con chi legifera. Tanto estesa e ricca di compromessi, questa anomalia, determina una apparente e, non più realistica organizzazione democratica. La vera democrazia soffre e porta il cittadino ad una  possibilistica visione futura di un sistema più duro e deciso, ma almeno più stabile, assai vicino ad una dittatura. Nel nostro sistema di democrazia parlamentare, si pretende oggi, una più stabile governabilità e, a volte, irragionevolmente, non si accetta che chi governa si possa sottoporre al consenso di un’aula parlamentare.

Appare logico, quindi, che a difesa dell’istituzione democratica del Paese, si debba assolutamente limitare il campo dei compromessi, cambiando radicalmente alcuni principi che partono dallo stesso testo della Costituzione.  Sembra fondamentale seguire un iter di metodo facendo partire le proposte dalla base logica di chi fa ricerca proponendosi attraverso il dialogo col cittadino, ossia il vero politico parlamentare, eletto nella propria comunità. Proposte che poi, supportate nel merito e nella determinazione, in un percorso esecutivo, possano essere affidate ad altri.

Sappiamo quanto possa sconvolgere oggi un cambiamento così radicale tanto da separare i ruoli anche in termini di carriere ma, credo che questa trasformazione appare oggi suggerita dai tempi e da una esigenza legata al mutamento dei valori che impongono tutto ciò, per una logica  difesa di un efficiente sistema democratico. Il vero problema si pone, invero, nel trovarne il modo, in un meccanismo come il nostro che appare tanto bloccato nei cambiamenti, quanto fermo nella ricerca e nel metodo delle nuove idee. Ma quali potrebbero invece essere, in alternativa, le trasformazioni possibili, se non quelli di condurci matematicamente verso duri sistemi di dittatura?

Per ovviare a questi, bisognerebbe salvare le regole principali su cui si basa una sana democrazia e cioè; quella di partire da una base del consenso espressa dai cittadini, non tanto per le candidature, ma soprattutto per il programma.

Se muore un Governo, se ne fa un altro, ma se dovesse morire un Parlamento, sarebbe la fine di una democrazia. Quindi il primario lavoro di chi vuole operare nel campo della politica costruttiva, dovrebbe essere quello di lavorare bene per un sistema di democrazia moderna e di attualità oltre che funzionale.

Ecco la ragione per la quale la responsabilità del programma deve essere prevalentemente dei cittadini attraverso il contatto con i propri Partiti (debitamente riformati da regole più logiche e funzionali). Il problema delle candidature rispetto all’importanza del programma risulta secondario e sicuramente più legato a precisi meriti amministrativi.  Potremmo quindi affermare che proprio per salvaguardare le decisioni dei cittadini, l’idea di ciò che si vuole realizzare, ossia la progettazione di base del programma, dovrebbe non essere affidata ad un Governo, ma alle decisioni degli stessi cittadini. Al Governo dovrebbe essere affidato il compito di eseguire il programma deciso per consenso dai cittadini, come esecutore razionale che può, forse, partecipare nel metodo, ma non entrare nel merito, se non per motivi particolari. 

Alla classe politica parlamentare, dovrebbe invece spettare il compito di analisi e studio della ricerca in rapporto con i cittadini per avviare e definire lo stesso programma.

Per conservare i valori di una sana democrazia nel nostro Stato, questo deve sicuramente rendersi confederato, ma deve poter crescere attraverso un programma suggerito dai Partiti ispirato ed espresso attraverso il consenso dei cittadini, i quali non potranno in seguito lamentarsi delle scelte volute dalla loro stessa maggioranza. Si tratta quindi di coinvolgere i cittadini soprattutto sul tema del programma, studiato in partecipazione con i Partiti, più che sul voto da dare ai singoli politici parlamentari. Come, al contrario, a chi dovrà amministrare, sarebbe più logico dare un consenso per le qualità e le capacità al di là del programma che dovrà eseguire.

Abbiamo oggi uno Stato democratico repubblicano, ammantato di  falsa democrazia ma, in realtà, costruito su una oligarchia dei Partiti che, un domani, dovrebbe  trasformarsi in uno Stato democratico federato edificato sul programma dei cittadini. Per i ruoli amministrativi si potranno persino ricercare due figure, l’una in ruolo di verifica della linea di governo, l’altra in un ruolo tecnico per le normative di metodo per lo svolgimento del programma. Ambedue avranno un compito di costruzione operativa e di controllo.


Per definire bene e con logica un percorso costruttivo, occorrono però regole chiare anche sulla divisione dei poteri, al fine di poter trovare una giusta sintesi funzionale costruita su elementi culturali che abbiano un’importanza predominante sulla evoluzione stessa della politica. Uno studio organizzativo che, come già suggerito, non potrebbe non basarsi su un principio di specializzazione e di suddivisione del lavoro.

vincenzo Cacopardo
              

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