22 ago 2014

Un commento alla nuova analisi di Domenico Cacopardo



Dateci un progetto

Il battello è in mare aperto, nella tempesta. Il capitano è al primo comando, sin qui ha governato barchette, e l’equipaggio è composto, in parte, da neofiti. Il naufragio è possibile, probabile. 

Solo l’istinto di conservazione ci spinge a tenere duro scrutando l’orizzonte in cerca di una rassicurante rada.

Questo è il momento che l’Italia vive e le notizie che si susseguono confermano l’idea che non ci sia un progetto complessivo rispetto al quale i provvedimenti di riforma si susseguano con coerenza. 

No. Purtroppo il progetto non c’è né ci sarà. L’Europa, dal canto suo, si fonda su un unico pilastro: un’austerità che ha come capitello il Fiscal compact. Il resto è illusione e propaganda.

Anche la presunta elasticità per spingere al rilancio un continente in recessione non trova reali sostegni in una burocrazia tetragona a ogni novità, incapace di trar lezione dai propri errori: e di errori di valutazione è lastricato il percorso comunitario dal 2007 a oggi. 

La stessa Bce ha sbagliato ogni previsione e si ritrova prigioniera della Germania e della Bundesbank ancorate al rifiuto di ogni sforzo che possa coinvolgere il risparmiatore tedesco nel disastro del debito pubblico italiano. Anche se, in misura insufficiente e tardiva, il contribuente tedesco ha partecipato al salvataggio di Grecia, Spagna, Portogallo e via dicendo. Ma là, in quelle aree, c’era una spiccata esposizione delle banche germaniche, quelle stesse banche che all’inizio della crisi si erano rapidamente alleggerite dei titoli italiani, contribuendo al tracollo del 2011. 

Certo, lo sappiamo tutti, c’è un problema di credibilità del nostro Paese a Bruxelles: ed esso non può essere risolto con una girandola di dichiarazioni cui corrispondono solo buone intenzioni e mezze riforme in itinere. La questione viene da lontano, dallo sconsiderato modo di presentarsi sul palcoscenico internazionale di Silvio Berlusconi, nonostante la seria politica di Tremonti che s’era rifiutato di scodinzolare (come altri, dopo di lui) davanti a commissari, funzionari e banchieri rivendicando un approccio pragmatico alla crisi, contenimento degli effetti evitando ogni choc.

Purtroppo, in questo momento, dobbiamo fare i conti pure con le sprovvedute idee di esponenti della maggioranza, nel governo e fuori. Cesare Damiano, il ministro del lavoro dello scasso delle pensioni (con la revoca dell’allungamento dell’età lavorativa) e altre sciocchezze vetero-marxiste, e che oggi ricopre il delicato ruolo di presidente della commissione lavoro, se ne esce con un ennesimo divieto a toccare l’art. 18. Tema sul quale anche Renzi svicola ricorrendo al noto benaltrismo («Il problema non è l’art. 18 ma la riforma complessiva»). Non capisce, l’esimio onorevole Damiano, che le sue semplici dichiarazioni contribuiscono ad accentuare l’incertezza del Paese e degli imprenditori. E dimentica che solo gli imprenditori possono invertire i dati della disoccupazione, investendo i loro denari.

L’altro sconsiderato dichiaratore è il ministro Poletti che immagina (e con lui il premier) un’operazione sulle pensioni al di sopra dei 3.500 euro in busta paga, allargando il contributo di solidarietà già istituito, dichiarato incostituzionale e reintrodotto.

Per carità, bisogna fare tornare i conti, certo. Ma perché nessuno, nel governo, affronta il problema delle oltre 10.000 società pubbliche e dei centri di spreco che rappresentano?

Se Renzi non affronterà, sul serio, il radicale taglio della spesa pubblica, riproducendo quel deficit spending che alimentò Dc e Pci e che ora alimenta gli eredi, non usciremo dalla crisi e continueremo ad avvitarci tra tasse crescenti e recessione.

Questo è il punto: cambiare verso non a parole, ma coi fatti.




Taglio alla spesa..ma anche utili progetti per la crescita...uno fra questi....

La crisi è davvero profonda.. ed ormai siamo tanto avvitati in tasse e recessione da non poter riuscire a venirne fuori se non attraverso un cambiamento sistemico che possa radicalmente mutare l'impostazione socio economica a livello internazionale. 

E' vero..il fiscal compact..sembra procedere inesorabilmente e con estrema decisione.. imposto da un'Europa che non pare guardare ad una crescita reale. Sembriamo imbrigliati in un circolo vizioso dal quale è impossibile uscirne..Si continua a procedere secondo schemi finanziari guidati dalle potenze economiche in base a principi che non potranno mai portare vantaggi reali all'economia..il tutto con continui sacrifici da parte di chi lavora onestamente...Ma che senso può mai avere tutto questo?..quale fine potrà rendere?

La visione dall'esterno sull'operato di questo governo appare misera, insufficiente e sempre più spesso inadeguata ... cioè priva di vere idee che possano rimettere in moto il motore di una economia già da tempo bloccato.

Scrive bene Domenico a proposito del taglio alle spese, che potrebbero essere contenute, ma credo che il problema dovrebbe anche essere considerato nell'ottica degli investimenti più utili a beneficio del Paese. Nessuno ad esempio si concentra con dovuta attenzione al grande patrimonio del sud e alla sua potenziale crescita basata investendo nelle necessarie infrastrutture di cui avrebbe bisogno. Come ho già avuto modo di sottolineare, al sud manca ormai una politica capace di immedesimarsi positivamente sullo sviluppo del proprio territorio..capitalizzarlo..renderlo attivo e funzionale...farlo crescere in modo adeguato.

Se da parte dello Stato centrale non si riesce ancora a capire l'importanza di rimettere ordine e potenziare il patrimonio di gran parte del meridione attraverso un piano ed un progetto studiato in base alle esigenze territoriali, nello stesso mezzogiorno.. sembrano non esistere figure politiche capaci di rendersi attive e predisposte per un suo appropriato sviluppo. Ma un simile studio, affrontato col dovuto metodo, potrebbe forse essere utile alla necessità che abbiamo di renderci credibili a Bruxelles. 

Uno studio serio per lo sviluppo di questa parte del territorio che muore ogni giorno di più, al fine di non trascinare nel baratro anche quella che sembra essere la differente realtà del Nord industrializzato..già di per sé penalizzata dall'austera economia di questi anni.
vincenzo cacopardo














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