12 nov 2014

Una nota al nuovo articolo di Domenico Cacopardo



di domenico cacopardo
C’è molto di Napoli nelle ultime vicende presidenziali. Non della Napoli di Enrico De Nicola, di Epicarmo Corbino e degli altri uomini di grande nobile cultura che hanno illustrato il Paese. Ma della Napoli deteriore, le cui massime espressioni sono stati Achille Lauro e Antonio Bassolino.

Riepiloghiamo: il giornalista Stefano Folli (che nasce con Spadolini che, dopo averlo avuto come capo ufficio stampa alla Difesa, lo fa direttore della «Voce Repubblicana») lascia Ilsole24ore e si trasferisce a Repubblica. Nulla di strano nella vita di un giornalista, anche se Folli, per la sua storia professionale, sembra lontano mille miglia dal «sentiment» del quotidiano di Ezio Mauro. Qualche giorno dopo, pubblica il fondo in cui annuncia le prossime dimissioni di Giorgio Napolitano. Di sicuro, le informazioni ricevute sono autorevoli, così autorevoli da legittimare l’idea che gli siano state confidate proprio dal presidente, senza vincolo di riservatezza. 

Qui mi fermo. Anche perché non c’è nulla da obiettare: le modalità dell’operazione, però, inducono a una riflessione sullo stato della democrazia italiana. Più mediatica che parlamentare. Più di gruppi di pressione che di «elites» politico-culturali.

Non si può condividere l’opinione di Eugenio Scalfari che Napolitano sia il miglior presidente della storia nazionale. Un giudizio di questo genere è meglio riservarlo agli storici che, nel tempo, valuteranno con serenità. 

Molti costituzionalisti, invece, hanno rivolto critiche precise all’interpretazione del ruolo da parte di Napolitano. 

Resta il fatto che l’annuncio di dimissioni doveva esplodere come una bomba e che, invece, ha provocato un misero «Plof». La sensazione è che tutti i giocatori di questa ultima partita siano seduti al tavolo verde con le pistole scariche. 

Scariche le armi del presidente della Repubblica che, dopo avere inventato tre governi (un tecnico e due politici di convergenza sinistra-destra), non ha più nulla da dire, salvo appiattirsi su Matteo Renzi cercando di agevolarne il cammino. Scariche le pistole proprio di Renzi, condizionato dalla minoranza del Pd, dal Nuovo Centro-destra di Alfano, da Berlusconi e, in qualche misura, dal Movimento 5Stelle. Avviluppato nella confusione parlamentare da lui stesso provocata e, ora, diventata irresolubile ingorgo legislativo. 

Fallimentare nel semestre italiano, per non-conoscenza dei problemi e delle dinamiche comunitarie (lo stupido errore di avere voluto un dicastero non economico puntando su «Mogherini lady Pecs» è ormai chiaro a tutti). Disarmato anche per la pochezza degli armigeri di fiducia (vedansi le rivelazioni degli ambienti vicino a Prodi sulle iniziative di politica estera gestite da Graziano Delrio). Inerme Silvio Berlusconi, spogliato dell’antica furbizia imprenditoriale da un ragazzo più furbo di lui, più politico, addirittura più cinico, anche se, come lui, privo di qualsiasi cultura politica e istituzionale. Disarmati i 5Stelle, incapaci di stringere su qualcosa di significativo per il loro elettorato e per gli italiani.

In fondo, c’è da dire che Giorgio Napolitano, nonostante il «Migliorismo» di cui è stato interprete, è rimasto un comunista a tutto tondo (ben più di d’Alema e Veltroni le cui visioni sono state sempre molto, troppo legate agli schieramenti politici), votato a un centralismo ben lontano dai criteri istituzionali di una democrazia parlamentare.

Che le dimissioni si concretizzino il 1° gennaio o giù di lì, è tutto da vedere. Quello che, invece, è emerso con disperata evidenza, è l’ulteriore degrado del Paese, pronto a ricevere un nuovo, pregnante richiamo da quell’Unione europea che Renzi ha affrontato con ingiustificata sicumera e Giorgio Napolitano con prona supponenza.

La commedia dei personaggi in cerca di autore continua …



Il richiamo a Pirandello rende ancora più comprensibile lo stato politico confusionale oggi esistente..che potrebbe forse essere più vicino ad una tragedia..che ad una commedia. 

Vi è il grande equilibrio di un esperto scrittore ed una saggia interpretazione.. in questo articolo di Domenico che tocca in pieno le evidenti problematiche politico istituzionali del Paese. -Molto appropriata a metafora dei giocatori seduti al tavolo verde con le pistole scariche..come anche la visione inerme di un Silvio Berlusconi, descritto da Domenico, ormai spogliato dell’antica furbizia imprenditoriale da un ragazzo più furbo di lui, più politico, addirittura più cinico, anche se, come lui, privo di qualsiasi cultura politica e istituzionale (quanto alla piccola contraddizione “più politico” e “privo di qualsiasi cultura politica”..opterei decisamente per la seconda).-Più che evidente la puntualizzazione sull'errore del premier.. di avere voluto un dicastero non economico sul semestre.. puntando sulla «Mogherini..Ancora più chiara la visione di un disarmato (ma anche disarmante) movimento 5Stelle, incapace di stringere su qualcosa di significativo per il loro elettorato e per gli italiani.

Per quanto riguarda Napolitano credo che il capo dello Stato, oltre ad essere stanco, abbia percepito le poche speranze all'orizzonte di una politica condotta con troppa enfasi comunicativa e meno sostanza. La paura di Giorgio Napolitano è sicuramente quella di un fallimento..ma anche quella di non mandare prima del tempo il Paese al voto...poichè si potrebbe peggiorare la già assai difficile situazione economica..
Quanto alla supponenza..la lascerei tutta al giovane sindaco d'Italia.
vincenzo cacopardo

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