15 gen 2013

La mossa avventata di Mario Monti















Un commento di Alberto Cacopardo
Potrei sbagliarmi, ma mi sembra che la decisione di Monti di entrare in campo alle prossime elezioni sia stata una mossa avventata. Avventata non solo dal punto di vista della sua aspirazione a guidare il governo, ma soprattutto da quello dell’interesse generale del paese.
Già nel settembre scorso, su mio blog, avevo argomentato che la successione di Monti a se stesso era qualcosa di pressoché inevitabile. Monti è stato ed è, in questo frangente storico in cui versa l’Italia, un personaggio praticamente insostituibile.
E non per la qualità delle sue scelte di politica fiscale (quali tagli e quali tasse), che non sono state particolarmente felici, ma per tutt’altra ragione.
Gli atti decisivi del professore sono stati soprattutto due, due atti la cui portata è ben presente a tutti gli osservatori accorti, ma sfugge invece all’attuale percezione dell’opinione pubblica (non sfuggirà agli storici). Il primo è stato quando, nel dicembre 2011, poco dopo la chiusura della sua prima manovra, ha dichiarato al mondo intero che di misure di austerità non c’era più bisogno e ormai si trattava di passare alla “crescita”. Data l’entità obiettivamente esigua della manovra (appena trenta miliardi su un debito già vicino ai duemila), la pretesa era tutt’altro che scontata. L’avesse avanzata un Berlusconi (o sia pure un Bersani) gli avrebbero riso dietro. Solo Monti, grazie alla sua padronanza da insider dei meccanismi dei mercati finanziari, al suo personale prestigio, al peso delle sue relazioni internazionali e alla sua personale abilità, aveva i mezzi per orchestrare l’accettazione di una svolta così audace da parte dei centri di potere che contano in Germania, in America e a livello globale. Monti dichiarava in pratica: non ci faremo trattare come la Grecia. Nessuno sa bene come abbia fatto, ma è riuscito ad imporsi alla Merkel. E’ stata questa svolta ad aprire la strada alle operazioni di rifinanziamento a lungo termine inaugurate di lì a poco da Draghi, che, iniettando mille miliardi di liquidità nel sistema bancario, misero il primo argine agli attacchi della speculazione contro l’Italia.
Poi, quando gli effetti dell’Ltro andarono inevitabilmente esaurendo e la speculazione tornò all’attacco in primavera, Monti, anziché fare marcia indietro, rincarava la dose e, fra maggio e giugno, puntava l’indice sul vero problema, la necessità di contenere i tassi d’interesse. Invocando misure europee a questo scopo, quello che fu chiamato il “muro anti-spread”. Era quel che, fino ad allora, la Germania aveva sempre caparbiamente rifiutato. Ancora una volta, nessuno sa bene come abbia fatto, ma Monti riusciva ad imporsi alla Merkel. Il secondo punto di svolta arrivò con la frenetica e ambigua trattativa al vertice europeo di Bruxelles del 28 e 29 giugno, in seguito alla quale il muro di dinieghi opposto dalla Germania iniziò a sgretolarsi, aprendo la strada alle trattative coperte del mese di luglio che sfociarono infine nella dichiarazione di Draghi a Londra a fine mese: “believe me, it will be enough”. Quella che segnò, in modo irreversibile, l’inizio dell’uscita dalla crisi.
E’ futile chiedersi, come fanno tanti, se il merito sia stato più di Draghi o di Monti. Le due cose sono strettamente collegate. Draghi non avrebbe mai potuto compiere né la mossa del dicembre, né quella del luglio se non avesse avuto le spalle coperte in Germania. E il riluttante assenso tedesco fu negoziato soprattutto da Monti, non da Draghi, che ovviamente si occupò soprattutto, e con considerevole abilità, delle modalità e delle forme con cui realizzare l’obbiettivo.
Ecco quali sono i veri meriti di Monti, non certo le sue scelte in fatto di Imu, di benzina o di pensioni. Che tutto questo non sia sbandierato agli occhi dell’opinione pubblica non può stupire: c’è stata una battaglia all’ultimo sangue, condotta in guanti bianchi e per lo più nell’ombra. Nessuno dei poteri che l’ha combattuta ha interesse a pubblicizzarla, né chi l’ha vinta, né chi l’ha persa.
Quello che conta è che Monti l’ha vinta: e che nessun altro avrebbe potuto condurre in porto questa impresa che lui stesso definì “difficilissima”.
Perché nessun altro? Perché chi comanda sui paesi del mondo non sono i governi, non sono i politici, ma sono i potentati finanziari, pubblici e soprattutto privati. E gli uomini che sono abbastanza addentro ai potentati finanziari da poter compiere imprese come questa sono pochissimi. Questa è la tristissima realtà. Questa è la realtà che rende Monti ancora indispensabile.
Dov’è dunque la sua avventatezza?
Se Monti non si fosse presentato in prima persona, avrebbe avuto la certezza, salvo un’improbabile vittoria della destra, di riprendere il governo del paese. O in veste di premier, qualora il centro-sinistra mancasse la maggioranza al senato, o in veste almeno di prestigiosissimo plenipotenziario all’Economia in caso contrario. Comunque avrebbe avuto il Pd nella sua maggioranza.
Adesso che corre alle elezioni, nel primo caso otterrà al massimo lo stesso risultato, nel secondo non si sa proprio come andrà a finire. Un governo di centro-sinistra senza Monti sarebbe quanto meno un azzardo, uno contro Monti rischierebbe la catastrofe.
Purtroppo, in questo momento il futuro dell’Italia è ancora a rischio. Purtroppo è interesse generale del paese che quest’uomo resti al comando della sua economia. Chi scrive, come è ben chiaro a chi conosce questo blog, condivide ben poco gli orientamenti politici di Monti. Ma in questo momento c’è una sola priorità: impedire che si scateni un nuovo attacco all’Italia, che stavolta potrebbe essere fatale. Troppo debole e incerto è lo scudo europeo, troppo forti gli interessi contrari. Impedire il naufragio dell’Italia è il primo passo indispensabile perché sia superato quell’assetto finanziario globale che ha rapinato ai popoli la loro sovranità e ha innalzato una formidabile muraglia contro la giustizia, l’equità e la democrazia.
Da questo punto di vista dunque, schierandosi a queste elezioni per una delle parti in causa anziché mantenere il suo profilo super partes, Monti ha fatto una mossa avventata. Speriamo che non l’abbia a rimpiangere.
Alberto Cacopardo

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