Vecchie
contrapposizioni e nuove teorie per un percorso innovativo di ricerca per
la funzionalità della politica
“premessa”
Già da parecchi anni la politica stenta a dare forza ad un
processo funzionale del nostro Paese. Da quando scrissi il mio piccolo
libro “La politica ed il cambiamento” nel quale avevo già messo in
evidenza tutte le difficolta' di un sistema bipolare troppo anticipato nei
tempi, rispetto ad una Repubblica edificata sul centrismo democristiano, sono
passati parecchi anni. Nel trascorrere di questi, ho approfondito con
l’esclusivo senso della partecipazione, la possibilità di altri percorsi più
inerenti al processo di una veloce modernizzazione.
Sono idee teoriche poste come ricerca per il riscontro di un
alternativo sistema che, da troppo lungo tempo, si basa sulle ormai poco
costruttive posizioni antitetiche sinistra –destra.
Nello studio…si ricerca la strada di un progetto di
innovazione della politica rivolto verso una specializzazione dei ruoli (induttivi-deduttivi) dove
la parola chiave dovrebbe essere “funzionalità”, come sinonimo di efficienza ed
innovazione ma anche intesa come teoria secondo la quale, la funzione di
ognuno, ha una importanza predominante sulla evoluzione stessa.
Uno studio che vorrebbe basarsi su un principio di
specializzazione e di suddivisione del lavoro.
Sappiamo bene che la politica per muoversi deve far uso delle
istituzioni e queste non possono non
essere riviste e rinnovate seguendo un cambiamento imposto da una società che
si innova.
La evidente dicotomia che scaturisce in un sistema come il
nostro, che per Costituzione rimane di principio Parlamentare, fa si che
possano automaticamente sorgere contrasti i quali, non favoriscono lo sviluppo
naturale di una vera politica costruttiva. Quella simbiosi politica evidenziata
nel Diritto Costituzionale, affinché ambedue i poteri potessero camminare in
sinergia, per far sì che si costruissero assieme leggi, programmi e relative
mansioni amministrative, si è persa poiché vittima della mancanza di valori
fondamentali ormai spariti.
Alcuni programmi esposti in sede di elezioni vengono esclusi
o non inseriti nei tempi dovuti, altri, scaturiscono in un gioco di
condizionamento in corso d’opera che ne cambia il senso e la volontà espressa
in un primo momento. Il risultato di tutto ciò è sempre un brutto ed
inaccettabile compromesso. Da qui l’esigenza di dover distinguere i ruoli
persino in termini di carriere.
In base a ciò.. sembra, quindi, più che necessario dover
guidare un processo di modernizzazione della politica che parta dai principi di
una giusta funzione della dottrina. Un percorso più efficiente che possa esser
costruito col dialogo ed insieme ai cittadini, ma che possa anche definire un
ruolo amministrativo più concreto e sicuro.
Un rivoluzionario cambiamento che potrà vedere anche
territorialmente competenze diverse lasciando alle regioni una politica di
indirizzo seguita dai ruoli parlamentari ed ai comuni (che necessitano
prevalentemente di strutture e servizi).. un’unica politica seguita dai ruoli
amministrativi.
Percorsi innovativi per
il cambiamento
L’idea di poter
dividere in modo più deciso le funzioni del potere legislativo da quello
esecutivo, affidando ruoli separati per tutto l’arco della legislatura, non è
sicuramente gradito alle forze politiche odierne: Il fatto di non poter dare
contestualmente voce ed esecuzione alle loro azioni, li vedrebbe sottoposti in
uno strano compito che non riuscirebbero a percepire positivamente. La
maggioranza di loro si opporrebbe di certo ad una idea simile, ritenendo
impossibile creare un ambito in cui chi governa e decide un programma, non
viene contestualmente inserito in quella opera di costruzione delle leggi,
essenziale per la determinazione progettuale di ciò che si vuole realizzare. Rimane comunque, il fatto che proprio ”un
programma”, in via preventiva, non può non essere vagliato, discusso,
partecipato ed infine votato dagli stessi cittadini.
La visione odierna è
certamente legata ad una condizione che lega in modo assiomatico il compito del
politico nel suo genere: Una concezione che parte dal principio che chi
governa, oltre a decidere, deve essere in grado di definire le normative. Un concetto legato ad una
politica determinata nel passato, in cui si aveva una visione alta dei suoi
valori, suggerendo costituzionalmente un armonico raccordo tra i due poteri, al
fine di una costruzione più utile e corretta.
Ed è proprio questa la base di partenza sulla quale si
potrebbe porre qualche riserva, poiché non è detto che, oggi, questa procedura
possa essere quella giusta per determinare la funzionalità e la concretezza
delle proposte. Anzi, partendo dall’alto, ogni proposta, finisce spesso con
l’essere bloccata o distorta in via parlamentare. Al contrario, poi, attraverso
la molteplicità dei decreti o le richieste di fiducia, si svilisce notevolmente
il lavoro dei parlamentari.
Nel sistema che ancora
oggi si vuole di democrazia, si è ormai creata una anomalia di chi governa in
contrasto con chi legifera. Tanto estesa e ricca di compromessi, questa anomalia, determina una
apparente e, non più realistica organizzazione democratica. La vera democrazia
soffre e porta il cittadino ad una possibilistica visione futura di un
sistema più duro e deciso, ma almeno più stabile, assai vicino ad una
dittatura. Nel nostro sistema di democrazia parlamentare, si pretende
oggi, una più stabile governabilità e, a volte, irragionevolmente, non si
accetta che chi governa si possa sottoporre al consenso di un’aula parlamentare.
Appare logico, quindi,
che a difesa dell’istituzione democratica del Paese, si debba assolutamente
limitare il campo dei compromessi, cambiando radicalmente alcuni principi che
partono dallo stesso testo della Costituzione. Sembra fondamentale seguire un
iter di metodo facendo partire le proposte dalla base logica di chi fa ricerca
proponendosi attraverso il dialogo col cittadino, ossia il vero politico
parlamentare, eletto nella propria comunità. Proposte che poi, supportate nel
merito e nella determinazione, in un percorso esecutivo, possano essere
affidate ad altri.
Sappiamo quanto possa sconvolgere oggi un cambiamento così
radicale tanto da separare i ruoli ma, credo che questa trasformazione appare
oggi suggerita dai tempi e da una esigenza legata al mutamento dei valori che
impongono tutto ciò, per una logica difesa di un efficiente sistema
democratico. Il vero problema si pone, invero, nel trovarne il modo, in un
meccanismo come il nostro che appare tanto bloccato nei cambiamenti, quanto
fermo nella ricerca e nel metodo delle nuove idee. Ma quali potrebbero invece essere, in alternativa, le trasformazioni
possibili, se non quelli di condurci matematicamente verso sistemi più duri?
Per ovviare a questi, bisognerebbe salvare le regole principali
su cui si basa una sana democrazia e cioè;quella di partire da una base del
consenso espressa dai cittadini, non tanto per le candidature, ma
soprattutto per il programma. Se muore un Governo, se ne fa un altro, ma se
dovesse morire un Parlamento, sarebbe la fine di una democrazia. Quindi il
primario lavoro di chi vuole operare nel campo della politica costruttiva,
dovrebbe essere quello di lavorare bene per un sistema di democrazia moderna e
di attualità oltre che funzionale.
Ecco la ragione per la
quale la responsabilità del programma deve essere prevalentemente dei cittadini
attraverso il contatto con i propri Partiti (debitamente riformati da regole
più consone e funzionali al loro lavoro). Il problema delle candidature rispetto
all’importanza del programma risulta secondario e sicuramente più legato a
precisi meriti amministrativi.
Potremmo quindi affermare che proprio per salvaguardare le
decisioni dei cittadini, l’idea di ciò che si vuole realizzare, ossia la
progettazione di base del programma, dovrebbe non essere affidata ad un
Governo, ma alle decisioni degli stessi cittadini. Al Governo dovrebbe essere affidato il compito di eseguire il programma
deciso per consenso dai cittadini, come esecutore razionale che può, forse,
partecipare nel metodo, ma non entrare nel merito, se non per motivi
particolari.
Alla classe politica parlamentare, dovrebbe invece spettare
il compito di analisi e studio della ricerca in rapporto con i
cittadini per avviare e definire lo stesso programma.
Per conservare i valori di una sana democrazia nel nostro
Stato, questo deve sicuramente rendersi confederato, ma deve poter crescere
attraverso un programma suggerito dai Partiti ispirato ed espresso attraverso
il consenso dei cittadini, i quali non potranno in seguito lamentarsi delle
scelte volute dalla loro stessa maggioranza. Si tratta quindi di
coinvolgere i cittadini soprattutto sul tema del programma, studiato in
partecipazione con i Partiti, più che sul voto da dare ai singoli politici
parlamentari. Come, al contrario, a chi dovrà amministrare, sarebbe più logico
dare un consenso per le qualità e le capacità al di là del programma che dovrà
eseguire.
Abbiamo oggi uno Stato
democratico repubblicano, ammantato di falsa democrazia ma, in realtà,
costruito su una oligarchia dei Partiti che, un domani, dovrebbe
trasformarsi in uno Stato democratico federato edificato sul programma dei
cittadini.
Per i ruoli amministrativi si potranno persino ricercare due
figure, l’una in ruolo di verifica della linea di governo, l’altra in un ruolo
tecnico per le normative di metodo per lo svolgimento del programma. Ambedue
avranno un compito di costruzione operativa e di controllo.
Per definire bene e con logica un percorso costruttivo,
occorrono però regole chiare anche sulla divisione dei poteri, al fine di poter
trovare una giusta sintesi funzionale costruita su elementi culturali che
abbiano un’importanza predominante sulla evoluzione stessa della politica. Uno
studio organizzativo che, come già suggerito, non potrebbe non basarsi su un
principio di specializzazione e di suddivisione del lavoro.
Le contrapposizioni politiche
Credo che qualunque
sistema odierno che pretendesse di assumere in se il pluralismo di una politica
di base ed una governabilità stabile, non potrebbe che trovare enormi
difficoltà per il contrastante aspetto derivante dalla diversa funzione di
queste due “azioni”.
Il problema assai discusso della separazione delle carriere
tra il giudice ordinario e quello requirente, viene oggi posto come una
soluzione indispensabile per sciogliere il nodo di un possibile compromesso fra
i due ruoli della giustizia. Lo stesso problema, rapportato alle
differenti funzioni della politica, dovrebbe spingere la ricerca di una
soluzione per il compito da assegnare ai singoli politici, ispirando una più
chiara differenziazione tra il ruolo legislativo e quello esecutivo, anche in
termini di carriera.
Una divisione più marcata dei ruoli tra potere esecutivo e
legislativo, oggi, occorre in modo evidente. Sembra che una moderna politica
quasi la imponga come difesa di valori che sono differenti in termini
di metodo, logica e qualità. Chi opera in campo legislativo non potrebbe che rendersi il più
possibile estraneo a qualunque azione esecutiva, proprio perché più spesso la
sua azione viene troppo condizionata da interessi anche di partito e tipici di
qualunque potere governativo.
Del resto il potere esecutivo racchiude in se una logica
chiara, pragmatica e ben precisa: governare, e cioè amministrare un Paese.
Un’azione che deve avere indirizzi precisi ma che non può ottemperare solo ad
una richiesta politica assunta dall’alto. Per far ciò, bisogna far uso di
regole provenienti dal basso che un altro distinto potere dovrebbe
fornire. Ecco perché si auspica da parte di ogni amministratore la
competenza necessaria in ordine a ciò che si deve amministrare ed ecco la
ragione per la quale sembra opportuno far si che questo compito venga demandato
a figure tecniche e professionali di grandi capacità realizzative.
Tuttavia l’equilibrio suggerisce una chiara divisione di
questi ruoli spettanti alla politica attraverso due azioni: L’una “induttiva” che
lavori insieme e per conto dei cittadini ed un’altra “deduttiva” , che
realizzi i desiderati bisogni.
Si legifera e per questo si governa! Ma l’attuale modo di
governare e legiferare insieme, con i moderni sistemi di sintesi imposti dai
Partiti, sta sottoponendo tutto il nostro sistema politico istituzionale ad un
orribile spettacolo che rischia sempre più di compromettere ogni azione di
vera “funzionalità” della politica.
vincenzo Cacopardo
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