INCERTEZZE di domenico Cacopardo
C’è una domanda inespressa che corre nella mente,
mentre le cronache politiche si dipanano secondo un rito incomprensibile.
Riguarda il come e il perché in vent’anni siamo precipitati dallo status di
paese avanzato e competitivo, in costante crescita, al Paese senza speranze che
siamo oggi, enorme disoccupazione, soprattutto giovanile, crollo della
competitività, Parlamento paralizzato.
Pronte, ci sono le risposte dell’oggi: un presidente
del consiglio pre-incaricato, che vuole fare l’accordo con chi non gli parla, e
non vuol parlare con chi dice di volergli parlare, ma al quale, sempre senza
parlargli, vorrebbe affidare una fantomatica commissione per le riforme
istituzionali dal contenuto indefinito; un ministro degli esteri che va in
parlamento a riferire per conto del governo e, lì giunto, si dimette e
dimettendosi si ribella alle decisioni del governo di cui faceva parte,
scaricandosi di ogni responsabilità; un presidente del Senato che utilizza la
carica per regolare i conti con i colleghi magistrati, facendosi per di più
trascinare in una rovinosa polemica con uno dei più brillanti polemisti su
piazza; un procuratore generale della Cassazione che si scaglia contro i
giudici di appello con un linguaggio da feuilleton di quart’ordine per far
cancellare la sentenza di assoluzione in appello di Amanda e Raffaele,
riaprendo un processo già durato quasi dieci anni e chiarendo a tutti che il
diritto resta un’opinione di alti magistrati (con echi internazionali
irriferibili); un famoso artista che va a testimoniare davanti al parlamento
europeo che il parlamento italiano “è occupato da troie”; un presidente di
regione naif, Crocetta, che in barba ai trattati internazionali decide di
mettere il veto all’impianto di un sistema radar sulla base di presunte perizie
scientifiche di dannosità e del diktat dei suoi sostenitori grillini (il naif
è, del suo, rifondarolo comunista); un governo in carica che non replica a Crocetta
e subisce passivamente.
Quanto al passato ci sarebbero molte risposte. La
prima: né il Pd né il Pdl con questo passato hanno fatto i conti. Non hanno
esercitato cioè la funzione autocritica, l’unica che garantirebbe agli italiani
che non ripeterebbero i propri errori. Un atto di verità che sarebbe utile a
tutti, prima di tutto a loro stessi.
Fra questi errori macroscopici metto la follia di De
Mauro e Berlinguer che, invece, di rafforzare l’attività formativa nazionale
(scuole e università) l’hanno svilita attenuando la serietà degli studi proprio
quando in tutto il mondo essa veniva intensificata. Vige in Italia un limite di
pagine da assegnare oltre il quale i professori non possono andare, si tratti
della teoria quantistica o dell’anatomia patologica. Non ci sarà una
connessione tra la disoccupazione giovanile e l’impreparazione garantita dallo
Stato?
E aggiungo la mancata rivoluzione liberale di
Berlusconi e la discutibile moralità sua e del suo schieramento (non che gli
altri siano molto diversi).
Oggi, dopo un risultato elettorale di evidente
ingovernabilità, di irresponsabili chiusure e aperture di Pd e Pdl, non resta
su piazza che la logorata presenza di Giorgio Napolitano.
Logorata soprattutto dal suo modo di interpretare il
proprio ruolo, dal suo centralismo presidenziale che riprende il centralismo
democratico di togliattana memoria.
Invece di rimanere l’arbitro della situazione, è
entrato in campo giocando partite che non gli competevano, assumendo impegni
internazionali ch’erano propri del governo, imponendo ai partiti scelte che non
convidivevano.
Nonostante ciò non abbiamo che lui. Oggi non sa a che
santo rivolgersi e inventa due gruppi di speciali consiglieri che gli
dovrebbero suggerire come uscire dalla crisi di ingovernabilità.
Iddio acceca chi vuol perdere: speriamo che oggi
decida di restituirgli un po’ di luce.
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