Fine delle illusioni
di domenico Cacopardo
L’attesa spasmodica di un segnale alimentata dai falchi del Pdl e gestita, per quanto possibile, da Gianni Letta, non poteva che andare delusa: «Di una sentenza definitiva non si può che prendere atto e applicarla», ha dichiarato Napolitano. Berlusconi aveva domandato al presidente della Repubblica qualcosa di estraneo ai suoi poteri: l’ha chiesto, purtroppo, in quanto non conosce la normalità istituzionale. Non che non abbia le sue ragioni. È ormai evidente per tutti (tranne che per i megafoni delle procure) che il cavaliere è stato oggetto di un’attenzione speciale. E che buona parte di ciò per cui è stato e sarà processato, per chiunque non si chiami Berlusconi non avrebbe rilevanza penale. L’ipocrisia dominante spinge a fingere di non vedere, di non capire.
Tuttavia, scremato del 90% il volume delle offensive giudiziarie, rimangono sul campo due questioni. La prima è che l’expresidente del consiglio è stato, di sicuro, autore di fatti e comportamenti che costituiscono reato. Rispetto a essi non c’è discriminazione o persecuzione da invocare. “Hai infranto la legge penale, ti hanno beccato, paga le conseguenze.” La seconda riguarda le strategie difensive di Berlusconi e del suo team di difensori: l’aggressione politica e mediatica dei magistrati che hanno ‘lavorato’ sui casi giudiziari che lo riguardano non ha prodotto utili effetti. Anzi, ha creato un clima favorevole alla sua distruzione civile, come si è constatato ancor più nelle sconsiderate napoletanità del presidente Antonio Esposito che nelle sentenze.
Il capo dello Stato, a questo punto, non poteva condannare un corpo, sia pure separato e autoreferenziale come la magistratura. In passato aveva già avuto modo di segnalare significativi eccessi nell’attività della giurisdizione e delle pubbliche accuse. Ieri non poteva farlo, essendo in discussione un principio fondamentale d’ordine repubblicano: gli effetti civili di una sentenza.
Si deve riconoscere che, da presidente della Repubblica, Napolitano ha mostrato inattesi coraggio e decisione nelle proprie scelte, ultima quella di realizzare l’accordo destra-sinistra alla base del governo di Enrico Letta e di sostenerlo sino in fondo quando i marosi sembravano poterlo affondare.
Da questo momento non ci sono più illusioni. Facendo un passo avanti, sull’orlo dei suoi limiti, il presidente della Repubblica ha anche ricordato che Berlusconi non andrà in prigione (ci sono alternative al carcere) e che, insieme al Pdl, potrà deciderà come proseguire nell’impegno politico.
Un impegno limitato dalla nota sentenza e dalle altre che verranno.
Berlusconi, che deve il proprio successo di imprenditore al realismo e che, nei momenti cruciali, ha dato prova di concretezza, non ha scelte: deve accettare il verdetto della Cassazione.
Se, come dice –lecito dubitare della sua sincerità-, pensa all’interesse del Paese, può solo operare perché la tensione nella politica si attenui (salvando il governo) e si attenui la tensione tra politica e magistratura.
Il suo sacrificio è la premessa imprescindibile per riformarla, finalmente, questa magistratura, rendendola simile a quelle dei paesi dell’UE, con l’adozione della separazione delle carriere e la responsabilità civile.
Le parole di Napolitano possono e devono condurre il cavaliere sulla via della ragione.
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