In questi giorni, sull’onda dello scandalo
Datagate, è stato definito un accordo tra l’Autorità Garante per la
privacy e il Dis, il Dipartimento informazioni per la sicurezza: i servizi segreti italiani non potranno utilizzare dati sensibili dei cittadini
senza prima averlo comunicato al Garante. Insomma, gli italiani
continueranno a non sapere di essere “spiati” ma potranno contare sulla supervisione
dell’Autority per la privacy.
Il relativo protocollo è stato
firmato a Palazzo Chigi, in presenza del presidente del Consiglio Enrico
Letta, e del sottosegretario delegato ai Servizi, Marco Minniti,
uno dei pochi esperti della materia. L’Authority italiana per la privacy è un
soggetto ben singolare, visto che è stata ed è tutt’altro che esente dalla
commistione con la politica politicante: il suo primo presidente è stato
Stefano Rodotà, cioè l’expresidente del PDS, attualmente solidale con gli
occupanti (illegali) del teatro Valle di Roma; l’attuale è l’expresidente dei
deputati del Pd, Antonello Soro. Scelte inconcepibili in un Paese diverso dal
nostro dato che, così, il valore affidato dall’Authority diventa disponibile a
un trattamento a geometria variabile secondo simpatie e vocazioni partitiche.
Nominando Rodotà e Soro, il Parlamento ha direttamente
e negativamente inciso sulla funzionalità e affidabilità dell’Authority cui
sono stati preposti.
Quisquilie, nell’Italia del conflitto d’interessi.
Del primo garante, rimane memorabile la condanna (politica?) degli Stati Uniti
per le misure di sicurezza applicate negli aeroporti americani nei confronti
dei passeggeri (anche italiani).
Guardiamo ora i nostri
servizi segreti. Il loro livello qualitativo e di affidabilità è stato rivelato
all’opinione pubblica dalla decisione di altri servizi alleati (Gran Bretagna,
Germania, Francia) di non renderli partecipi delle informazioni di cui
dispongono. Va ricordato che, durante il governo Prodi 2006-2008, un componente
del Copasir chiese i nomi degli informatori, con relativo compenso. A palazzo
Chigi, qualcuno non ci vedeva nulla di male nell’accontentarlo.
Alla diffidenza dei
nostri alleati occorre aggiungere l’evidente assenza dell’Aisi (informazioni
interne) sullo scenario nazionale. La prova è sotto gli occhi di tutti: la
mancata prevenzione dei frequenti assalti ai siti dell’Alta Velocità in Valle
Susa, segno che non c’è alcun monitoraggio (infiltrati manco a parlarne) della
galassia di antagonisti che anima il mondo Notav. Essi comunicano con cellulari
e mail e sono quindi permeabili alle attenzioni di un servizio di sicurezza
interna A questo punto, c’è da chiedersi: se mai qualcuno al Viminale o
all’Aisi decidesse di intercettarli, sarebbe costretto a concordare l’elenco
con l’Authority?
E l’onorevole Soro,
garante della privacy, resisterà alla tentazione di informare qualche amico di
partito, interessato alla vicenda?
Un solo pensiero ci
consola: l’intesa è così lieve da non disturbare i nostri servizi e i segreti
che debbono custodire.
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