22 mar 2014

interessante analisi di Alberto Cacopardo

Matteo Renzi rottama Norberto Bobbio, ma senza darlo a vedere.
di alberto Cacopardo

E’ apparsa di recente in libreria, nel ventennale della prima uscita, una riedizione del famoso pamphlet di Norberto Bobbio “Destra e sinistra”, accompagnata da un commento di Matteo Renzi a quel memorabile testo. “Repubblica” ha pubblicato giorni fa in anteprima questo commento renziano sotto un titolo incoraggiante (“Innovazione e uguaglianza, la mia idea di destra e sinistra nell’Europa della crisi”) accompagnato da un catenaccio confortante: “Il manifesto di Renzi: ‘La lezione di Bobbio è viva’”. 

Nel breve testo, Renzi dice alcune cose sensate. Innanzitutto ci rallegra che faccia a meno di aggregarsi al vecchio coro, ormai rauco e spiegazzato, dei confusi infelici che da trent’anni cercano di convincerci, contro ogni evidenza, che destra e sinistra non significano più niente. Renzi li ignora, e rende omaggio a Bobbio per averli sonoramente confutati. Subito dopo, peraltro, eccolo sollevare il dubbio che “la coppia eguaglianza/diseguaglianza non riesca a riassorbire integralmente la distinzione destra/sinistra”, mettendo così in discussione proprio la tesi centrale di quel volumetto Bobbio.
Il dubbio, espresso in questi termini, è sensato. Renzi fa l’esempio dei movimenti xenofobi europei, “un magma impossibile da ridurre alla vecchia contraddizione uguali/disuguali”. E’ un esempio più che appropriato. Il tema dell’inclusione/esclusione è infatti uno degli elementi fondamentali che, a mio parere, bisognerebbe aggiungere per completare, non per sostituire o superare, l’analisi di Bobbio. La destra alza confini, identifica il “noi” in una comunità, etnica, linguistica, religiosa o nazionale che sia, dotata di precise frontiere, oltre la quale c’è il mondo degli “altri”, possibili amici, perennemente potenziali nemici. E’ soprattutto per questo che l’America è diventato oggi, a differenza che in passato, un paese di destra, perché il segno e la forza di quel confine sono stati impressi in maniera profondissima nell’animo del popolo americano.
Ma Renzi su questo non elabora. Dopo aver addotto il suo esempio, evidentemente al solo scopo di alleggerire il peso del tema dell’eguaglianza, se ne disinteressa. E passa a spiegarci che per lui la distinzione destra/sinistra resta comunque essenziale. Perché? Perché, naturalmente, è un convinto sostenitore del bipolarismo: e se ci vogliono due poli, anzi “un modello bipartitico, all’americana”, ci vorrà pur qualcosa che distingua i due partiti.
Ed è qui che Renzi si domanda: “Tiene ancora lo schema basato sull’eguaglianza come stella polare a sinistra?” La domanda è retorica, la risposta implicita è no. Ma non è che ci spieghi tanto bene perché. Parla di una “società sempre più individualizzata”, si chiede come recuperare idee come “merito” o “ambizione” e soprattutto come evitare che “la sinistra perda contatto con gli ultimi”, facendosi scavalcare da un papa Francesco. Perché, sì, ci spiega a questo punto con una piroetta lievemente cerchiobottista, “l’uguaglianza – non l’egualitarismo – resta la frontiera per i democratici”. Ma oggi è più utile interpretare l’opposizione destra/sinistra “nei termini temporali di conservazione/innovazione”. La sinistra, secondo lui, deve “innovare”, la destra invece “conserva”. Cioè proprio una delle tesi che Bobbio, a suo tempo, aveva discusso e scartato.
E ben a ragione: perché se c’è qualcuno che negli ultimi vent’anni ha fatto di tutto per “innovare”, questa è stata proprio la destra. Fino a quando l’ordine costituito fu segnato da marcatissime disuguaglianze economiche, sociali e culturali, innovare e cambiare significò scardinare quelle disuguaglianze. Ma quando, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, in Europa e in America, l’affermarsi del principio di uguaglianza cominciò a minacciare i privilegi dei potenti, innovare e cambiare prese a significare scardinare il Welfare State e le politiche sociali che quei privilegi mettevano in questione. Sono circa trent’anni che la destra innova, ma in direzione esattamente opposta a quella in cui innovava la sinistra.
Renzi non sembra accorgersene. Per lui l’alternativa che conta è “movimento/stagnazione”. Dove “stagnazione” significa non rendersi conto che oggi non esistono più “quei blocchi sociali definiti e compatti” che la “sinistra socialdemocratica, cara a Bobbio” si era impegnata a scardinare per dare a tutti cittadinanza. E qui Renzi ha ragione. Quei “blocchi sociali”, s’intende, non sono altro che le classi in conflitto di marxiana memoria. Quelle classi, in quei termini, non esistono più e la sinistra migliore non ha certo aspettato Renzi per accorgersene.
E, per di più, Renzi avrebbe quasi ragione a sostenere che proprio questo è il segno che la sinistra socialdemocratica ha vinto la sua battaglia. Chi si ricorda bene e con dolore, come lo ricordava Bobbio proprio alla fine di quel libretto, che cosa era la disuguaglianza appena pochi decenni fa, non può che apprezzare di tutto cuore l’immenso cambiamento che c’è stato: la dignità sociale e la speranza di riscatto di chi è nato povero oggi sono tutt’altra cosa da quello che erano allora.
Avrebbe quasi ragione. Perché la verità è che noi avevamo vinto quella battaglia. L’avevamo vinta fino a quando, proprio contro quella vittoria, non si è scatenata la poderosa reazione del neoliberismo, che, con la preziosa collaborazione dei Clinton e dei Blair che Renzi tanto ammira, si è dedicato a piene mani alla sua grandiosa attività di “innovazione”, tutta diretta a smantellare i presupposti di quell’uguaglianza a cui Renzi presta il suo formale omaggio.
Quella partita è vinta, dice lui. “Oggi ne stiamo giocando un’altra”. Quale?
Poiché “quei blocchi sociali sono stati sostituiti da dinamiche sociali irrequiete” e “i confini nazionali non delimitano più gli spazi entro i quali le nuove dinamiche giocano la loro partita”, la sinistra deve cambiare se stessa, sposare l’”innovazione”, pena la “condanna all’incapacità di distinguere i nuovi ultimi e i nuovi esclusi e all’ignavia di non mettersi subito al loro servizio”. Saper distinguere, insiste Renzi, “le dinamiche sociali che interessano gli ultimi e gli esclusi” per dare loro rappresentanza e costruire per tutti un paese migliore, è il compito del Partito democratico. E questa, conclude, è la missione storica della sinistra.
L’operazione ideologica di Renzi, poiché di questo si tratta, è sottile e piuttosto pericolosa. Per lui, l’uguaglianza non è più tema centrale perché la battaglia in suo favore è stata vinta, le classi ottocentesche sono state scardinate e siamo entrati in un nuovo mondo, in cui la preoccupazione della sinistra dev’essere tutta per quella minoranza di ultimi e di esclusi di cui tanto si preoccupa papa Francesco.
Il problema è che quella battaglia non è stata vinta affatto. Oggi, nell’Occidente e nei paesi ricchi, ma particolarmente in Italia, la frontiera della disuguaglianza non è quella che esclude quella minoranza di ultimi, ma quella che investe la vasta maggioranza di persone che negli ultimi due decenni hanno visto il loro reddito reale ristagnare e poi contrarsi, il loro accesso ai servizi e ai beni che un tempo si dicevano “pubblici” farsi sempre più oneroso e incerto, il loro benessere complessivo sempre più minacciato, mentre la ristretta minoranza dei più ricchi concentrava nelle proprie mani una porzione continuamente crescente sia del reddito che del patrimonio. Pochi ricchi si sono enormemente arricchiti, tutti gli altri si sono impoveriti. E questo non è successo né per caso, né per un qualche oscuro meccanismo connaturato alle mostruosità del capitalismo che solo chissà quale catarsi rivoluzionaria potrebbe in un futuro scardinare, come continua a credere certa sinistra. E’ successo per effetto di un vasto, intelligentissimo disegno messo in opera dai potenti della terra che si è materializzato in tutto il mondo nelle vesti della controriforma neoliberista.
La battaglia per l’uguaglianza, proprio nei termini in cui la vedeva Bobbio, è oggi più che mai all’ordine del giorno. Essa non riguarda semplicemente quella minoranza di “ultimi ed esclusi”, ma la vasta maggioranza che si è vista ricacciare nell’insicurezza e nel rischio di ricadere nel bisogno. La posizione di Renzi in questo scritto somiglia tanto a quella descritta da Carlo Galli in un recente libro che tratta proprio lo stesso tema del pamphlet di Bobbio (Perché ancora destra e sinistra, Laterza, 2013): “Ciò che conta è che la linea guida della politica non sia più l’uguaglianza garantita dallo Stato […]. Al più, si accede all’idea che sia cosa buona e edificante, ove possibile, lenire col balsamo della compassione la dura legge delle disuguaglianze.” Solo che Galli non descriveva qui la missione della sinistra, ma, tutt’al contrario, le posizioni della destra.
Nel discorso di Renzi, in sintesi, la lezione di Bobbio non è affatto viva, è morta e sepolta.
La situazione, oggi ancor più che vent’anni fa, è proprio il contrario di ciò che dipinge Renzi. Come pensava Bobbio, la bandiera dell’innovazione non è né di destra né di sinistra, può esser messa al servizio di entrambe.Mentre davanti ad una destra planetaria che costruisce un potere sempre più potente e penetrante, sempre più capace di condizionare e controllare i corpi e le menti dei nuovi sudditi dell’era globale, sempre più abile a regolare i flussi del denaro, del sapere e dell’informazione nell’interesse di chi comanda, le parole della sinistra non hanno bisogno di “innovazione”. Devono sì lasciarsi alle spalle gli errori del passato, quelli che aprirono la strada al culto dell’odio, del conflitto, della violenza e della sopraffazione. Ma devono restare, o tornare ad essere, quelle semplici, limpide e potenti di oltre duecento anni fa, quelle che ispirarono il sogno più grande che l’umanità abbia mai coltivato, un sogno che non è ancora realizzato: uguaglianza, fratellanza e libertà.


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