di paolo Speciale
Concreto e
sostanziale abbattimento dell'eccessiva e farraginosa tempistica delle
procedure burocratiche proprie di uno stato sociale che però va mantenuto,
perchè al momento irrinunciabile: questa la filosofia renziana che oggi, stante
il rigido cronoprogramma autoimposto, si vuole trasformare in atto compiuto.
Cosicchè la prima
delle riforme, sinora prudenzialmente solo dibattute in sede extraparlamentare
in forza della loro potenziale natura destabilizzante, riguarda proprio il
nuovo ruolo da attribuire ad una istituzione – il Senato - nata storicamente
come sede della saggezza legiferante per eccellenza, l'assemblea che deve
operare quel bilanciante “raffreddamento” delle intemperanze – non solo
riformiste - mai meditate abbastanza.
Non si tratta di sconvolgere
il bicameralismo perfetto, ma di razionalizzarne – in termini di efficacia - la
veste operativa, non depauperando la funzione di Palazzo Madama, che anzi nella
nuova dimensione diventerebbe complemento essenziale di Montecitorio.
E di questo Matteo
Renzi deve fare i conti anche con il suo stesso “popolo”.
Si è parlato
semplicisticamente di abolizione della caratteristica “elettiva” del nuovo
Senato: eppure sarebbe costituito in grandissima parte da eletti presso le
autonomie locali ed è innegabile quanto ciò possa incidere sulla nascita di una
nuova e più alta qualità del rapporto tra rappresentante e rappresentato. Gli
eletti nei vecchi collegi, sinora dimostratisi insufficienti strumenti di
manifestazione delle esigenze locali e territoriali a livello centrale,
sarebbero sostituiti direttamente dagli amministratori periferici stessi i
quali, senza alcuna indennità diversa da quella erogata dall'ente locale
rappresentato, sarebbero forse anche meno esposti al fenomeno del voto di
scambio e ad una certa diffusa ed impropria dipendenza gerarchico-partitica che
il sistema dei privilegi romani nel tempo ha consolidato.
La funzione
legislativa ordinaria rimarrebbe prerogativa esclusiva della Camera dei
Deputati, mentre al Senato la stessa sarebbe sostituita da una funzione -
sinora propria delle commissioni – di elaborazione propositiva con cogenza,
presso Montecitorio, di esame e di espressione di parere verso i testi redatti
entro tempi ristretti.
Ancora: Palazzo
Madama manterrebbe la funzione legislativa costituzionale, e quindi rimarrebbe
attore determinante in ogni ulteriore processo di revisione della magna charta,
oltre a rimanere titolare della stabile attribuzione di altre non meno
importanti funzioni presenti nel processo legislativo.
Le riforme del
sistema, si sa, riguardano tutti perchè modificano spesso anche le regole del
gioco.
Tutti, tranne le più
alte cariche dello Stato, che dello stesso sistema, anche se modificato dal
Parlamento sovrano nella sua collegialità, devono essere, nella qualità, solo
garanti e non critici commentatori. Pena il rischio di perdere autorevolezza e
prestigio, oggi quanto mai importanti, se non confusi con i privilegi.
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