È difficile immaginare una congiuntura
più favorevole per il rilancio del processo di integrazione europea:
il successo dei partiti populisti e antieuropei, particolarmente
significativo in Francia e nel Regno Unito, potrebbe spingere i
leader dei
paesi associati a pigiare
l’acceleratore in cerca di un nuovo assetto politico del pachiderma
di Bruxelles. Un’Unione consapevole dei problemi provocati da una
burocrazia ottusa, capace di approvare il regolamento sul calibro
delle zucchine e di dimenticare nel cassetto qualsiasi iniziativa per
il rilancio dell’economia.
Molti, e io fra questi, rimpiangono
Delors e il suo piano di investimenti in infrastrutture del valore di
300 miliardi di dollari (anni ’80), caduto per le concorrenti
opposizioni tedesca e inglese.
Oggi, nonostante Angela Merkel, ci vuole
qualcosa del genere: uno choc
di investimenti capace di
mobilitare migliaia di aziende e milioni di lavoratori in un’opera
di ammodernamento delle strutture fisiche e informatiche e di
produrre stabili effetti di ripresa sostanziale per un futuro non
remoto. Si
è
autorevolmente indicata in 1000
miliardi di euro la
somma necessaria.
Non sarà facile, finché il cosiddetto
rigore la farà da padrone.
Paradossalmente l’orologio della Storia
(quello malamente invocato da Mussolini il 10 giugno 1940) suona
un’altra volta per noi: emarginati dal concerto dei grandi,
considerati la pecora nera dell’Unione, oggi, dopo l’irruzione di
Matteo Renzi, torniamo a essere cruciali, così come non eravamo mai
stati, nemmeno nei tempi più mitici.
Il futuro europeo non è nelle mani di
Hollande, un leader senza
leadership,
colpito a morte dai propri errori, dalla propria insufficienza e da
un’acritica adesione al mortifero presupposto di una grandeur
da tempo dissoltasi. Non in
quelle di Cameron, vittima –con tutto il suo Paese- di questo
essere e non essere, un po’ europei un po’ antieuropei,
dimenticando che nella vita e nella politica i principi fondamentali
debbono essere onorati: e l’integrazione confligge solo con i
residui di una mentalità imperiale che il West End ha da tempo
abbandonato.
La
Spagna seguirà l’Italia, non può fare altrimenti.
La Germania, alla fine, dovrà ragionare,
dato che il suo destino è più legato all'Europa di quanto non si
creda.
L’aspetto più convincente
dell’evoluzione italiana è rappresentato dall’agenda imposta al
Parlamento da Renzi: diversamente dal piccolo Monti e dal timido
Letta, il premier ha
guardato alle necessità nazionali, prima fra tutte quella di
rimettere in moto la macchina abbandonando il bicameralismo perfetto
e una regionalizzazione utile solo a chi intende sbarrare il passo a
ogni iniziativa di interesse generale.
In questo modo, le attese degli italiani
si sono risvegliate tanto da scommettere, con il voto, sul futuro.
Così dovrà essere trattato il dossier
Europa, investendo il peso
conquistato sulle questioni più urgenti per mettere in moto la
macchina continentale, si tratti di economia, si tratti di
istituzioni, si tratti di questioni sociali.
Il tutto si terrà solo se, nelle
priorità, sarà inserito un deciso passo in avanti
nell’integrazione: dal fisco alla giustizia, dalla difesa alla
politica estera, meno chiacchiere più decisioni (a maggioranza)
vincolanti, più azioni politiche mirate.
La palla è, in buona parte, nelle
mani del primo ministro più giovane della compagnia.
Se saprà spendere il tesoro di
credibilità di cui dispone, tempi migliori potranno venire presto,
in un domani non indefinito.
Nulla da aggiungere tranne
che di ricordarsi dei valori territoriali di un mezzogiorno assai
trascurato da tempo da una politica che spesso ha fatto cattivo uso
dei fondi provenienti da Bruxelles a causa di una politica più
dedita ai propri interessi che a saper leggere in lungimiranza
l'importanza di investire in queste zone attraverso valide
infrastrutture.
Un territorio dimenticato dai programmi
del nuovo Premier che non sembra spendere mai una parola in favore
delle opportunità di poter sanare il divario esistente... ed in realtà più dedito
a mostrare un decisionismo su riforme istituzionali non condivisibili sul piano funzionale in favore di un positivo processo
democratico.
Vogliamo sperare che possa esservi un suo
deciso intervento nella prossima Commissione in favore dei territori
del Sud..e che questo non si concentri esclusivamente in favore di
inutili investimenti, ma che sia supportato da riscontri funzionali
ed utili per lo stesso territorio facendo intendere all'Europa stessa
l'importanza di una ricrescita dei territori meridionali attraverso
una agevolazione delle loro risorse naturali.
vincenzo cacopardo
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