6 lug 2014

"Renzi al semestre" di Domenico Cacopardo

di domenico cacopardo
L’epocale ingresso di Matteo Renzi nelle vesti di presidente semestrale dell’Unione europea si è concluso con una incredibile manifestazione di provincialismo e superficialità.
Invece di affrontare una dura conferenza stampa con i giornalisti dei 28 paesi, è saltato sull’aereo presidenziale ed è corso a Roma per correre a Porta e porta e sedere sulla poltrona di rose preparatagli da quella vecchia volpe del talk-show che risponde al nome di Bruno Vespa.
In quest’episodio ci sono tutti i limiti del giovanotto fiorentino, tutto votato alle piccole furbizie (i machiavellismi) di borgata, che, sin qui, tanto gli hanno dato in termini di successo politico e mediatico, complice un mondo incapace di una valutazione critica delle sue parole e del suo operato (in progress).
L’Europa –e l’abbiamo già scritto- è un’altra cosa. E, in Europa (e negli Stati Uniti, dove, al Council on foreign relations abbiamo assistito a penose esibizioni di alcuni primi ministri italiani), le cose vanno diversamente e il sussieguoso rispetto del normotipo del giornalista italiano appare quello che è: persone schierate che fanno propaganda pro o contro l’intervistato.
E dire che il discorso, in fin dei conti, non era stato tanto male, pur manifestando, ancora una volta, i limiti di statura del nostro simpatico boy-scout: il ricorso ai cardini della classicità europea, dalla Grecia (capta) a Roma risultava un espediente retorico per evitare un difficoltoso ragionamento di merito sulle ragioni dell’Italia (e Portogallo, Spagna, Irlanda, Grecia e, last but not least, Francia) rispetto all’ortodossia comunitaria, rappresentata più che dalla Merkel dalla Germania e dai suoi eurodeputati.
Se avesse letto il discorso preparato con gli esperti (per la prima volta qualche esperto al lavoro, dopo le drammatiche sciocchezze sulla ristrutturazione del debito formulate dall’endocrinologo di fiducia di Renzi, Mauro Del Rio), magari premettendo una classicheggiante introduzione (nella quale, però, Euripide e gli scettici avrebbero dovuto avere il posto che meritano) avrebbe dimostrato un coraggio degasperiano (la perorazione davanti alle potenze vincitrici della guerra) e avrebbe di sicuro conquistato se non il consenso il rispetto dei parlamentari e dei governi europei: insomma avrebbe mostrato dinnanzi all’Unione intera l’ombra lunga di una bandiera a mezz’asta per la crisi e, al contempo, le implicazioni generali di una situazione che l’Europa intera deve farsi carico di risolvere.
La verità vera è a Renzi interessano ancora i giochi nazionali, le parole di Chiti e i capricci di Civati, l’aggressività supponente di Di Maio e le esternazioni del fascitello genovese, excomico, assurto a immeritato peso politico. Tra questi scogli sa muoversi con furbizia, azzeccando tempi e modi, parole e proposte, in un tourbillon mediatico, manifestazione dello sport preferito dal premier: la ginnastica orale.
Ci sarebbe da ridere, se non ci fossero domande serie e ineludibili che ogni giorno accrescono l’angoscia di chi conosce il gioco e i suoi rischi, ma anche di chi segue la stampa e le televisioni con un minimo spirito critico. Ieri sera, a Lentini, nella Sicilia profonda, alcuni giovani mi hanno detto: «Renzi è Berlusconi redivivo.»
Sembra proprio così. Questa stagione di nuovismo che esprime finalità condivisibili e condivise. Si pasticcia nel perseguirle.
Probabilmente ha ragione Piersilvio Berlusconi: «Durerà vent’anni.» Purtroppo.

Nessun commento:

Posta un commento