2 set 2014

Un commento al nuovo articolo del consigliere Cacopardo


TRA IL DIRE E IL FARE

La delusione che serpeggia nel Paese è sostanzialmente infondata. 

Certo, ci aspettavamo miracoli da Matteo Renzi e questi miracoli non si vedono. Ma occorre riconoscere che i miracoli appartengono al mondo della fede, non della realtà politica, economica e sociale.

Infatti, le varie tornate di consigli dei ministri dedicati alle riforme hanno partorito topolini inidonei a cambiare verso all’Italia, a bloccare la crisi e mettere in moto il rilancio dell’economia e dell’occupazione. Quello che è mutato, è il tono della comunicazione, tutta imperniata sulla persona di Renzi, sulle sue idee, sulle sue indicazioni. Insomma, «one-man job» con tutto quello che di positivo (poco) e di negativo (molto) questo significa.

Ci vorranno studi approfonditi di psicologi di massa per spiegare come il Pci, diventato Pds, Ds e, infine, Pd, si sia consegnato mani e piedi a un giovane democristiano, accompagnato da una squadra di giovani democristiani supinamente applauditi da giovani e vecchi excomunisti. Il metodo è la stupida follia che si chiama «primarie», che, senza alcuna garanzia di democraticità sostanziale determinano le candidature (quasi tutte) e gli incarichi direttivi di quel partito. 

E il giovane democristiano cerca di riprendere l’afflato riformista di Antonio Segni (distribuzione delle terre) e da Amintore Fanfani (piano casa, industria di Stato strategica per lo sviluppo, autostrade etc.): propone e fa approvare dal Parlamento norme che, comunque, innovano qualcosa, non tutto ciò che servirebbe. Insomma, secondo il principio che «poco è meglio di niente», dobbiamo essere «non insoddisfatti» dell’avvio della fine del bicameralismo perfetto, dei piccoli pannicelli caldi della riforma della pubblica Amministrazione, di una spezzettata riforma della giustizia, di uno «sblocca Italia», dai contenuti incerti e dagli effetti vicini allo zero.

Chiariamo: la riforma dell’Amministrazione non ha affrontato nessuno dei nodi che impediscono allo Stato di essere alla pari con i partner europei. Due esempi: non emerge l’organizzazione per progetti che tanto ha dato altrove, e non si interviene sulla questione funzionale e morale rappresentata dall’«inhouse». Si tratta delle migliaia di società strumentali costituite dai municipi italiani: un modo per aggirare le normative europee in materie di appalti e forniture e per alimentare il giro della corruzione amministrativa e politica.

Sulla giustizia, dobbiamo rilevare che il cruciale tema della giustizia civile viene risolto (?) con un arretramento dello Stato a favore dell’avvocatura (che amplia le proprie prospettive soprattutto finanziarie): e ciò in quanto non si ha la forza di incidere sulla produttività dei magistrati mettendoli al lavoro con gli standard comunitari.

Infine, le opere pubbliche: non ce n’è una dalla Napoli-Bari alla Palermo-Messina-Catania che sia assistita da progetti esecutivi. Ciò significa che, tra indagini geologiche, rilievi topografici e scelte tecniche non potremo avere progetti esecutivi prima di due anni, a essere ottimisti. E il resto? Solo la Salerno-Reggio Calabria sembra in dirittura d’arrivo.

Diceva Mao Tse Tung «la lunga marcia cominciò con un passo»: se Renzi qualche passetto l’ha fatto è l’Italia che è ancora ferma.



“Il suo governo ormai ha espresso una lunga serie di scorciatoie che tagliano ogni dibattito..ed ingannano ogni sprovveduto cittadino.”

Mi spiace sottolineare che i passetti di Renzi si dimostrano un continuo percorso ricco di illusioni. Il mago della comunicazione riesce a stregare anche perchè privo di validi avversari politici in grado di contrastare la sua politica spavalda ed accentratrice. 

Quel «poco è meglio di niente» stigmatizzato da Domenico la dice tutta su ogni visione realistica nel futuro. Avremo piccoli risultati che lo potranno salvare nell'immagine (poichè peggio di così), ma per il resto aria fritta....

Viviamo quindi appesi nello scherno di poter crescere restando abbagliati dalle parole dell'abile illusionista che in un primo momento aveva assicurato cambiamenti nell'arco di tre mesi ed adesso (come è tipico di chi si esprime attraverso l'ipocrisia).. sono diventati tre anni...(e perchè non dieci?) Teniamo anche presente che all’inizio del suo mandato aveva detto: «Mai più fiducie sui provvedimenti, specie sulle riforme». Il suo governo ormai ha espresso una lunga serie di scorciatoie che tagliano ogni dibattito. Il suo imperativo è fare presto, un ambizioso rincorrere le promesse fatte, tentando di rispettare qualche impegno già preso. Ma siccome.. tra il dire e il fare c’è di mezzo il rapporto con il dibattito in seno al Parlamento, in 100 giorni su 14 decreti legge sono arrivate 13 fiducie. Non dimenticando che anche sul decreto della Pubblica Amministrazione sarà probabile una richiesta di una doppia fiducia, sia alla Camera...come al Senato. 

Se Enrico Letta in 10 mesi mise a segno 12 fiducie, Renzi, con 13 in quattro mesi... ha superato di molto la media dei record nell’utilizzo di questa strana anomalia di marginalizzazione del Parlamento nel ruolo di controllo.

Strano che il capo dello Stato...tanto efficiente nel passato, il quale ha sempre denunciato il pericolo di tali anomalie, oggi taccia e si renda complice di questo intollerabile modo di procedere. Napolitano sembra costretto da un imput suggerito dalle forze politiche europee che paiono condizionarlo sempre di più. Credo che per lui sia oggi molto più nobile abbandonare il suo più che difficile ruolo.. ove poterne ancora venirne fuori con maggiore dignità.
vincenzo cacopardo




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