5 ott 2014

i dolori del giovane Renzi

di paolo Speciale

La vicenda politica del nostro premier vede il suo protagonista inquieto e spesso solitario leader di un partito che continuerà ad autodistruggersi sino a quando si ostinerà a considerarlo non già figlio del tempo, quanto anche e soprattutto un male necessario per accumulare voti o, peggio, tessere.
Sarebbe un grossolano errore dimenticare che non è Renzi il primo Presidente del Consiglio incline ad attuare strategie di indirizzo politico di tipo terapeutico ispirate dalla contingente situazione socio-economica e non proprio in linea con datate ideologie di base, parimenti sostenibili – con identica se non maggiore efficacia –comprendendone appieno la naturale storica evoluzione, insieme ai nuovi diritti e valori che ne derivano e che non vanno certo revocati o negati, ma riconosciuti e trattati in maniera diversa, poichè essi stessi sono cambiati.
Giova qui ricordare che già trenta anni fa, solo contro tutti, Bettino Craxi vinse una consultazione referendaria abrogativa del decreto del febbraio del 1984 – detto di San Valentino per il giorno in cui fu emanato – che bloccava la scala mobile e che puntava all'ambizioso obiettivo – poi raggiunto- di ridurre una inflazione che uccideva ogni giorno di più una economia già sul letto di morte.
Le pregiudiziali lotte di classe – da fare ad ogni costo - in tempi di crisi globale nascono dalla irresponsabile consapevolezza di non saper considerare ogni grave recessione alla stregua della “livella” del principe De Curtis, dove a creare la disoccupazione è sia l'imprenditore che non può assumere sia l'operaio che non può lavorare.
Ciò premesso, non credo che la semplice abolizione del famigerato art. 18 possa contribuire ad una presunta “liberalizzazione” del mercato del lavoro con conseguente ripresa della produzione e dell'economia; anzi, poiché non vi attiene proprio, più utile sarebbe intervenire nel testo con emendamenti strutturali che non solo ne estendano l'efficacia a tutti i  lavoratori senza l'incostituzionale differenziazione – generante una inaccettabile diseguaglianza – del numero dell'organico, ma lo rendano finalmente ed inequivocabilmente avulso dalla querelle sul welfare.
E tuttavia questa convinzione non mi impedisce di considerare prioritario il recupero e la giusta valorizzazione dei presupposti fondamentali presenti in ogni rapporto di lavoro, che passa per il superamento una volta per tutte della restrittiva semplicità del principio secondo il quale uno o più licenziamenti possano costituire la chiave di volta per un'azienda che, se già soffre, non attenuerà di certo il proprio malessere mandando a casa le maestranze.
Soltanto pochi, oggi, si rendono conto delle vere priorità: e sono gli stessi che cercano di sfondare i muri di gomma fatti di tesi preconfezionate, spesso collegate ai cosiddetti “poteri forti” di cui colpevolmente i sindacati si sono fatti parte integrante, distruggendo un'immagine dialettica di confronto - che almeno nel 1984 c'era - di cui per prima la storica controparte , cioè il governo, oggi sente più di altri la mancanza.
E sono anche questi i dolori del giovane Renzi.






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