"La determinata visione di una economia internazionale europea costringe le regole degli Stati aderenti. Con il continuo controllo sul debito e le direttive sulla stabilità dei Paesi della comunità, si condiziona a prescindere ogni percorso economico dei singoli paesi aderenti. Difficilmente, oggi, che un Paese come il nostro, potrebbe dare sfogo ad una economia più brillante in termini di investimenti e di conseguente economia reale!
Un pensiero spontaneo.. quindi.. potrebbe essere quello di non riuscire a capire perché mai ci si deve adeguare ad un simile percorso di sofferenza trascurando l'essenziale crescita di una società, la cui sopravvivenza dovrebbe basarsi in un’economia effettiva di sviluppo. Restando fermi nei parametri della rigida visione dell’economia odierna internazionale, si persevera nel drastico problema di un Paese strangolato da un pesante debito pubblico, senza il quale, si potrebbe uscire usando gli 85 miliardi, pagati in interessi, per far crescere l' economia. Se pagare il debito, in via di principio, è anche necessario..e se dovessimo continuare a dar conto a tale logica…il nostro bel Paese, non potendo crescere, non avrebbe più alcuna speranza nemmeno di pagarlo!
Con questo articolo..Domenico Cacopardo sottolinea l'importanza di un governo come il nostro che non può più sottrarsi ad un impegno in tal senso anche a dispetto dei bei propositi di Draghi "
vincenzo cacopardo
«…la convinzione cieca e ottusa che al mondo non potesse esserci nulla di più bello e perfetto della scienza, della musica, della poesia e della lingua tedesche, dei giardinetti, dei water, del cielo, della birra e degli edifici tedeschi…» (Vasilij Grossman, L’inferno di Treblinka).
Intorno a questa follia collettiva nacque la Prima guerra mondiale, si sviluppò il nazismo con le stragi di cui fu protagonista, si è consolidata un’idea d’Europa che ci sta conducendo al disastro collettivo, come dimostra l’aggravarsi della tragedia greca e la sua capacità di trascinare nel baratro paesi non secondari come l’Italia e la Francia. Intorno a questa follia collettiva, Angela Merkel s’è fatta interprete della volontà di germanizzare gli europei, trovando complici compiacenti anche da noi. Diciamocelo subito: nella storia del mondo, i debiti dei grandi stati si sono dissolti con le guerre e le conseguenti inflazioni. L’Europa è un’opportunità nuova e vedremo se funzionerà o se cadrà nella paralisi provocata dall’assoluta opposizione dei tedeschi, ossessionati dal timore di dover coprire le dissipazioni altrui.
Siamo in dirittura d’arrivo per lo «show down» più serio e drammatico della storia dell’Unione europea.
Si tratta della battaglia, già in corso, intorno alla Bce e alla funzione che può e deve svolgere per portare la Comunità fuori dalla crisi, senza penalizzazioni per coloro che arrancano nel gruppo di coda, ma con concrete possibilità di recupero.
Mentre le aste di questi ultimi tempi sono state molto deludenti, si avvicina sempre più il giorno in cui la Bce deciderà di emettere o di non emettere i Qe («Quantitave easing»), in concreto di procedere all’acquisto di titoli degli stati membri nella misura finale di 1000 miliardi di euro, operabile anche per «tranches».
Non si tratta di un fatto tecnico-finanziario, un mero supporto ai paesi che arrancano mediante l’immissione di una consistente liquidità, tale da rimettere in moto un misurato e benefico processo inflazionistico.
Si tratta di una decisione politica, di cui si conosce la principale conseguenza: un impegno di 1000 miliardi della Bce verso gli stati membri è un passo irreversibile sulla strada dell’integrazione europea. Per un semplice fatto: dopo di essa, diventerà molto più difficile per tutti, in primis la Germania e gli euroburocrati minacciare e realizzare una dissoluzione dell’eurozona, senza che una porzione del debito della Bce non finisca nelle tasche dei cittadini del Nord-Europa.
Certo, è una rappresentazione molto approssimata di quanto potrebbe accadere, ma non è dubitabile che la battaglia contro i Qe è una battaglia contro l’impegno solidale dell’Europa sul tema del rilancio dell’economia di tutti gli stati a prescindere dalla quantità e dal valore delle riforme imposta da Bruxelles.
Su questo terreno occorre battersi, con gli strumenti della diplomazia e delle relazioni bilaterali, tra le quali si iscrive l’incontro italo-tedesco voluto da Napolitano e celebratosi in settimana a Torino.
È sbagliato, in questo momento, battere in continuazione il ferro della flessibilità: in realtà l’Italia domanda un allentamento del vincolo di bilancio. Con il debito pubblico che ci ritroviamo, l’allargamento del deficit è una ricetta impraticabile. Insisterci è controproducente.
I segnali che vengono dalla Grecia confermano in qualche modo le iniziali parole di Grossman. Non solo, ma le truppe assoldate dai tedeschi in giro per l’Europa e insediate a Bruxelles, sono peggio degli originali tedeschi e producono operazioni assurde e autolesionistiche come quelle prospettate al governo ellenico: sul finire del primo anno con avanzo primario, il nuovo giro di vite imposto dalla Troika spingerà la Nazione amica nell’abisso, con la possibilità di tirarsi dietro nel gorgo della dissoluzione, l’intera comunità.
La cosa ci riguarda da vicino. Il governo deve occuparsene senza indugio: dopo la Grecia, toccherebbe a noi. A dispetto dei bei propositi di Draghi e delle belle prospettive dei Qe.
domenico Cacopardo
domenico Cacopardo
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