3 gen 2015

nuovo articolo del consigliere Cacopardo



di domenico Cacopardo
L’Italia esce da una fase drammatica della sua storia, segnata dalla crisi dell’estate del 2011, si lascia dietro la presidenza Napolitano, con le sue ombre e con le sue luci significative, ed entra nell’ignoto. Gli ancoraggi del passato sono venuti meno. 

È venuto meno il solido conglomerato della sinistra, fondata sull’apparato exPci e su un generone exdemocristiano, la «sinistra sociale», dominato dal radicalismo politico e dal dialogo con il sistema delle imprese pubbliche. Oggi, al suo posto, c’è un partito estremamente diviso, incapace di stabilire se è l’«unicum» italiano vagheggiato da Romano Prodi, o l’espressione locale della grande socialdemocrazia europea. In tutte le questioni sul tappeto non c’è una reale posizione unitaria, che non sia formale, e della cui tenuta nelle aule parlamentari c’è da dubitare.

Dall’altro lato, il centrodestra, come l’abbiamo conosciuto, un quasimonolito diretto da Silvio Berlusconi, non esiste più. Molti dei suoi componenti, in libera uscita, hanno costituito formazioni diverse o sono confluiti nel contenitore di Casini/Alfano, una specie di zattera costruita per traghettare da qualche parte i naufraghi che la occupano. La Lega Nord, rianimata dall’estremismo antieuropeo di Salvini ha imboccato la via della concorrenza al Movimento 5 Stelle e del rilievo nazionale su posizione lepeniste. 

Nemmeno la residua pattuglia che costituisce Forza Italia è concorde dietro il leader storico. Fitto contesta la politica e la direzione di Berlusconi e gioca una propria partita a tutto campo, dialogando con i «nemici» della minoranza del Pd.

Il «premier» Renzi, al quale va riconosciuta energia e capacità di rimettere in modo la stagnante politica italiana, da qualche settimane sbanda visibilmente, perdendo credibilità e «drive», la capacità, cioè, di gestire e ampliare il consenso che aveva insperabilmente ottenuto.

Il semestre di presidenza europea s’è rivelato un fallimento, visto che, a parte l’inutile nomina dell’inutile Mogherini nel ruolo di alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza, non ha portato a casa nulla di concreto. Renzi rivendica l’inserimento nelle linee guida comunitarie dei concetti di flessibilità e di rilancio economico, dimenticando che il contesto generale non è mutato in modo sostanziale. L’imminente consultazione elettorale greca riproporrà in modo drammatico e politico i termini della crisi e costituirà un palese atto di accusa alla gestione burocratica delle difficoltà elleniche, alla miope direzione della «troika» e all’ottusità germanica che pretende di imporre a tutte le nazioni dell’Unione il proprio modello economico-finanziario-sociale.

Ci sono poi le «gaffe» e gli errori concettuali di Renzi, tutti figli dell’impreparazione al ruolo che ricopre, che il suo senso tattico non riesce a celare. Pensiamo all’avocazione a Palazzo Chigi del dossier Marò (con la rinuncia alla via maestra dell’arbitrato), all’intestarsi il merito dell’operazione soccorsi ai naufraghi della Norman Atlantic, nella quale la mancanza di un comando unitario, sino all’intervento risolutivo della Marina Militare con la nave San Giorgio e i suoi elicotteri, ha confermato l’inconsistenza di un apparato pubblico (nostrano) frammentato e inefficiente.

Da ultimo, l’annuncio di un sostegno all’ingresso in Europa dell’Albania (invece dello status di Stato associato) a conferma della politica sciocca e suicida portata avanti da Romano Prodi (quella dell’allargamento) che ha reso l’Unione ingovernabile. 

Queste sono le premesse non felici per l’Italia politica che si appresta al cimento dell’elezione di un nuovo presidente della Repubblica.

Possiamo ancora contare sulla capacità tattica di Renzi e di Berlusconi. Basterà?

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