“Libia, ruolo guida dell’Italia” titolava un giornale della capitale dopo la solita non decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sul complesso di questioni che agitano i paesi rivieraschi del Mediterraneo.
Era errato aspettarsi qualcosa di diverso dal Palazzo di Vetro. L’avevamo scritto nei giorni scorsi che il problema rappresentato dalla Libia non era affrontabile in quella sede.
E hanno sbagliato tutti coloro che, in Italia, avevano invitato il governo a sospendere qualsiasi iniziativa demandando il problema alle Nazioni Unite. Un errore commesso in buona e in cattiva fede dalla politica inconsistente di questi tempi, un po’ per ignoranza un po’ per ignavia.
Non perché ci sia una realistica possibilità di un intervento italiano in Libia o, semplicemente, volto a impedire il biblico afflusso di immigranti illegali (non rifugiati) in corso ormai da tempo. Per la Libia non abbiamo le risorse e i mezzi per intervenire. La comunicazione formulata al Consiglio di sicurezza dal rappresentate italiano all’Onu «l’Italia è pronta a guidare una missione di pace» è del tutto velleitaria, visto che, su di essa, non c’è il preventivo consenso dei nostri amici più «cari», cioè gli Usa, la Francia e la Gran Bretagna che aprirono un fronte libico alle nostre spalle provocando il disastro attuale.
Anche una «leadership» diplomatica è al di là delle nostre possibilità, proprio perché nessuno darebbe a un peso piuma come noi l’autorizzazione a misurarsi sul ring della grande politica mondiale.
Per quanto riguarda l’immigrazione ci vorrebbe una capacità di iniziativa politica che è completamente estranea alla cultura di questo governo, benché Gentiloni sia tutt’altro che un incompetente o un incapace.
Del resto, il ricorso all’Onu (dell’Egitto) avrebbe avuto un senso per noi solo a condizione che fosse stato effettuato dopo un’adeguata preparazione, con la costruzione di una platea di consenso, nella quale fossero compresi gli Stati Uniti, la Russia e la Cina.
Nella realtà, l’Egitto è strettamente aiutato dagli Usa che l’hanno assistito nel «raid» di Derna.
Quindi dopo la riunione del Consiglio di sicurezza, il cerino, acceso da altri (Usa, Francia GB), è rimasto nelle nostre tremolanti mani. Un tremore di cui è plateale testimonianza l’invito del prefetto di Treviso agli immigrati illegali presenti nel centro raccolta della sua provincia di disperdersi nel resto del territorio nazionale ed europeo.
Un’ennesima caduta di stile e di legalità europea, tale da indebolire ulteriormente la nostra posizione nell’Unione.
Ma, se il cerino dell’immigrazione di massa è nelle nostre mani, è bene riflettere sulla politica più opportuna per arginare il fenomeno. Spogliandolo, innanzi tutto, da quell’aura di «soccorso dovuto» che l’ha ammantato in questi anni.
La gente che arriva è gente che ha pagato agli scafisti un prezzo variabile tra 1000 e 5000 dollari e che, in questo modo, alimenta un fenomeno di grandi dimensioni ben lontano dal fondamentalismo islamico. Solo una lucrosa operazione per bande criminali, delle quali, di fatto, diventiamo complici. E più i nostri natanti corrono avanti e indietro per il Mediterraneo più la voce si sparge sulle coste libiche e arriva sino al Corno d’Africa, da cui proviene una percentuale importante dei clandestini.
L’Italia è solo il luogo di transito per il resto dell’Unione. Il fatto che sia, sostanzialmente, lasciata sola a gestirlo dimostra che il nostro ruolo nell’Unione è marginale.
Tuttavia, questa deriva umanitaria e lassista non può continuare all’infinito.
Qualcosa accadrà. Alle nostre spalle.
Altrove, in sedi note alle quali non siamo invitati, qualcuno starà definendo un’azione politica di supporto ai paesi islamici laico-moderati e azioni per mettere intorno a un tavolo i capi delle fazioni tribali libiche alla ricerca di un’intesa per ostacolare i tagliagole dell’Isis in vista della ricostruzione di un tessuto statuale.
Perché la notizia non ci sia data dai giornali, il governo, dimenticata l’inutile Mogherini, deve avere una politica e perseguirla seriamente.
domenico cacopardo
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