3 feb 2015

Una nota al nuovo articolo del consigliere Cacopardo

di domenico Cacopardo
Era l’appuntamento cruciale di quest’inizio d’anno, quello dell’elezione del presidente della Repubblica, e Matteo Renzi l’ha superato brillantemente. Sembrava che la coperta fosse troppo corta: il patto del Nazareno era la chiave di volta delle riforme ma apriva alla minoranza del Pd un varco capace di mettere in discussione la «leadership» di Renzi nel governo e nel partito.

Poiché la politica è una scienza esatta e solo pochi, tra essi il «premier», riescono a interpretarne correttamente tutte le regole, compresi teoremi e postulati, era evidente che per risolvere il problema della presidenza della Repubblica era, prima di tutto, necessario ricompattare il Pd, la base di partenza per la conquista e la gestione del potere. Quindi, bando alle pregiudiziali e candidatura di Mattarella con cui sono state tappate tante bocche emittenti aria, ma purtuttavia capaci di esprimere un voto in Parlamento.
Si dice il «metodo». Certo, il metodo. Ma se l’unico candidato possibile, gradito al Pd, destra, centro e sinistre, non piace al cavaliere? E perché?
E il perché che chiarisce il no di Berlusconi: s’era illuso, l’excavaliere che, dentro il metodo della condivisione, ci potesse essere una enfatica conferma del Patto del Nazareno con la concessione di una specie di veto nei confronti di chi non gli fosse gradito. Se, però si interrogano in «camera caritatis» le persone capaci di intendere, di volere e di capire, gente alla Verdini e alla Letta, si capirebbe subito che nel Patto non c’era niente di simile e che l’idea di Berlusconi era solo un’illusione, alimentata dai soliti adulatori, da coloro ch’erano interessati a ritagliarsi uno spazio purchessia e da coloro che non capivano i termini del problema.
Come sempre è prevalsa una mezza via, la scheda bianca, che non ha impedito a un numero importante (almeno 39) di grandi elettori di Forza Italia di smarcarsi e di votare Mattarella.
Quello che è incomprensibile è il cammino di Alfano.
Ma come, l’excavaliere è in vita (politica) per la respirazione artificiale che gli pratica un giorno sì e uno no Matteo Renzi e tu ti sposti verso di lui, sperando in un abbraccio che non ti può dare nulla, non ti può promettere nulla, non ti può garantire quello che vuoi cioè la sopravvivenza (politica)?
E poi, quando Berlusconi si infila nel «cul de sac» del no (paradossale la telefonata a Mattarella «La stimo, l’apprezzo, ma non posso votarla per il metodo», un altro, ennesimo autogol), tu, Alfano lo segui, dimenticando di essere il ministro dell’interno di questo governo il cui presidente si chiama Renzi, il regista cioè dell’elezione?
E non si capisce nemmeno Sacconi, un politico di grande esperienza che ancora sabato mattina si poneva di traverso, come si trattasse di una ripicca (sempre il metodo) di fronte alla chiara, indiscutibile vittoria del candidato.
Certo tra alcuni socialisti e Mattarella non corre buon sangue e diciamo il perché senza giri di parole o ipocrisie. La questione risale alla candidatura di Claudio Martelli come capolista del partito socialista in Sicilia. L’alleanza con Pannella e le promesse in materia di rigore carcerario, si trasformarono in una specie di plebiscito di voti in suo favore. Voti mafiosi di sicuro, come in odore di mafia erano alcuni dei dirigenti locali del Psi. «I voti si contano e non si odorano» era il ritornello di quei giorni.
Un’operazione riscattata poi dalla chiamata a Roma di Falcone, dall’aggravamento del carcere duro per i mafiosi e dal contrastato progetto di una procura nazionale antimafia (la ragione questa, molto probabilmente, dell’assassinio del candidato più forte, Giovanni Falcone, e della strage dei suoi accompagnatori, a cominciare dalla moglie).
Così Lima tradì gli impegni e fu alla mercé della vendetta dei sanguinari capi bastone e si accentuò quella separazione, quel contrasto tra Stato e mafia, inutilmente messo in discussione ai nostri giorni. E sbaglia, per ignoranza di fatti e circostanze, Stefania Craxi accusando Mattarella, l’uomo del rinnovamento politico, di pregiudiziale antisocialismo. L’antisocialismo di Mattarella riguardava quel ceto contiguo con i Ciancimino e i Lima che portava sì voti al partito, ma quattrini e potere nelle proprie tasche. Mattarella è stato il protagonista della rigenerazione della Democrazia Cristiana siciliana, dalla segreteria regionale di Campione alla presidenza dello stesso di un governo di centro-sinistra non sospettabile di contiguità.
In Sicilia, in particolare in Sicilia, alle sigle non corrispondono sempre comportamenti coerenti. E questa frammistione ha riguardato, a parte i repubblicani, notoriamente succubi di ambienti mafiosi, democristiani socialisti e comunisti. A proposito di questi ultimi, Roma fu costretta a mandare La Torre a Palermo per mettere ordine nei rapporti tra partito e cooperative e tra queste e sistema di imprese mafiose. Una presenza e un’azione, quella di La Torre che gli costò la vita.
Ma con i rancori, sbagliati, non si costruisce il futuro. Ed è di futuro che abbiamo bisogno.
Un breve bilancio. Renzi ha vinto, ma deve guardarsi dalla risacca dei suoi stessi sodali interni. Non hanno rinfoderato le armi, anzi, si sentono vincitori e sono prodighi di dichiarazioni bellicose sui vari dossier in movimento tra Camera e Senato.
Berlusconi deve ragionare, come sa fare nei momenti migliori: per sopravvivere, dopo la sconfitta e il crollo di «leadership», deve sperare nella risurrezione del Nazareno (il patto).
Alfano, e con lui Sacconi, debbono regolare gli orologi sul 2015 e operare perché i tre anni di legislatura che abbiamo davanti siano spesi per consolidare il processo riformista e l’area centrale (questa è geografia) della politica italiana.
Quell’area di cui c’è assoluta necessità perché gli estremismi siano contenuti e battuti ancora una volta come serve alla Nazione.




Una analisi convincente e  più che condivisibile quella che Domenico affronta con grande intuito e consapevolezza dei fatti.
Al di là della ridicola figura di Alfano che, senza ombra di dubbio, ha dimostrato di non avere quel giusto carattere politico e di essere fin troppo legato ai ricordi del suo vecchio Partito, quello di cui non riesco ad essere convinto è l'atteggiamento da parte dei dissidenti all'interno del PD..i quali, seppur contenti del prestigioso nome di Mattarella, hanno davanti sempre una serie di normative istituzionali e costituzionali da portare avanti delle quali... fino al giorno prima..non erano per nulla convinti.

La domanda è quindi quella di capire fino a che punto questa base di dissidenti potrà continuare l'opera di rinnovamento delle riforme poichè...ormai appagata in parte dalla nomina di un presidente della Repubblica ben visto...potrebbero aver perso ogni considerazione del proprio pensiero. Insomma...le riforme sono una cosa, l'elezione di un Capo dello Stato un'altra.

Vi è poi una domanda da porsi sulla quale è difficile poter rispondere..e cioè perchè mai Renzi, seppur astutamente, abbia tirato fuori una figura come Mattarella che in qualità di giudice della Corte Costituzionale, potrebbe opporsi su parecchi punti circa le ultime riforme costituzionali e la particolare legge elettorale proposta. Un punto che collima con il tradimento sull'implicito percorso portato avanti fino al giorno prima con Berlusconi ed il patto del Nazareno. Credo che sull'indirizzo di questa nomina una grossa parte l'abbia svolta lo stesso Napolitano in dialogo col giovane Premier...

Renzi ha preferito ricompattare le truppe del suo Partito?..Certo, ma a che prezzo? Comunque prima di cantare vittoria da un lato o da un altro... sarebbe preferibile attendere un riscontro nel breve futuro...In tutta questa storia vi sono alcune cose da comprendere a fondo. E' comunque chiaro che un Premier che assume contemporaneamente la carica di segretario del partito, oltre che l'evidente (ma costantemente sottovalutato) conflitto, non poteva che stravincere su questa elezione...Lo stesso sarebbe successo ..se al contrario ..fosse stato Berlusconi a comandare una destra con un'ampia maggioranza in qualità di Premier.

Con le anomalie continue di questo Paese si riescono a costruire leggende ed esaltazioni che in realtà dovrebbero magnificarsi meno.

Dobbiamo.. quindi.. pensare che l'ala dei dissidenti in seno al partito del Premier soggiacerà per il solo fatto che si sia nominata una buona figura di garante delle Istituzioni? Il mio sentore adesso è quello di una percezione di disagio da parte di NCD.. che non tarderà a rispondere destabilizzando il quadro politico. ..Una logica reazione dopo il contenimento verso una prassi politica deontologica che ha coinvolto in pieno il ministro degli Interni..ma che ha inciso negativamente sul suo Partito.
vincenzo cacopardo

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