Domenico Cacopardo sostiene che l'antinomia non è tra taglio della spesa sociale e l'aumento delle tasse comunali. Ma tutto ciò sarà da vedere dalle idee che in questi giorni il governo proporrà.
Per quanto riguarda la “spendig review” ...ossia quel processo volto a migliorare l'efficienza e l'efficacia della spesa pubblica attraverso la sistematica analisi e valutazione della pubblica amministrazione, rimane ancora inverosimile il fatto che il piano Cottarelli.. studiato a lungo ed in fondo.. non sia più stato preso più in considerazione. Sarà..quindi.. tutto da vedere l'impegno che il governo sarà costretto ad seguire sul piano del risparmio e che ancora oggi..non sembra scorgersi.
Le ultime voci parlano di un Premier che insiste ed avverte i sindaci di non colpire i servizi dei cittadini e di una gran parte di loro che temono che si possano ancora indicare tagli diretti alla loro amministrazione..Ma malgrado i sacrifici già fatti, il timore che una buona parte dei 10 miliardi di tagli debba essere supportata dai comuni, rimane alto.
Sembra che gli otto mila comuni italiani negli ultimi anni hanno subito un taglio di 17 miliardi...il chè porta l'insistenza di Renzi ad una vuota esortazione priva di speranza e futile nel risultato...soprattutto se non si scorgono ancora idee in proposito e si persevera con la solita costante comunicazione.
La guerra tra il sindaco d'Italia ed il resto dei sindaci matura già da tempo. Bisogna perciò ancora capire esattamente cosa potrà significare la parola oggi “assai generica” che indica questi tagli.
vincenzo cacopardo
L’antinomia non è tra taglio della spesa sociale e aumento delle tasse comunali, come sostiene Piero Fassino, presidente dell’Anci (l’associazione dei municipi) e sindaco di Torino.
È il solito falso messo in scena da coloro che non intendono, da almeno dieci anni, affondare il bisturi nella montagna di spese inutili e parassitarie che infestano gli enti pubblici italiani a beneficio di gruppi politici, di funzionari e delle clientele che, nell’affondamento dei partiti tradizionali, hanno trovato il terreno utile per svilupparsi e affermarsi in tutto il territorio nazionale.
Questa volta, il giro di vite annunciato dal governo è suffragato dai numeri di una «spending review» focalizzata sui costi standard, per le partite di bilancio comunale e per le attività delle unità sanitarie. Un’attenzione che mostra la disparità abissale, a parità di prestazioni, tra le spese dei comuni virtuosi e quelle di larga parte degli altri, laddove toccare una prebenda, un emolumento, un trasferimento di denaro a qualcuna delle migliaia di società pubbliche è un affare di Stato, in quanto colpisce nelle tasche direttamente il personale politico e coloro che a esso sono legati.
Sostiene Fassino che, invece di toccare i comuni, il governo dovrebbe toccare i ministeri. Una singolare alternativa: non ci si piega alla necessità di adottare comportamenti virtuosi, ma si rilancia chiedendo che quei comportamenti siano imposti ad altri apparati dello Stato.
Certo, siamo tutti delusi dalla fine fatta dal lavoro di Cottarelli, commissario proprio alla «spending review», rientrato, senza una parola di ringraziamento, a Washington, alla sua scrivania alla Banca mondiale. Un documento ponderoso, liquidato di recente dal primo ministro come «un elenco di cose scontate», mentre il successore di Cottarelli, Yoram Gutgel dichiara che ci vuole tempo per formulare proposte. A dimostrazione che la continuità dello Stato e delle funzioni in esso svolte dai vari «comis» è cosa dell’altro mondo, della Francia, del Regno Unito e della Germania, per esempio, mentre da noi ogni volta occorre ricominciare daccapo.
Certo, non tutte le proposte di «spending review» risultano praticabili, anche perché il principio di autonomia di Cottarelli, che gli ha impedito di dialogare efficacemente con i corpi dello Stato, s’è rivelato un «boomerang» capace di frenare la corsa delle sue idee. Ma c’è tanta roba da mettere sul fuoco, non il fuoco lento delle antiche ricette, ma quello vivo di chi ha bisogno di fare presto e bene.
La necessità di evitare la tagliola dell’aumento automatico dell’Iva impone al governo di non guardare in faccia nessuno e di procedere secondo un criterio razionale, con l’abolizione della spesa storica che premia gli spendaccioni, e l’introduzione dei costi standard. Un’introduzione «a stringere» nel senso che i tagli del 2016 saranno propedeutici a quelli del 2017 e del 2018.
Le regioni non si sono ancora lamentate: un brutto segno, visto che, dal punto di vista pratico, il loro peso è di gran lunga il più ingente e il più parassitario, visto che non riesce ad avere alcuna funzione anticongiunturale.
Domani, venerdì, a Dpef approvato, sapremo se il governo ha compiuto o meno una marcia indietro. Dati i precedenti, possiamo sperare di no.
Domenico Cacopardo
Nessun commento:
Posta un commento