4 giu 2015

sempre più yankee.....

Un appunto al nuovo editoriale di domenico Cacopardo

L'articolo di Domenico esprime..  in tono chiaro.. le incapacità di questo governo di porre argine alle enormi calamità che investono il nostro Paese. Malgrado ciò il consigliere persevera coll'indurre nuovamente Renzi ad adeguarsi...ma adeguarsi a che? Renzi non sembra aver mai proseguito verso una fattiva strada in favore di una crescita economica del nostro Paese ed in realtà si è solo adeguato ad i dettati espressi da una comunità europea che sembra infischiarsene dei reali problemi della nostra Nazione.

Le sconfitte di Renzi , come già messo da tempo in evidenza nel mio Forum, sono nate prima che lui cominciasse... non solo per il modo con il quale si è sempre posto con estrema arroganza, ma proprio per il merito stesso di quelle che ancora oggi vengono definite da qualcuno come “riforme”: Riformare non significa cambiare in modo generico e frettoloso, significa soprattutto riorganizzare.. e questo nostro Paese ha visto in quest'anno solo una corsa verso il tempo ...una frettolosa opera di semplificazione solo utile ad incorniciare un quadro assai poco visibile di sviluppo.

Renzi ha avuto grandi colpi di fortuna : il quantitative Easing, il calo del prezzo del petrolio, il cambio favorevole con l'estero, l'Expo..ma con la sua saccenteria ha solo costruito fumo. In quanto alle riforme costituzionali e la legge elettorale..potremmo vedere presto nel futuro i gravi danni che porteranno a tutto il sistema istituzionale che di vorrebbe democratico.

Il richiamo di Domenico al vertice europeo è uno dei motivi di preoccupazione. La visita a Berlino del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi che si e' trattenuto fino a tardi discutendo con la cancelliera Angela Merkel, con il presidente francese Francois Hollande, con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e con la direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, aveva l'interesse di trovare una possibile linea di compromesso per risolvere la crisi del debito di Atene e l'assenza di un rappresentante del nostro governo, dimostra (oltre che una chiara disorganizzazione) un insensato disinteresse da parte del nostro Paese, il quale.. tra l'altro.. pare aver fornito alla Grecia quasi 50 miliardi di euro durante il governo Monti -(Ancora una nota con la quale si deve rimarcare il percorso di quel famigerato governo Monti che da un lato prendeva 50 miliardi di euro in prestito dal mercato con l'emissione di Btp.. e con disinvoltura tagliava le pensioni attraverso una mostruosa legge Fornero).

E' inutile sottolineare quali enormi conseguenze vi sarebbero per il nostro Paese che con questo buco continuerebbe a mettere in crisi il suo già precario bilancio. Le conseguenze sarebbero drammatiche anche per la Bce e lo stesso Draghi che potrebbe rischiare le dimissioni. Ma al di là di ciò quello che colpisce è proprio il comportamento di un governo come il nostro resosi manchevole di una indispensabile presenza e di nuove idee in proposito.

Con tutto il rispetto per chi vuole oggi proporsi per un cambiamento come quello voluto dal nostro Premier, e per coloro che lo seguono decantandone l'impegno, bisognerebbe cercare di comprendere che non è solo sufficiente cambiare genericamente e semplificativamente, ma è molto più importante definire il cambiamento attraverso logiche utili e funzionali che possano vedere in lungimiranza e che non ci allontanino dagli essenziali principi di una democrazia.

Nelle utime immagini..durante lo svolgimento delle regionali, il nostro Premier ha dimostrato di essere sempre più un appassionato yankee...apparendo in una particolare tuta mimetica tipica dei marines. Un altro dei suoi gesti comunicativi che continuano ad incidere solo sull'immagine e che poco risultato rendono al nostro paese.. se non quello di una chiara ruffianata in favore del paese americano.. sicuramente amico, ma assai lontano dalle nostre problematiche mediterranee.
Vincenzo cacopardo


Scive Domenico Cacopardo

Dopo le vittorie, è venuto il tempo delle sconfitte e dei ridimensionamenti. Parliamo di Matteo Renzi che, dopo un anno condotto a ritmi, soprattutto comunicazionali, trascinanti, si trova davanti a una dura realtà che non si piega alle sue esigenze propagandistiche. È, in queste contingenze, che si può giudicare la tempra di un «leader».
Lo «smisurato» «ego», la fiducia in se stesso piena di presunzione, la mancanza di cultura politica, il provincialismo, il banale cinismo sono gli elementi che emergono con più evidenza da poco più di un anno di direzione del governo e del partito.
Il prodotto sin qui visibile di questo complesso di difetti è stato l’avvio di un miracoloso processo riformista, pieno di contraddizioni e di manchevolezze, tuttavia importante per rimettere in modo un Paese paralitico.
Oggi però, la dimensione dell’insufficienza e del -speriamo provvisorio- crac di Renzi è la politica internazionale, soprattutto europea. Non ci riferiamo all’inesistenza del semestre italiano, passato come passa una folatina di vento della sera, ma all’assenza sistematica dai tavoli che contano nei momenti che contano.
Ci riferiamo al vertice europeo di lunedì 1° giugno, celebrato da frau Merkel, Hollande, Junker, Lagarde e Draghi, e all’intesa franco tedesca che l’ha preceduto, rivelata dal settimanale Die Zeit.
Va ricordato che sabato, a Trento, a margine del convegno economico di Innocenzo Cipolletta, Renzi, aveva incontrato Valls, primo ministro francese, e annunciato una specie di asse franco-italiano per «cambiare verso» all’Europa.
Il senso di tutto questo non è tanto la nostra irrilevanza europea, che non è nuova e risale all’uscita di scena di Kohl, Mitterand e Craxi, quanto l’incapacità del premier italiano e della sua scadentissima squadra di conoscere tempestivamente ciò che bolle in pentola a Bruxelles, a Berlino, a Parigi e a Francoforte.
I contenuti delle intese definite nel vertice di lunedì e nel bilaterale franco-tedesco sono molto importanti e segnano una strada di rafforzamento dell’Europa e dei suoi poteri sovranazionali.
Era fatale e l’abbiamo ricordato tante volte: o l’Unione marcia sulla via dell’integrazione o si avvita in un processo di dissoluzione. Quindi, per sopravvivere più Europa, non meno, secondo le inconsistenti e autolesionistiche tesi delle forze populiste in giro nell’Eurozona.
C’è da attendersi per i prossimi mesi l’attuazione della nuova linea di politica comunitaria: integrazione politica con maggiore interdipendenza delle politiche; maggiori poteri dell’eurogruppo (decisione, azione, cogenza); coinvolgimento del Parlamento europeo nell’adozione di riforme radicali imposte d’ufficio ai paesi membri. I paesi dell’Unione esterni all’eurozona saranno liberi di aderire o non aderire ai nuovi sviluppi politici.
In questa prospettiva, la prima beneficiaria o vittima della rinnovata iniziativa europea è l’Italia e con essa il suo garrulo primo ministro. Tutte le formule sin qui adottate, le contorsioni, l’indifferenza rispetto all’enorme problema del taglio delle spese, le erogazioni di quattrini, diventeranno in poco tempo quello che sono: inutili pannicelli caldi da rimuovere a favore di misure incisive nei confronti delle tante rendite di posizione vigenti e delle sacche di parassitismo.
Storicamente, nella testa di coloro che hanno guidato il processo di integrazione europea, ultimi De Michelis e Carli a Maastricht, c’è sempre stata l’idea che il vincolo europeo ci avrebbe aiutato a risolvere gli annosi problemi nazionali, dal debito pubblico, al sistema fiscale, alla giustizia, alla trasformazione della pubblica Amministrazione da peso morto a supporto positivo per la vita quotidiana degli italiani. E anche della recente e gravissima questione «immigrati», nella quale ci dibattiamo tra incapacità politica e amministrativa e imbrogli, il vero elemento, quest’ultimo, di congiunzione tra il fenomeno e la criminalità interna e internazionale, che impedisce, per inconfessabili motivi, la svolta più volte annunciata.
Il governo riformista di Renzi è passato su questi specifici punti come una piuma d’oca passa sulla pelle di un paziente. Per difficoltà oggettive e per totale incapacità del personale politico addetto.
Ora, unitamente al calo di ruolo internazionale dell’Italia, vedremo un calo di peso interno del governo, che sarà costretto ad attuare politiche più determinate ed efficaci decise altrove, nella sede sovranazionale di cui siamo fondatori.
Nonostante i mal di pancia di Grillo e dei suoi grullini, di Salvini e delle sue truppe e dell’inconsistente coacervo di particelle della sinistra (pensavamo, sbagliando, che con la rielezione l’insopportabile Vendola sarebbe finalmente scomparso dai nostri schermi quotidiani), la maggiore presenza dell’Europa dovrebbe esserci utile, sia in termini di razionalizzazione del sistema, sia in termini di possibilità di ripresa (e di lotta alla disoccupazione).
A una sola condizione: che il governo, da chiunque diretto, si attesti su una linea del Piave e si mostri pronto a difenderla a costo di minacciare l’uscita dall’Unione. La linea della tutela dell’apparato industriale italiano, costantemente minacciato dalla superpotenza egemone, la Germania, e di una politica industriale gelosa degli interessi nazionali, si tratti della siderurgia, della gomma e dell’energia.
I basilari della nostra esistenza come soggetto partecipe del Wto non possono essere messi in discussione.
Renzi dovrà rapidamente adeguarsi. Altrimenti sarà iscritto nella storia come un’impalpabile meteora durata l’«espace d’un matin».
Domenico Cacopardo




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