3 giu 2015

una nota sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo

Sembrano esservi strane dissonanze su quanto esprime Domenico quando affronta il problema del governo, delle riforme.. e dello stato attuale del nostro Paese. In riferimento a quelle “minoranze che non si piegano ad una maggioranza che si è continuamente imposta nei delicati temi della politica sociale”, Domenico, come altri lettori pragmatici in direzione di una politica più cinica che funzionale, insiste sull'importanza di doverli prontamente rimuovere: Una considerazione che... seppur legittima, finisce col non entrare mai in una più precisa visione contestuale di merito...ossia non entra in profondità sulla sostanza di alcune scelte che devono per evidenza essere discusse in termini più appropriati. 

Nel contempo il consigliere ci scrive di una “mitologia del passato che impedisce interventi di riforma parlando anche di un ricambio generazionale del personale politico”... e cioè dell'insistenza di dover proseguire nella strada di quella rottamazione di cui tanto il premier ha romanzato. Ma anche in questo percorso.. Renzi, giorno per giorno, pare manifestare consuete incoerenze.

Per Domenico Cacopardo il capitano (Renzi) sembra essere l'unico capace di portare avanti un percorso riformatore, seppur non coadiuvato altrettanto bene dalla sua squadra di governo. Malgrado le mie enormi perplessità sulla figura fin troppo avventata e semplicista del nostro capo di governo, non posso che trovarmi d'accordo, ma quello che dovrebbe far riflettere Domenico.. è proprio il fatto che sia stato lo stesso sindaco d'Italia ad aver scelto i suoi collaboratori.

Riguardo alla mite figura del Presidente Mattarella non posso che concordare. Più che una «performance» molto deludente, legata a un passato remoto che solo pochi anziani possono comprendere”, mi sembra che la funzione intrapresa dal capo dello Stato si sia rivelata poco felice nel modo di interpretare lo stesso ruolo di garante, sicuramente poco consapevole della modernità di cui necessita la politica odierna.. sia nel linguaggio.... che in quello che Domenico definisce “orizzonte culturale e ideale”.

Con tutto il rispetto che si deve alla figura istituzionale del nuovo Presidente, si ha la sensazione che anche Mattarella, come altri, si sia seduto su di un sistema nel quale la logica della semplificazione e degli interessi governativi pare affermarsi su ogni altra considerazione di tipo democratico garantista. Eppure il suo passato di membro della Corte Costituzionale avrebbe dovuto indurlo a valutare con maggiore sensibilità tale processo di rifome imposto con un criterio a dir poco anomalo ed inconsueto.
vincenzo cacopardo



C’è un profondo sentimento mitologico nella Repubblica anno 2015. Investe una parte importante del personale politico, a partire dal presidente Mattarella, alle prese con una «performance» molto deludente, legata a un passato remoto che solo pochi anziani possono comprendere. C’è, nel suo modo di interpretare il ruolo, una grave inconsapevolezza dell’attualità, dei suoi linguaggi, delle sue sensibilità, del suo orizzonte culturale e ideale.
Venuto dopo uno spregiudicato interventista come Napolitano, responsabile di cose buone e di cose pessime, Mattarella ha riportato la presidenza a un’insignificanza di genere democristiano, quando sarebbe stato necessario aprire un dialogo con la pubblica opinione e le sue contraddittorie esigenze. Anche la scelta di uno staff mediocre e passatista e, quindi, sclerotico, ha contribuito alla pallida interpretazione della presidenza.
L’esempio dirompente di papa Francesco I (che, in qualche misura come Renzi, ha saltato tutti i corpi intermedi, la gerarchia cioè, ed è andato verso il popolo di Dio e non di Dio) non gli è servito, purtroppo.
Rimane l’amaro in bocca ai tanti, e tra essi chi scrive, che avevano sperato in una forte restaurazione dei principi e della correttezza istituzionali, coniugato con la capacità eroica di testimoniare al Paese i valori repubblicani.
Anche la celebrazione (in sedicesimo) di ieri, Festa della Repubblica, è nella tradizione veteroDc, tutta tesa a cancellare i termini e gli aspetti di una tradizione che va comunque preservata, in una fase storica che vede la nostra forza militare impegnata in tanti scacchieri del mondo.
Il Paese, al termine della crisi epocale, è ancora diviso tra mitologia e modernità. La modernità s’è andata affermando in questi ultimi anni, per merito di giovani generazioni venute alla ribalta nell’impresa e nella società, dopo esperienze, anche drammatiche, in Italia e all’estero (agevolate dalla rete), che hanno fatto percepire il complesso di principi che anima la competizione mondiale degli organismi complessi e degli individui.
Il resto è rimasto alla mitologia costruita dal marxismo e dalla cosiddetta dottrina sociale della Chiesa, nella quale il rapporto tra produzione e distribuzione di valore è disarticolato, tanto che la distribuzione può-deve avvenire secondo le necessità dei beneficiari, non in base alla disponibilità del sistema-nazione.
Guardiamo al fenomeno politico più recente, quello inventato da un comico senza più risorse comiche, Beppe Grillo. Le sue proposizioni non tengono conto delle esigenze dell’economia («It’s economy, stupid», Billy Clinton) e si inoltrano in un terreno in cui il lavoro, come istituto etico e comunitario, non viene considerato. Del resto, diciamocelo francamente, la gran parte del personale politico inventato da Grillo e dalla mente Casalegno è privo di significative esperienze professionali, tanto che la politica, per essa, è un divertente (e insostituibile) modo di sbarcare il lunario.
La mitologia repubblicana ispira il sindacato, in particolare la Cgil. La rivendicazione dei diritti, di cui è vessillifera, è un’astrazione pericolosa: in una situazione nella quale deve ancora riprendere l’accumulazione capitalistica (la creazione cioè di ricchezza da investire prima e da redistribuire poi), governano le esigenze della ripresa e quelle di offrire occasioni di lavoro, quelle poche che sono sul mercato, a condizioni che assicurino la competitività.
È la produttività il tema, generalmente dimenticato tuttavia, cruciale per la sopravvivenza dell’economia manifatturiera italiana, seconda solo alla Germania in Europa, ma dimenticata dall’immenso, parassitario apparato pubblico nazionale.
Anche Landini è il sacerdote di una religione druidica destinata all’ascolto di una minoranza di fedeli. Le sue belle parole d’ordine si scontrano con la realtà reale e aleggiano come vuote petizioni di principio senza possibilità di ascolto.
Ciò che deve essere messo a punto (e ancora non lo è) è il percorso di questo governo e del suo «premier». Certo, il guado è iniziato ed è in corso, ma ciò che manca è una squadra capace di coadiuvare il ‘capitano’ in modo utile ed efficace.
Non a caso, credo, il giorno dopo le elezioni, Matteo Renzi ha riparlato di riforma dell’Amministrazione. Quella immaginata dalla ministro Madia è inesistente, frutto di un’ignoranza totale del problema e delle soluzioni più aggiornate che sono state attuate nel mondo avanzato, a partire dall’Amministrazione flessibile «per progetti». In una situazione nella quale mancano le risorse, l’unica strada possibile, con l’apparato dello Stato, è quella di aumentarne il prodotto e la produttività, uscendo dalla biblica condanna di un’Amministrazione pensata per i suoi impiegati, di una scuola per gli insegnanti, di un esercito per i generali.
È la mitologia del passato che impedisce anche questi interventi di riforma. Una mitologia alla quale il governo non si deve piegare a costo di essere esso stesso non solo riformista, ma anche rivoluzionario.
Certo, c’è da riprendere, senza incertezze, la strada del ricambio generazionale del personale politico, cioè continuare in modo inesorabile la rottamazione: non tanto per il ruolo e le idee dei «vecchi» quanto perché la loro presenza impedisce ai giovani di presentarsi, compiere esperienze e assumere le responsabilità del cambiamento.
Le mitologie e gli interessi pelosi che ispirano le minoranze del Pd (quelle che da mesi non votano a favore del governo), debbono essere rivelati, messi in piazza e rimossi. Altrimenti, la palude continuerà a inghiottire nelle sue sabbie mobili quel poco di nuovo che cerca di avanzare.
Il passato è il luogo della Storia. Non può essere il luogo di una nostalgia padrona del presente.
Domenico Cacopardo


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