Sembrano
esservi strane dissonanze su quanto esprime Domenico quando affronta il problema del
governo, delle riforme.. e dello stato attuale del nostro Paese. In riferimento a quelle “minoranze
che non si piegano ad una maggioranza che si è continuamente imposta
nei delicati temi della politica sociale”,
Domenico, come altri lettori pragmatici in direzione di una politica più cinica
che funzionale, insiste sull'importanza di doverli prontamente
rimuovere: Una considerazione che... seppur legittima, finisce col
non entrare mai in una più precisa visione contestuale di merito...ossia non entra in profondità sulla sostanza di alcune scelte che devono per evidenza essere discusse in termini più appropriati.
Nel
contempo il consigliere ci scrive di una “mitologia
del passato che impedisce interventi di riforma parlando anche di un
ricambio generazionale del personale politico”...
e cioè dell'insistenza di dover proseguire nella strada di quella
rottamazione di cui tanto il premier ha romanzato. Ma anche in questo
percorso.. Renzi, giorno per giorno, pare manifestare consuete
incoerenze.
Per
Domenico Cacopardo il capitano (Renzi) sembra essere l'unico capace
di portare avanti un percorso riformatore, seppur non coadiuvato
altrettanto bene dalla sua squadra di governo. Malgrado le mie enormi
perplessità sulla figura fin troppo avventata e semplicista del
nostro capo di governo, non posso che trovarmi d'accordo, ma quello
che dovrebbe far riflettere Domenico.. è proprio il fatto che sia
stato lo stesso sindaco d'Italia ad aver scelto i suoi collaboratori.
Riguardo
alla mite figura del Presidente Mattarella non posso che concordare.
Più che una «performance»
molto deludente, legata a un passato remoto che solo pochi anziani
possono comprendere”, mi
sembra che la funzione intrapresa dal capo dello Stato si sia
rivelata poco felice nel modo di interpretare lo stesso ruolo di
garante, sicuramente poco consapevole della modernità di cui necessita la
politica odierna.. sia nel linguaggio.... che in quello che Domenico
definisce “orizzonte
culturale e ideale”.
Con
tutto il rispetto che si deve alla figura istituzionale del nuovo
Presidente, si ha la sensazione che anche Mattarella, come altri, si
sia seduto su di un sistema nel quale la logica della semplificazione
e degli interessi governativi pare affermarsi su ogni altra
considerazione di tipo democratico garantista. Eppure il suo passato
di membro della Corte Costituzionale avrebbe dovuto indurlo a
valutare con maggiore sensibilità tale processo di rifome imposto
con un criterio a dir poco anomalo ed inconsueto.
vincenzo cacopardo
vincenzo cacopardo
C’è un
profondo sentimento mitologico nella Repubblica anno 2015. Investe
una parte importante del personale politico, a partire dal presidente
Mattarella, alle prese con una «performance» molto deludente,
legata a un passato remoto che solo pochi anziani possono
comprendere. C’è, nel suo modo di interpretare il ruolo, una grave
inconsapevolezza dell’attualità, dei suoi linguaggi, delle sue
sensibilità, del suo orizzonte culturale e ideale.
Venuto dopo
uno spregiudicato interventista come Napolitano, responsabile di cose
buone e di cose pessime, Mattarella ha riportato la presidenza a
un’insignificanza di genere democristiano, quando sarebbe stato
necessario aprire un dialogo con la pubblica opinione e le sue
contraddittorie esigenze. Anche la scelta di uno staff mediocre e
passatista e, quindi, sclerotico, ha contribuito alla pallida
interpretazione della presidenza.
L’esempio
dirompente di papa Francesco I (che, in qualche misura come Renzi, ha
saltato tutti i corpi intermedi, la gerarchia cioè, ed è andato
verso il popolo di Dio e non di Dio) non gli è servito, purtroppo.
Rimane
l’amaro in bocca ai tanti, e tra essi chi scrive, che avevano
sperato in una forte restaurazione dei principi e della correttezza
istituzionali, coniugato con la capacità eroica di testimoniare al
Paese i valori repubblicani.
Anche la
celebrazione (in sedicesimo) di ieri, Festa della Repubblica, è
nella tradizione veteroDc, tutta tesa a cancellare i termini e gli
aspetti di una tradizione che va comunque preservata, in una fase
storica che vede la nostra forza militare impegnata in tanti
scacchieri del mondo.
Il Paese,
al termine della crisi epocale, è ancora diviso tra mitologia e
modernità. La modernità s’è andata affermando in questi ultimi
anni, per merito di giovani generazioni venute alla ribalta
nell’impresa e nella società, dopo esperienze, anche drammatiche,
in Italia e all’estero (agevolate dalla rete), che hanno fatto
percepire il complesso di principi che anima la competizione mondiale
degli organismi complessi e degli individui.
Il resto è
rimasto alla mitologia costruita dal marxismo e dalla cosiddetta
dottrina sociale della Chiesa, nella quale il rapporto tra produzione
e distribuzione di valore è disarticolato, tanto che la
distribuzione può-deve avvenire secondo le necessità dei
beneficiari, non in base alla disponibilità del sistema-nazione.
Guardiamo
al fenomeno politico più recente, quello inventato da un comico
senza più risorse comiche, Beppe Grillo. Le sue proposizioni non
tengono conto delle esigenze dell’economia («It’s economy,
stupid», Billy Clinton) e si inoltrano in un terreno in cui il
lavoro, come istituto etico e comunitario, non viene considerato. Del
resto, diciamocelo francamente, la gran parte del personale politico
inventato da Grillo e dalla mente Casalegno è privo di significative
esperienze professionali, tanto che la politica, per essa, è un
divertente (e insostituibile) modo di sbarcare il lunario.
La
mitologia repubblicana ispira il sindacato, in particolare la Cgil.
La rivendicazione dei diritti, di cui è vessillifera, è
un’astrazione pericolosa: in una situazione nella quale deve ancora
riprendere l’accumulazione capitalistica (la creazione cioè di
ricchezza da investire prima e da redistribuire poi), governano le
esigenze della ripresa e quelle di offrire occasioni di lavoro,
quelle poche che sono sul mercato, a condizioni che assicurino la
competitività.
È la
produttività il tema, generalmente dimenticato tuttavia, cruciale
per la sopravvivenza dell’economia manifatturiera italiana, seconda
solo alla Germania in Europa, ma dimenticata dall’immenso,
parassitario apparato pubblico nazionale.
Anche
Landini è il sacerdote di una religione druidica destinata
all’ascolto di una minoranza di fedeli. Le sue belle parole
d’ordine si scontrano con la realtà reale e aleggiano come vuote
petizioni di principio senza possibilità di ascolto.
Ciò che
deve essere messo a punto (e ancora non lo è) è il percorso di
questo governo e del suo «premier». Certo, il guado è iniziato ed
è in corso, ma ciò che manca è una squadra capace di coadiuvare il
‘capitano’ in modo utile ed efficace.
Non a caso,
credo, il giorno dopo le elezioni, Matteo Renzi ha riparlato di
riforma dell’Amministrazione. Quella immaginata dalla ministro
Madia è inesistente, frutto di un’ignoranza totale del problema e
delle soluzioni più aggiornate che sono state attuate nel mondo
avanzato, a partire dall’Amministrazione flessibile «per
progetti». In una situazione nella quale mancano le risorse, l’unica
strada possibile, con l’apparato dello Stato, è quella di
aumentarne il prodotto e la produttività, uscendo dalla biblica
condanna di un’Amministrazione pensata per i suoi impiegati, di una
scuola per gli insegnanti, di un esercito per i generali.
È la
mitologia del passato che impedisce anche questi interventi di
riforma. Una mitologia alla quale il governo non si deve piegare a
costo di essere esso stesso non solo riformista, ma anche
rivoluzionario.
Certo,
c’è da riprendere, senza incertezze, la strada del ricambio
generazionale del personale politico, cioè continuare in modo
inesorabile la rottamazione: non tanto per il ruolo e le idee dei
«vecchi» quanto perché la loro presenza impedisce ai giovani di
presentarsi, compiere esperienze e assumere le responsabilità del
cambiamento.
Le
mitologie e gli interessi pelosi che ispirano le minoranze del Pd
(quelle che da mesi non votano a favore del governo), debbono essere
rivelati, messi in piazza e rimossi. Altrimenti, la palude continuerà
a inghiottire nelle sue sabbie mobili quel poco di nuovo che cerca di
avanzare.
Il passato
è il luogo della Storia. Non può essere il luogo di una nostalgia
padrona del presente.
Domenico
Cacopardo
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