Domenico
scrive in modo limpido e chiaro come pochi, ma pare non interpretare
allo stesso modo le parole ed i ruoli.
Le parole
del Pontefice.. a parer mio.. devono potersi leggere in una sorta di
ricerca di equilibrio e non di utopistica visione. Insomma..questo
Papa che porta la sua evangelizzazione attraverso la parola di
Cristo come uomo in terra, non credo affatto intenda criticare il
fenomeno della povertà in termini di colpe dell'uno o dell'altro, ma
di un mancato senso dell'equilibrio di cui la società stessa non
dovrebbe mai perdere la visione....Ma
poi..cosa dovrebbe esprimere un Papa che rappresenta il Pastore di
una Chiesa che per Vangelo esorta verso la vita e la gioia
dell’essere umano? ..Dovrebbe forse rimproverare i poveri che si
lamentano? Dovrebbe esortare il mondo a continuare questo processo di
enorme diseguaglianza che crea morte e sofferenze?
Il Papa fa il Papa.. e non fa il politico! ..Diffonde il suo messaggio cristiano. Continuare a criticare Papa Francesco
per le sue omelie e le sue encicliche.. come fosse un politico è un
punto di vista inaccettabile: Francesco non potrà mai essere
individuato come colui che fa demagogia o populismo poiché il suo
ruolo è quello di indurre e stimolare verso il buon senso e la
carità e non certamente quello di indicare una strada politica per
far sì che ciò avvenga...Ed è..forse.. in questo suo non indicare.. che viene contestato come fosse un qualunque demagogo,
mentre, al contrario, dovrebbe facilmente intuirsi che non potrebbe
mai spingersi oltre. Paragonarlo.. attraverso una critica.. ad un
qualsiasi figura istituzionale è deviante e non è sicuramente
saggio da parte di una persona di alta cultura come Domenico.
In questa
logica come si può mai parlare di “arbitrario sincretismo”..non si può mai sottintendere all'insieme di elementi ideologici...che
nulla sembrano avere a che fare con un più semplice messaggio verso
la carità, il rispetto e la stessa dignità dell'essere umano.
Al
di là della giusta dissertazione circa il sovrappopolamento del
globo, credo che Domenico individui con pregiudizio nel pontificato
di Francesco una linea politica insussistente...non riuscendo,
invece, a cogliere l'importanza di chi.. nel merito...ha necessità,
ma anche il dovere.. di eprimere con umiltà il bisogno di
quell'equilibrio affinchè possano trionfare i principi cristiani
dell'amore e della carità...
vincenzo
cacopardo
La
demagogia è una tossina generale che inquina la politica e gli atti
a contenuto politico. È la madre del populismo. Entrambi sono i
genitori della popolarità malata. Queste considerazioni mi sono
venute in mente leggendo, in questi giorni, l’ultimo parto
dottrinale di papa Francesco, l’enciclica «Laudato si’».
Un
documento che va esaminato con animo laico, in modo da schivare la
questione della fede e le sue conseguenze cioè il credere
ciecamente, anche quando la massima autorità religiosa del
cattolicesimo si inoltra in sentieri estranei al magistero: vari rami
della scienza messi insieme in un arbitrario sincretismo, nella vana
ricerca di un’unità di giudizio che è il contrario del moderno
metodo scientifico.
In
definitiva, dal testo esala l’odore tipico del giustizialismo
(inventato da Peron), che poi, in varie forme, ha investito tanti
paesi del Sud-America a cominciare dal Venezuela chavista per finire
con la Cuba del despota Castro.
Non ci si
può sorprendere. Questo papa viene proprio da là, dal mondo che ha
covato e cova sentimenti antiamericani (del Nord) e anticapitalistici
ed è perciò incapace di apprezzare i problemi economici e sociali
del mondo attuale per quello che sono: problemi dell’evoluzione
sociale, economica, finanziaria e scientifica che nascono prima di
tutto nei paesi più sviluppati.
C’è un
elemento di fondo che rende, però, scarsamente attendibile il
discorso pontificio: è la mancanza del senso della storia e quindi
del relativismo ontologico del mondo, una carenza, questa, che fa
attribuire ai paesi «ricchi» i guai di quelli non sviluppati.
La povertà,
dunque, è «colpa» storica e presente del mondo occidentale
avanzato per una sorta di determinismo che da tempo è uscito dalla
farmacopea del pensiero contemporaneo. Asserzione, tra l’altro, non
dimostrata né dimostrabile a meno che non si sia animati dal
pregiudizio che spinge tanti spettatori della sinistra radicale ad
applaudire Francesco.
Già, non a
caso avevamo iniziato ricordando la demagogia, elemento sotteso in
tutte le 192 pagine del documento.
Inoltriamoci
brevemente nel testo: «…l’essere umano … ha diritto a vivere e
a essere felice …» Un’asserzione, questa, superficiale e
gratuita, visto che si accompagna anche qui al richiamo al «diritto
al lavoro». A questi tre diritti dovrebbero corrispondere
altrettanti doveri, certo, ma a carico di chi?
Francesco
I, papa del cattolicesimo, lo lascia intuire e lo dice: il dovere di
far vivere l’essere umano, di renderlo felice e di dargli un lavoro
dignitoso è dei governi dei paesi avanzati che debbono approntare le
misure necessarie perché i tre diritti siano effettivi.
Riflettendo,
qui demagogia, populismo ed effetti devastanti dell’adulante
popolarità si saldano in una visione effettivamente giustizialista
del mondo contemporaneo, volta a scardinare i fondamenti della
convivenza mondiale a favore di un riequilibrio basato su una
gratuita e utopistica ridistribuzione di beni e di risorse.
«Oggi
riscontriamo … la smisurata e disordinata crescita di molte città
che sono diventate invivibili dal punto di vista della salute, non
solo per l’inquinamento … ma anche per il caos urbano, i problemi
di trasporto e l’inquinamento visivo e acustico …», una vera e
propria banalità che non metabolizza due considerazioni-presupposto:
la crescita della vita media in tutto il mondo per il miglioramento
delle condizioni alimentari, igieniche e sanitarie e lo sviluppo
verificatosi in alcuni mondi contemporanei, come la Cina, l’India,
il Brasile, il Messico, l’Indonesia e quello in corso in tante
altre nazioni, asiatiche e africane, un neourbanesimo che è
collegato al progresso e alla insorgenza di occasioni di lavoro.
«Invece di
risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni
si limitano a proporre una riduzione della natalità …» Qui casca
l’asino: una dichiarazione freudiana che rimuove dalle
responsabilità del cattolicesimo e dei suoi papi la lotta alla
contraccezione e al controllo delle nascite, vero cancro dell’umanità
che, come le cellule cancerose, ha perso le proprie finalità per
crescere in modo tale da compromettere la medesima propria esistenza.
Se una
parola in questa materia era urgente ed eticamente doverosa, essa era
quella della necessità della flessione demografica, premessa
indispensabile per consentire a tutti gli esseri umani di accedere
alle risorse del pianeta. Se le risorse non sono infinite e il numero
degli uomini è in aumento costante, «infinito», ci si avvicina
rapidamente al punto di rottura: una guerra o un’epidemia
diventeranno inevitabili e non saranno il frutto della malvagia
volontà dei governi dei paesi sviluppati, ma del numero
incontrollato degli uomini che popolano il pianeta.
La
deriva demagogica spinge papa Bergoglio ad accusare non il folle
incremento demografico, ma il consumismo delle attuali tragiche
difficoltà: dimentica, in questo punto come in tutta l’enciclica,
che se non c’è profitto (considerato «sterco del diavolo»), se
non c’è sviluppo, non ci sono beni da distribuire e che il
consumismo è di per sé un aspetto fisiologico del mercato
sviluppato che si alimenta e produce ricchezza con il commercio.
Certo, tutti auspichiamo che lo spreco sia contenuto, che beni in
eccesso non utilizzati siano destinati al soccorso dei poveri,
ovunque siano. Ma se cessa l’accumulazione capitalistica, se si
imponesse la crescita zero, che il papa auspica, crollerebbero
immediatamente i trasferimenti di denaro e di beni tra le varie
economie soffocando proprie quelle più deboli.
La medesima
esperienza di 7 anni di crisi epocale, dimostra che il crollo di
molte economie (e quindi l’assenza di crescita e di accumulazione)
ha allargato il numero degli indigenti e le loro difficoltà. Se non
riparte lo sviluppo, le utopistiche speranze e le puntute critiche
che il papa dispensa rimarranno iscritte nel libro dei sogni di una
ideologia sostanzialmente pauperista e marginale, capace solo di
allargare il campo dell’odio sociale e politico, in un mondo alle
prese con difficoltà mai immaginate.
Poiché
Francesco non parla qui «ex cathedra», i danni della sua singolare
esternazione saranno fortunatamente limitati.
Domenico
Cacopardo
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