L’America saluta
e se ne va.
È questo il succo
di ciò che è accaduto martedì a Vienna, al termine del
negoziato 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e
Iran) sul nucleare iraniano e sull’embargo stabilito 30 anni fa. I
termini noti dell’accordo prevedono la permanenza del divieto di
produrre bombe atomiche per 10 anni (cioè il disco verde a
costruirle tra dieci anni), la continuazione dell’embargo sulle
armi per 5 anni, la rimozione del divieto di costruire missili tra 8
anni (2 anni prima della possibile disponibilità di armi nucleari) e
poi alcune misure immediate e transitorie, come la riduzione
dell’uranio arricchito dalle 10 tonnellate attuali a tre quintali,
la possibilità di ispezionare siti militari oltre agli impianti
nucleari, il procedimento da porre in essere in caso di violazioni da
parte iraniana.
Insomma, le
preoccupazioni che si sono diffuse dopo l’annuncio hanno un serio
fondamento, visti i caratteri molto opzionali di molte clausole e,
soprattutto, il via libera all’armamento atomico tra 10 anni.
La retorica e la
mistificazione si sono scatenate intorno all’accordo. Giornali di
grande informazione scrivono di «Iran senza atomica», un
rovesciamento completo della realtà.
L’America lascia
nei guai il mondo sunnita e precisamente: l’Arabia Saudita, gli
Emirati, lo Yemen, l’Egitto, la Libia e la Tunisia, oltre ai paesi
dell’Africa subsahariana. Compie una scelta che aggraverà il
disimpegno turco nei confronti della Nato e del mondo occidentale,
ricacciando il Paese nel Medioevo islamista.
Regala agli
ayatollah il consenso generale alla costruzione di bombe nucleari a
far data dal 2025, senza ottenere, in cambio, alcun significativo
impegno di prospettiva.
Consegna, quindi,
la primazia dell’area all’Iran, che ha già le forze armate più
numerose, equipaggiate e agguerrite e governa migliaia di miliziani,
impegnati in Iraq, in Siria e in Libano.
Se non crolleranno
prima, le nazioni sunnite saranno costrette a cercare un
accomodamento con il Paese degli ayatollah.
Anche perché, con
il pieno ritorno sul mercato del petrolio e del gas iraniani, i
prezzi subiranno un ulteriore taglio accentuando le difficoltà dei
produttori sunniti.
Con l’accordo
sottoscritto a Vienna, infine, Obama completa la propria disastrosa
politica estera che ha prodotto danni irreparabili al mondo
occidentale, devastando il Medio Oriente amico dell’Occidente,
dall’Egitto alla Tunisia.
Se pensiamo, però,
all’Iraq, ci rendiamo conto che l’opzione sciita si consolida e
consolida altresì lo schieramento filo-Isis, nemico totale
dell’Iran.
Sarà compito del
successore di Obama ritrovare il ruolo che aveva caratterizzato gli
Stati Uniti dal 1945 e che aveva permesso di costruire il più lungo
periodo di pace della storia d’Europa. Ma sarà molto più
difficile di quanto non fosse nel 2008, anno della sua prima
elezione.
Ora, mancando
l’America, il livello degli attuali conflitti infraislamici subirà
una rapida «escalation», con immediati incontrollabili contraccolpi
per l’Unione europea, un colosso economico, un nano politico.
Non c’è una
possibilità che è una che l’Unione possa supplire al vuoto di
potere creato a Vienna e assumersi la «leadership» cessata.
Intanto, i presidi
antiterrorismo, cioè Egitto e Tunisia, saranno assorbiti dai gorghi
dello scontro sciiti-sunniti e finiranno per subire l’iniziativa
dei movimenti più radicali e terroristici.
La lunga pace
europea (a parte il caso Serbia) sarà messa rapidamente in
discussione, giacché, se vorrà sopravvivere l’Unione e le nazioni
che la compongono saranno costrette ad assumere iniziative di difesa
passiva e, molto più difficili, attiva.
Una vera e propria
iattura, che, allo stato, non è possibile scongiurare.
La medesima
sentinella d’Occidente, Israele, entra in una fitta zona d’ombra.
Certo, colpirà di nuovo direttamente o per via informatica il
sistema iraniano, ma la partita rapidamente mostrerà lo squilibrio
di forze che già oggi è incolmabile.
Gli scenari nuovi
che gli strateghi debbono disegnare sono oscuri e pieni di variabili
di difficile calcolo.
La Russia, che
potrebbe essere l’alleato risolutore dei timori occidentali, è
ancora a sua volta in stato di «embargo» e non si vede luce nel
tunnel oscuro dello scontro, per ora diplomatico
(intanto, la
Germania, che è falco a 359 gradi, lasciando a se stessa lo
spiraglio che le serve, chiude il rubinetto Sud del gas russo e
spalanca quello Nord -North Stream- a dispetto di ogni sanzione,
applicata, a questo punto, solo dai fessi).
C’è
un’osservazione che merita attenzione: che, dopo l’accordo, la
situazione è migliore di quanto fosse prima. L’ha detto, in
sostanza, Emma Bonino, politica di valore, purtroppo allontanata dal
governo dall’arrivo naif di Matteo Renzi. Tuttavia, occorre
ricordare che l’Occidente, con l’embargo, aveva una forte presa
sull’economia iraniana e che, forse, era possibile ottenere di più,
cioè la rinuncia, per sempre, all’arma atomica e ai missili che la
trasporteranno. È questo il punto critico inaccettabile dell’intesa
di Vienna e nessuno ci potrà dimostrare il contrario.
In questa
atmosfera, dei rischi che si correranno d’ora in poi, la povera
signora Mogherini che non ha capito niente, anche se ha presenziato,
e dichiara: «Giornata storica, il mondo è più sicuro». Stupide
parole in linea con il personaggio e con la sua assenza di visione
politica.
Domenico Cacopardo
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