Il nuovo
venerdì di sangue,
...il 26 giugno, riporta l’Occidente e l’Islam
laico e moderato di fronte alle proprie responsabilità. Ineludibili.
È inutile
snocciolare la solita litania di recriminazioni e di frasi razziste.
Occorre ragionare sulla medesima lunghezza d’onda dei terroristi e
definire una strategia forte di attacco e contrasto.
Perno dello
schieramento sono, purtroppo, gli Stati Uniti e l’apprendista
stregone che siede alla Casa Bianca.
Quello è
il primo nodo da sciogliere, mettendo in luce le responsabilità
storiche della goffa e velleitaria presidenza Obama: è stato lui ad
andare al Cairo e a parlare nell’università con parole
incendiarie, capaci di aprire una crisi epocale nella sponda Sud del
Mediterraneo. In Egitto, in Tunisia e in Libia, prima che in Siria.
Se, tra Europa e America non ci sarà un chiarimento brutale, Obama
continuerà a provocare danni irreparabili, sia nel nostro scacchiere
sia nello scacchiere orientale per l’improvvida iniziativa Ucraina,
una sorta di crisi di Cuba al contrario. E ciò mentre l’Isis
annuncia l’apertura di un nuovo fronte in Caucaso e, quindi, la
guerra in casa russa.
Ecco
l’occasione per riprendere il discorso con Putin tornando ai tavoli
comuni, nella cooperazione economica, politica e militare.
Un'altra
contraddizione da dipanare riguarda il doppio gioco di alcune
monarchie islamiche e della Turchia, mai come oggi indiziata di
sostenere l’Isis e tutto il magma dell’integralismo musulmano.
Se Europa e
Stati Uniti aprono il dossier Turchia, dopo avere riallacciato
positivi rapporti con la Russia, all’autocrate Erdogan rimangono
poche possibilità di continuare la sua azione distruttiva.
C’è poi
l’Unione europea e le sue difficoltà nel mettere insieme un forza
militare di contrasto degli estremismi in Libia e nella traballante
Tunisia. Non c’è in gioco solo la sorte del turismo europeo, ma,
più vitali, delle storiche relazioni economiche e dell’immigrazione
inarrestabile senza collaborazioni sulla sponda africana.
La scorsa
settimana, sembrava che si fosse fatto un passo avanti con la
definizione di un’operazione militare comunitaria di contrasto
degli scafisti e dei tagliagole dell’Isis. Non se n’è saputo più
nulla: questo riafferma la necessità d’essere sempre scettici e
prudenti quando c’è di mezzo la Mogherini e l’apparato
informativo italiano a Bruxelles. Anche perché, senza il consenso
dell’Onu (per il quale occorre l’appoggio russo e quello,
conseguente, cinese), difficilmente l’Europa potrà mettere insieme
uno strumento bellico di una qualche efficacia.
I giornali
del benpensantismo nazionale descrivevano di recente le mirabilie dei
30 (trenta) uomini del Comsubin destinati a partecipare alle azioni
in Libia. Trenta uomini in un mare di islamici agguerriti fanno
immaginare sciagure quali le abbiamo già vissute nelle nostre
avventure africane, l’ultima delle quali, in Somalia («check point
pasta») con diversi caduti.
Perciò è
bene di parlare di cose serie e immaginare come si può concretamente
operare. La prima missione, infatti, è quella di supplire alle
carenze americane, fornendo al mondo islamico laico e moderato
(Egitto e Tunisia) un sostegno forte e determinato, sceverando in
modo chiaro tra amici e nemici, al contrario di quanto è accaduto e
sta accadendo in Siria, dove le armi occidentali sono finite nelle
mani sbagliate.
Mettere
ordine nel caos internazionale, stabilendo chi sono i nostri amici,
quanto affidabili e quanto sostenibili.
Certo, ci
vuole una seria «leadership» capace di prendersi di strategie e
tattiche e di imporre comportamenti coerenti.
Perciò, il
primo «show-down» deve essere compiuto con il Paese amico, gli
Stati Uniti. Subito dopo, con Turchia ed emirati.
Poiché
siamo amici, abbiamo il dovere di parlar chiaro e di mettere le carte
in tavola.
Non
possiamo sostenere oltre la politica delle sanzioni alla Russia che
ci costa in termini economici e politici. Il prezzo è sbagliato,
poiché i fini dello scontro politico sono errati.
Avevamo
scritto che la denuncia di un riscaldarsi delle tensioni un paio di
giorni prima del G7 era un’«operazione» Cia ed affiliati. E, ora,
abbiamo constatato che era proprio così: il giorno dopo il vertice
le tensione era scomparsa dalle pagine (acritiche) dei giornali e
l’attuazione dell’accordo di Minsk procedeva. Con difficoltà, ma
procedeva.
Il discorso
finale è per Matteo Renzi: non può continuare a collezionare
comparsate europee vendute agli italiani come successi.
Ci sono
poche cose che può fare a Bruxelles con probabilità di riuscita: le
faccia. Dica che il governo italiano non vuole (e data la regola
dell’unanimità, se un Paese come l’Italia non vuole, non lo
vuole nemmeno l’Europa) la continuazione dell’«embargo» alla
Russia e vuole una linea politica concreta e definita per la Libia,
la Siria, la Tunisia e l’Isis.
Il successo
che, con le elezioni del 2014, Renzi ha ottenuto non ritornerà se
non si decide a metterci la faccia sino in fondo senza deflettere di
un passo.
Abbiamo un
solo strumento per contare nell’Unione e si chiama diritto di
opposizione e di veto. Usiamolo con ragionevolezza, ma usiamolo.
Domenico
Cacopardo
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