L' analisi di Manlio Dinucci sulla “Grecia, l’ombra di «Prometeo” é del tutto condivisibile, poiché il problema ellenico (come già messo in evidenza da questo Forum) non può non essere visto in un'ottica di sistema : Un sistema capitalistico che reprime ogni possibile democrazia, ma persino ogni altra possibile espansione di una economia reale. E' quindi logico che questo referendum ha posto problemi al di là di una scelta del si o del no, mettendo sulla bilancia il peso di una politica che tocca interessi e strategie ben al di fuori di ogni contesto Europeo. Non è nemmeno difficile intuire quanto la svalutazione della moneta europea possa dar fastidio ad una economia americana per via dell'import export dei prodotti. Vi è poi il possibile avvicinamento di altre potenze straniere che potrebbero inserirsi in un contesto europeo compromettendo una appartenenza alla Nato della Grecia.
Secondo
l'articolo di Dinucci..la tesi contrapposta di James
Galbraith (docente di relazioni di governo e business all’Università
del Texas)
in caso di fallimento dell'Europa, potrebbe vedere un aiuto da parte
degli stessi Stati Uniti attraverso
misure minori, tra cui una garanzia sui prestiti. Dinucci conclude
sostenendo che ambedue le strade possano essere pericolose..e che
l'unica
via resta quella della lotta popolare per la difesa della sovranità
nazionale e della democrazia.
Ambedue
le strade denotano un chiaro fallimento da parte di questa unione
europea!
Naturalmente
non tutte le tesi che si riscontrano sono identiche: C'è chi
sostiene che in Grecia..nello stesso ambito capitalistico si
scontrano due filoni di pensiero politico-economico contrapposti..
identici a quelli che si riscontrano nel Parlamento europeo: Quello
socialdemocratico e quello neoliberista. L'uno che guarda ai principi
fondamentali della solidarietà e l'altro che si esprime compromettendo una
più equa ripartizione e ridistribuzione. Questi due modelli
contrapposti che riducono il pensiero politico in uno spaccato
assurdo, oltre che poco funzionale, si basano ancora su ideologie
vecchie . Due modelli che in mancanza di una visione più equilibrata
scandiscono il tempo e le regole della politica in modo troppo
deciso, netto, ma sicuramente poco utile. In ogni caso..se i parametri economici imposti dalla
comunità europea si legano ad un visione capitalistica di tipo
neoliberista..la politica di Tsipras... pur rientrando in un ambito
capitalistico, ne rappresenta oggi..in termini politici.. una chiara
contrapposizione. Un ostacolo ad un sistema rappresentato dai
potentati economici.. in favore di una solidarietà e di un desiderio
supremo della democrazia.
Ma
quello che decisamente oggi deve sorprenderci è il valore che si dà alla
politica economica di una Comunità..sicuramente poco solidale... che
si esprime con i parametri dei PIL pro capite..non tenendo
assolutamente conto del continuo allagamento di una forbice tra
ricchezza e povertà insita in seno agli stessi Paesi. Una visione
fin troppo sintetica, pragmatica e cinica che non potrà che
scatenare ulteriori logiche reazioni da parte di altri Paesi.
Vincenzo
Cacopardo
Il
«testa a testa» nel referendum greco, propagandato dai grandi
media, si è rivelato una sonora testata nel muro per i fautori
interni e internazionali del «Sì». Il popolo greco ha detto «No»
non solo alle misure di «austerità» imposte da Ue, Bce e Fmi, ma,
di fatto, a un sistema – quello capitalistico – che soffoca la
democrazia reale.
Le
implicazioni del referendum vanno al di là della sfera economica,
coinvolgendo gli interessi politici e strategici non solo di
Bruxelles, ma (cosa di cui non si parla) quelli di Washington. Il
presidente Obama ha dichiarato di essere «profondamente coinvolto»
nella crisi greca, che «prendiamo in seria considerazione»,
lavorando con i partner europei così da «essere preparati a
qualsiasi evenienza».
Perché
tanta attenzione sulla Grecia? Perché è membro non solo della Ue,
ma della Nato. Un «solido alleato», come la definisce il segretario
generale Stoltenberg, che svolge un ruolo importante nei corpi di
rapido spiegamento e dà il buon esempio nella spesa militare, alla
quale destina oltre il 2% del pil, obiettivo raggiunto in Europa solo
da Gran Bretagna ed Estonia.
Nonostante
che Stoltenberg assicuri «il continuo impegno del governo greco
nell’Alleanza», a Washington temono che, avvinandosi alla Russia e
di fatto alla Cina, la Grecia di Tsipras comprometta la sua
appartenenza alla Nato. Il premier Tsipras ha dichiarato che «non
siamo d’accordo con le sanzioni alla Russia» e, al vertice Ue, ha
sostenuto che «la nuova architettura della sicurezza europea deve
includere la Russia». Nell’incontro Tsipras-Putin, in aprile a
Mosca, si è parlato della possibilità che la Grecia diventi l’hub
europeo del nuovo gasdotto, sostitutivo del South Stream bloccato
dalla Bulgaria sotto pressione Usa, che attraverso la Turchia porterà
il gas russo alle soglie della Ue.
Vi
è inoltre la possibilità che la Grecia riceva finanziamenti dalla
Banca per lo sviluppo creata dai Brics (Brasile, Russia, India, Cina,
Sudafrica) e dalla Banca d'investimenti per le infrastrutture
asiatiche creata dalla Cina, che vuole fare del Pireo un importante
hub della sua rete commerciale.
«Una
Grecia amica di Mosca potrebbe paralizzare la capacità della Nato di
reagire all’aggressione russa», ha avvertito Zbigniew Brzezinski
(già consigliere strategico della Casa Bianca), dando voce alla
posizione dei conservatori.
Quella
dei progressisti è espressa da James Galbraith, docente di relazioni
di governo e business all’Università del Texas, che ha lavorato
per alcuni anni con Yanis Varoufakis, divenuto ministro delle finanze
greco (ora dimissionario), al quale ha fornito «assistenza
informale» in questi ultimi giorni. Galbraith sostiene che,
nonostante il ruolo svolto dalla Cia nel golpe del 1967, che portò
al potere in Grecia i colonnelli in base al piano «Prometeo» della
Nato, «la sinistra greca è cambiata e questo governo è
pro-americano e fermamente membro della Nato». Propone quindi che,
«se l’Europa fallisce, possono muoversi gli Stati uniti per
aiutare la Grecia, la quale, essendo un piccolo paese, può essere
salvata con misure minori, tra cui una garanzia sui prestiti» («US
must rally to Greece», The Boston Globe, 19-2-15).
Ambedue
le posizioni sono pericolose per la Grecia. Se a Washington prevale
quella dei conservatori, si prospetta un nuovo piano «Prometeo»
della Nato, una «Piazza Syntagma» sulla falsariga di «Piazza
Maidan» in Ucraina. Se prevale quella dei progressisti, una
operazione di stampo neocoloniale che farebbe cadere la Grecia dalla
padella nella brace. L’unica via resta quella di una dura lotta
popolare per la difesa della sovranità nazionale e della democrazia.
Manlio
Dinucci
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