Non c’è
nulla da festeggiare, dopo l’esito del referendum greco.
Non hanno
nulla da festeggiare i greci che iniziano un percorso drammatico, che
li condurrà in un terreno ignoto molto simile a Weimar e a Caracas.
Non hanno
nulla da festeggiare gli italiani perché quanto sta accadendo al di
là dell’Adriatico rende più fragile la situazione del bel Paese,
il cui debito è destinato a lievitare per effetto della inevitabile
crescita degli interessi.
Non hanno
nulla da festeggiare gli altri europei, nel momento in cui la crisi
scuote l’Europa dei bottegai e dei miopi che ha privilegiato le
idee degli ottusi burocrati di Bruxelles rispetto all’ispirazione
originaria e unitaria, mai come ora discussa e discutibile.
Non hanno
nulla da festeggiare Angela Merkel e il suo fido Sancho Pancha
Hollande, visto che la diarchia dichiara fallimento di fronte al
mondo, dopo però avere dissipato troppe decine di miliardi di euro
in interventi tardivi, in prescrizioni inapplicabili, in incertezze
ingiustificate.
Gli
sciocchi –già proprio di sciocchi incapaci di interpretare i dati
della realtà e di vedere dove sta l’interesse nazionale- che
esultano a Roma o ad Atene, dove si sono recati in tragica
trasferta-, esaltano la democraticità del metodo del referendum. Ma
noi, noi italiani, dobbiamo, invece, contestare che 1.300.000 greci
(la differenza tra no e sì) possano avere deciso per 340.000.000 di
cittadini dell’eurogruppo. E dobbiamo ricordare che un referendum
come quello celebrato ad Atene non è l’esaltazione della
democrazia ma della demagogia, visto che si è scritto «no» alla
domanda «sangue e lacrime». Troppo facile. Troppo populista. Troppo
irresponsabile.
Rimane sul
terreno dello scontro Mario Draghi: la sua corretta idea d’Europa
cade per l’assenza dell’Europa e, anche nel suo caso, è
difficile prevedere cosa accadrà.
Difficilmente,
però, l’eurogruppo potrà fare marcia indietro. Ma, nel tenere
fermo il proprio punto, dovrà pensare al futuro immediato: il
deragliamento della Grecia non deve diventare deragliamento generale.
Deve quindi
tornare la politica. Ed è questo il difficile, in tempi di nani come
Merkel, Hollande, Renzi e Rajoy. Mediare tra gli interessi
(divergenti) degli europei sarà difficile.
Ed è
l’idea d’Europa che può salvarci, non i contabili di «Le
Berlaymont» (sede dell’Unione). E il ritorno a Delors: i 30
miliardi di Junker fanno ridere e piangere. Occorre partire con un
programma di almeno 300 miliardi di euro per dare alle economie
europee quella spinta che serve per riprendere il cammino, creando
occupazione e benessere.
Non c’è
da essere ottimisti, certo. Ma i greci sono già nell’inferno.
Domenico
Cacopardo
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