Vorrei
cercare di esprimermi con equilibrio anche in considerazione del
fatto che l'argomento, già discusso diverse volte, rimane di particolare importanza, ma non
certamente “urticante” come scrive il cugino
Cacopardo..che definisco oltre che un bravo ed attento scrittore, una
penna non comune nel panorama nazionale...ma con il quale non riesco
ad essere d'accordo.
Per quanto
mi riguarda..non ho mai inteso coniugare cattolicesimo e sociale
nel modo in cui intende farlo Domenico, né ho mai inteso
schierarmi da una parte... in considerazione del fatto che sono è rimango uno
spirito libero, come hanno sempre dimostrato i miei post sul blog.
La mia
osservazione riguardo al Papa esula da certe posizioni. Definisco
l'opera di evangelizzazione di Papa Bergoglio conforme a quella di
chi, come Pastore supremo del cattolicesimo, segue i valori
(universali) dell'amore così come lo fece Cristo in terra...Nulla di
più!..Ripeto ...se un Papa è Papa ..deve operare di proposito.. e
nulla di quello che lui esprime può essere distorto da coloro che,
operando per una politica, dovrebbero.. per dovere, apprestare idee e
servizi, a beneficio di una società ormai allo sbando...sia essa occidentale... che orientale.
Errato
parlare di simpatia o antipatia per la figura di un Pontefice..come
mi sembra insensato schierarsi a sfavore del suo pensiero. Non
credo per nulla che Papa Francesco voglia operare contro un'occidente...anzi certa critica infeconda di chi si sente
attaccato in quanto appartenente ad una civiltà occidentale, mi
sembra del tutto errata, persino forviante, poiché il problema
rimane altro.. ben diverso. Basterebbe essere più intuitivi nel
pensiero e meno prevenuti nella figura di Francesco per riuscire
meglio a comprendere che il suo tono non è quello “peronista”
indicato da Domenico, ma quello di uno spirito libero (persino
rispetto al suo Clero) di chi ama in modo incontenuto il popolo nel
suo insieme.
L'evangelizzazione
di Papa Francesco non intende costruirsi sulla contrapposizione
Occidente-Oriente...nè tantomeno schierarsi a favore dell'uno o
dell'altro. Il Papa nel suo dialogo esprime una realtà che in questi
giorni appare sotto gli occhi di tutti e dove nei Paesi più
progrediti continua a perseverare con forza una certa iniquità.
Allora è più che sacrosanto chiedersi per quale motivo queste
società anziché tendere a livellare un certo benessere, per meri
motivi di un mercato..(quasi volutamente non regolamentato),
continuino a dimenticare un principio sacrosanto di equità tra gli
uomini. Ciò non significa mortificare una società progredita, ma
constatarne certi macrodifetti. Se queste considerazioni (che tali
rimangono) non devono essere espresse da chi diffonde un verbo
cristiano, significa restare ipocriti rispetto ad un onesto giudizio.
Siamo tutti
convinti che le idee dell’Occidente hanno vinto, ma non altrettanto
convinti che queste funzionino pienamente in ambito sociale e
politico. Quella che Domenico Cacopardo si ostina a chiamare teologia
del «pueblo» altro non è che una chiara considerazione da parte
del Papa delle macroscopiche evidenze che gravano su una società
occidentale sopraffatta oggi dal malcostume e da una lunga serie di
ingiustizie che gran parte dello stesso popolo occidentale stesso
accusa...Ma è proprio perchè questi Paesi appaiono più progrediti
che il giudizio arriva più spontaneo e deve eesere tenuto in alta considerazione!. Diverse appaiono le problematiche del popolo
orientale che in sé racchiude logiche sociali differenti e dove
persiste altro tipo di iniquità e persino terrorismo spinto
disumano.
“il
paziente, certosino lavoro per creare lo sviluppo economico e
culturale che deve ridurre il numero dei miserabili”..come
afferma Domenico... potrebbe essere operato dall'Occidente con la
forza dell'equilibrio e con una politica sociale meno viziata da un
liberismo capitalistico senza freni che non deve obbligatoriamente
far vincere l'uno per far sopperire l'altro...Insomma.. non credo per
nulla che il Papa voglia opporsi ad una teoria occidentale ..nè
tantomeno favorirne una orientale, ma offre il suo verbo in nome di
una crescita cristiana più equa e giusta. ..e ciò appartiene di
sicuro al suo ruolo.
Si può anche non apprezzarlo e persino credere che il suo possa essere un atteggiamento, ma sembra proprio eccessivo catalogarlo come
una figura populista peronista.
Vincenzo
Cacopardo
Ci sono due
questioni che stanno particolarmente a cuore ad alcuni lettori, tanto
da non risparmiarmi osservazioni e critiche (gradite perché
forniscono il polso del sentire comune): la sussistenza o meno della
cosiddetta «civiltà occidentale» e la valutazione da me
ripetutamente formulata dell’attività politica e pastorale di papa
Bergoglio.
Ciò che
sono andato scrivendo su questi argomenti, soprattutto riguardo al
«papa venuto dall’altro mondo», è poi risultato particolarmente
urticante per coloro che coniugano il cattolicesimo sociale e,
contemporaneamente, la simpatia o la militanza per lo schieramento
della sinistra extraparlamentare.
E, quindi,
a coloro che dissentono cercherò, garbatamente, di rispondere, in
modo da dissipare ogni eventuale equivoco e a fornire anche a chi
consente le ragioni lontane e vicine delle mie argomentazioni. Prima
di tutto, ammetto di partire da un’impostazione intrisa dei
principi della democrazia laica e riformista che, in questo beneamato
Paese, ha una storia importante e –com’è naturale vista la
latitanza della storiografia non o poco schierata- misconosciuta.
Risale al Risorgimento e a Giuseppe Mazzini questo lato del pensiero
italiano.
Ecco le
buone (almeno credo che siano buone) ragioni che mi spingono a
sostenere la permanenza della cultura occidentale e la natura
eversiva e reazionaria del pontificato di Bergoglio.
Partiamo
dall’Occidente. È ancora oggi sotto gli occhi di tutti coloro che
vogliono vedere (e non vogliono chiudere gli occhi per un pregiudizio
ideologico di stampo vetero-marxista) quanto grande e profonda sia
l’influenza del modello euro-americano nel mondo globalizzato dei
nostri tempi. Quindi, non solo il retaggio di una spinta al progresso
unica nella storia, più grande ancora di quella greca, romana ed
egiziana, ma la sua attualità. Dalla Cina, ultimo baluardo della
«filosofia della prassi» nella versione marxista-leninista
aggiornata da Mao Tse Tung, che deve proprio all’adozione
aggiustata degli stilemi occidentali il suo impetuoso sviluppo,
avendo acquisito e metabolizzato i concetti di sviluppo e di
profitto; all’India, nella quale l’eredità dell’impero
britannico permea le istituzioni e, tra esse, l’amministrazione
della giustizia. Sino al più sperduto paese dell’Africa, nel quale
l’Occidente, la sua cultura e i suoi modelli rimangono forti e ben
piantati come riferimenti imprescindibili, lontane oasi nelle quali
può trovarsi il vivere pacifico e civile.
Non solo è
ingeneroso pensare che la civiltà occidentale sia finita, ma è
anche sbagliato.
Nel mondo
multipolare di oggi, nel quale è l’anarchia a dominare i rapporti
tra gli stati e –con essa- il serpeggiante «mood» di un confronto
finale, non solo economico, ma politico e politico-militare, le idee
dell’Occidente hanno vinto e camminano ovunque sulle loro gambe. È
altrettanto vero che ci sono tante realtà e tante culture che hanno
conquistato pacificamente e non il diritto di cittadinanza e il
rispetto generale. Tuttavia, la ricchezza contemporanea nasce e si
sviluppa intorno alla rivoluzione industriale e alle rivoluzioni
americana e francese, e si consolida prima in Europa e poi nel mondo.
Certo, è
sorto e s’è sviluppato un movimento antistorico, islamista
radicale che fa del terrorismo il proprio strumento di lotta per il
potere.
L’Occidente
«mite» ha deciso di non affrontarlo seriamente e di non metterlo
nelle condizioni di non nuocere più. Per sempre.
Su questo
punto ha ragione Qassem Soleimani, comandante d Al Qods (la forza
armata degli ayatollah iraniani) quando afferma che il potere degli
Stati Uniti in Medio Oriente è in declino e che la flebilità della
reazione ai tagliagole dell’Isis è una scelta operata per
accentuare lo scontro infraislamico, non avendo (gli USA e l’Europa)
la forza né la voglia di batterli sul campo.
Ed è vero
che le contraddizioni fanno vacillare convincimenti che sembravano
consolidati: per esempio l’appoggio euro-americano al governo
golpista di Kiev, appoggiato dalle milizie neonaziste. Ma questi sono
fenomeni interni a un sistema e a una logica nella quale la lotta per
il potere mondiale (grande motore della storia) non s’è ancora
sopita.
Nonostante
tutto, la nostra vitalità non è in discussione e, se non si
manifesta più con decisioni storiche (l’ultima Maastricht), si
appoggia a un’azione matura, che è per definizione lenta e quasi
incerta, ma che procede inesorabilmente verso livelli di maggiore
integrazione.
Veniamo a
Bergoglio.
Il
papa che «viene dall’altro mondo» ha portato seco un’ideologia
specifica. All’interno del vasto fiume del cattolicesimo, c’è
una corrente di pensiero tutta gesuitica e latino-americana che,
superata l’idea della Liberazione, si chiama teologia del «pueblo».
È questa entità generica e difficilmente definibile, composta dal
popolo cristiano e non, la destinataria del messaggio che Dio,
tramite lo Spirito Santo, manda all’umanità. Perciò a essa deve
guardare la Chiesa di Cristo come fonte di ispirazione e di indirizzo
per la sua azione nel mondo contemporaneo. Un’azione che è
religiosa e politica, giacché le manifestazioni del popolo sono
espressione di religiosità e di volere politico.
Torneremo
sui sofismi insiti in queste proposizioni, sulla parentela con il
populismo peronista e, più vicino, il populismo che anima mezzo
pianeta provocando eccessi di violenza, tra i quali si deve
annoverare la violenza del fondamentalismo islamico.
Non a caso
le reazioni di Francesco nei confronti del martirio dei cristiani in
Medio Oriente, della loro espulsione dai territori nei quali erano
insediati da millenni (i caldei, per esempio) è debole, incerta,
combattuta com’è tra le ragioni del popolo e dei popoli che
sarebbero ispirati da Dio.
In fondo, è
un modo come un altro per scavalcare le istituzioni e per dialogare
direttamente con derelitti ed emarginati. Con la parte povera
dell’umanità.
È facile
osservare che la via del riscatto non passa attraverso la sovversione
anche violenta dello «statu quo» ma comporta il paziente, certosino
lavoro per creare lo sviluppo economico e culturale che deve ridurre
il numero dei miserabili.
Numero che,
peraltro, s’è ridotto di alcuni miliardi di donne e di uomini,
riscattati dal ricatto della fame, per merito delle istituzioni (gli
stati) che se ne sono occupati.
Rimane la
sconcertante testimonianza di un papa che cerca di porre le basi di
una forza temporale della Chiesa fondata sugli umori e le aspirazioni
del popolo più derelitto, quello che non è in condizioni di
sceverare tra le vie che gli sono di fronte, quella più praticabile
per ottenere il miglioramento della sua esistenza.
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