4 set 2015

In dialogo con Domenico Cacopardo sulla figura di Papa Francesco

Vorrei cercare di esprimermi con equilibrio anche in considerazione del fatto che l'argomento, già discusso diverse volte, rimane di particolare importanza, ma non certamente “urticante” come scrive il cugino Cacopardo..che definisco oltre che un bravo ed attento scrittore, una penna non comune nel panorama nazionale...ma con il quale non riesco ad essere d'accordo.
Per quanto mi riguarda..non ho mai inteso coniugare cattolicesimo e sociale nel modo in cui intende farlo Domenico, né ho mai inteso schierarmi da una parte... in considerazione del fatto che sono è rimango uno spirito libero, come hanno sempre dimostrato i miei post sul blog.

La mia osservazione riguardo al Papa esula da certe posizioni. Definisco l'opera di evangelizzazione di Papa Bergoglio conforme a quella di chi, come Pastore supremo del cattolicesimo, segue i valori (universali) dell'amore così come lo fece Cristo in terra...Nulla di più!..Ripeto ...se un Papa è Papa ..deve operare di proposito.. e nulla di quello che lui esprime può essere distorto da coloro che, operando per una politica, dovrebbero.. per dovere, apprestare idee e servizi, a beneficio di una società ormai allo sbando...sia essa occidentale... che orientale.

Errato parlare di simpatia o antipatia per la figura di un Pontefice..come mi sembra insensato schierarsi a sfavore del suo pensiero. Non credo per nulla che Papa Francesco voglia operare contro un'occidente...anzi certa critica infeconda di chi si sente attaccato in quanto appartenente ad una civiltà occidentale, mi sembra del tutto errata, persino forviante, poiché il problema rimane altro.. ben diverso. Basterebbe essere più intuitivi nel pensiero e meno prevenuti nella figura di Francesco per riuscire meglio a comprendere che il suo tono non è quello “peronista” indicato da Domenico, ma quello di uno spirito libero (persino rispetto al suo Clero) di chi ama in modo incontenuto il popolo nel suo insieme.

L'evangelizzazione di Papa Francesco non intende costruirsi sulla contrapposizione Occidente-Oriente...nè tantomeno schierarsi a favore dell'uno o dell'altro. Il Papa nel suo dialogo esprime una realtà che in questi giorni appare sotto gli occhi di tutti e dove nei Paesi più progrediti continua a perseverare con forza una certa iniquità. Allora è più che sacrosanto chiedersi per quale motivo queste società anziché tendere a livellare un certo benessere, per meri motivi di un mercato..(quasi volutamente non regolamentato), continuino a dimenticare un principio sacrosanto di equità tra gli uomini. Ciò non significa mortificare una società progredita, ma constatarne certi macrodifetti. Se queste considerazioni (che tali rimangono) non devono essere espresse da chi diffonde un verbo cristiano, significa restare ipocriti rispetto ad un onesto giudizio.

Siamo tutti convinti che le idee dell’Occidente hanno vinto, ma non altrettanto convinti che queste funzionino pienamente in ambito sociale e politico. Quella che Domenico Cacopardo si ostina a chiamare teologia del «pueblo» altro non è che una chiara considerazione da parte del Papa delle macroscopiche evidenze che gravano su una società occidentale sopraffatta oggi dal malcostume e da una lunga serie di ingiustizie che gran parte dello stesso popolo occidentale stesso accusa...Ma è proprio perchè questi Paesi appaiono più progrediti che il giudizio arriva più spontaneo e deve eesere tenuto in alta considerazione!. Diverse appaiono le problematiche del popolo orientale che in sé racchiude logiche sociali differenti e dove persiste altro tipo di iniquità e persino terrorismo spinto disumano.

il paziente, certosino lavoro per creare lo sviluppo economico e culturale che deve ridurre il numero dei miserabili”..come afferma Domenico... potrebbe essere operato dall'Occidente con la forza dell'equilibrio e con una politica sociale meno viziata da un liberismo capitalistico senza freni che non deve obbligatoriamente far vincere l'uno per far sopperire l'altro...Insomma.. non credo per nulla che il Papa voglia opporsi ad una teoria occidentale ..nè tantomeno favorirne una orientale, ma offre il suo verbo in nome di una crescita cristiana più equa e giusta. ..e ciò appartiene di sicuro al suo ruolo.
Si può anche non apprezzarlo e persino credere che il suo possa essere un atteggiamento, ma sembra proprio eccessivo catalogarlo come una figura populista peronista.
Vincenzo Cacopardo


Scrive Domenico Cacopardo
Ci sono due questioni che stanno particolarmente a cuore ad alcuni lettori, tanto da non risparmiarmi osservazioni e critiche (gradite perché forniscono il polso del sentire comune): la sussistenza o meno della cosiddetta «civiltà occidentale» e la valutazione da me ripetutamente formulata dell’attività politica e pastorale di papa Bergoglio.
Ciò che sono andato scrivendo su questi argomenti, soprattutto riguardo al «papa venuto dall’altro mondo», è poi risultato particolarmente urticante per coloro che coniugano il cattolicesimo sociale e, contemporaneamente, la simpatia o la militanza per lo schieramento della sinistra extraparlamentare.
E, quindi, a coloro che dissentono cercherò, garbatamente, di rispondere, in modo da dissipare ogni eventuale equivoco e a fornire anche a chi consente le ragioni lontane e vicine delle mie argomentazioni. Prima di tutto, ammetto di partire da un’impostazione intrisa dei principi della democrazia laica e riformista che, in questo beneamato Paese, ha una storia importante e –com’è naturale vista la latitanza della storiografia non o poco schierata- misconosciuta. Risale al Risorgimento e a Giuseppe Mazzini questo lato del pensiero italiano.
Ecco le buone (almeno credo che siano buone) ragioni che mi spingono a sostenere la permanenza della cultura occidentale e la natura eversiva e reazionaria del pontificato di Bergoglio.
Partiamo dall’Occidente. È ancora oggi sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere (e non vogliono chiudere gli occhi per un pregiudizio ideologico di stampo vetero-marxista) quanto grande e profonda sia l’influenza del modello euro-americano nel mondo globalizzato dei nostri tempi. Quindi, non solo il retaggio di una spinta al progresso unica nella storia, più grande ancora di quella greca, romana ed egiziana, ma la sua attualità. Dalla Cina, ultimo baluardo della «filosofia della prassi» nella versione marxista-leninista aggiornata da Mao Tse Tung, che deve proprio all’adozione aggiustata degli stilemi occidentali il suo impetuoso sviluppo, avendo acquisito e metabolizzato i concetti di sviluppo e di profitto; all’India, nella quale l’eredità dell’impero britannico permea le istituzioni e, tra esse, l’amministrazione della giustizia. Sino al più sperduto paese dell’Africa, nel quale l’Occidente, la sua cultura e i suoi modelli rimangono forti e ben piantati come riferimenti imprescindibili, lontane oasi nelle quali può trovarsi il vivere pacifico e civile.
Non solo è ingeneroso pensare che la civiltà occidentale sia finita, ma è anche sbagliato.
Nel mondo multipolare di oggi, nel quale è l’anarchia a dominare i rapporti tra gli stati e –con essa- il serpeggiante «mood» di un confronto finale, non solo economico, ma politico e politico-militare, le idee dell’Occidente hanno vinto e camminano ovunque sulle loro gambe. È altrettanto vero che ci sono tante realtà e tante culture che hanno conquistato pacificamente e non il diritto di cittadinanza e il rispetto generale. Tuttavia, la ricchezza contemporanea nasce e si sviluppa intorno alla rivoluzione industriale e alle rivoluzioni americana e francese, e si consolida prima in Europa e poi nel mondo.
Certo, è sorto e s’è sviluppato un movimento antistorico, islamista radicale che fa del terrorismo il proprio strumento di lotta per il potere.
L’Occidente «mite» ha deciso di non affrontarlo seriamente e di non metterlo nelle condizioni di non nuocere più. Per sempre.
Su questo punto ha ragione Qassem Soleimani, comandante d Al Qods (la forza armata degli ayatollah iraniani) quando afferma che il potere degli Stati Uniti in Medio Oriente è in declino e che la flebilità della reazione ai tagliagole dell’Isis è una scelta operata per accentuare lo scontro infraislamico, non avendo (gli USA e l’Europa) la forza né la voglia di batterli sul campo.
Ed è vero che le contraddizioni fanno vacillare convincimenti che sembravano consolidati: per esempio l’appoggio euro-americano al governo golpista di Kiev, appoggiato dalle milizie neonaziste. Ma questi sono fenomeni interni a un sistema e a una logica nella quale la lotta per il potere mondiale (grande motore della storia) non s’è ancora sopita.
Nonostante tutto, la nostra vitalità non è in discussione e, se non si manifesta più con decisioni storiche (l’ultima Maastricht), si appoggia a un’azione matura, che è per definizione lenta e quasi incerta, ma che procede inesorabilmente verso livelli di maggiore integrazione.
Veniamo a Bergoglio.
Il papa che «viene dall’altro mondo» ha portato seco un’ideologia specifica. All’interno del vasto fiume del cattolicesimo, c’è una corrente di pensiero tutta gesuitica e latino-americana che, superata l’idea della Liberazione, si chiama teologia del «pueblo». È questa entità generica e difficilmente definibile, composta dal popolo cristiano e non, la destinataria del messaggio che Dio, tramite lo Spirito Santo, manda all’umanità. Perciò a essa deve guardare la Chiesa di Cristo come fonte di ispirazione e di indirizzo per la sua azione nel mondo contemporaneo. Un’azione che è religiosa e politica, giacché le manifestazioni del popolo sono espressione di religiosità e di volere politico.
Torneremo sui sofismi insiti in queste proposizioni, sulla parentela con il populismo peronista e, più vicino, il populismo che anima mezzo pianeta provocando eccessi di violenza, tra i quali si deve annoverare la violenza del fondamentalismo islamico.
Non a caso le reazioni di Francesco nei confronti del martirio dei cristiani in Medio Oriente, della loro espulsione dai territori nei quali erano insediati da millenni (i caldei, per esempio) è debole, incerta, combattuta com’è tra le ragioni del popolo e dei popoli che sarebbero ispirati da Dio.
In fondo, è un modo come un altro per scavalcare le istituzioni e per dialogare direttamente con derelitti ed emarginati. Con la parte povera dell’umanità.
È facile osservare che la via del riscatto non passa attraverso la sovversione anche violenta dello «statu quo» ma comporta il paziente, certosino lavoro per creare lo sviluppo economico e culturale che deve ridurre il numero dei miserabili.
Numero che, peraltro, s’è ridotto di alcuni miliardi di donne e di uomini, riscattati dal ricatto della fame, per merito delle istituzioni (gli stati) che se ne sono occupati.
Rimane la sconcertante testimonianza di un papa che cerca di porre le basi di una forza temporale della Chiesa fondata sugli umori e le aspirazioni del popolo più derelitto, quello che non è in condizioni di sceverare tra le vie che gli sono di fronte, quella più praticabile per ottenere il miglioramento della sua esistenza.



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