3 set 2015

Una nota aggiuntiva sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo sulla riforma del Senato

In questa puntuale ed attenta analisi.. Domenico Cacopardo mette in risalto tutte le debolezze di quella che lui stesso definisce “L’allegra compagnia di dilettanti allo sbaraglio che ha accompagnato Matteo Renzi nell’ascesa a Palazzo Chigi”.

Abbiamo ampiamente scritto sull'approssimazione e il semplificativo metodo con cui il premier si è sempre mosso..e sono state poste mille perplessità sull'opportunità di cambiare un sistema bicamerale senza una logica che non guardi prevalentemente ad un risultato di comodo e di interesse. Adesso che i nodi vengono0 al pettine persino il consigliere Cacopardo (spesso pro Renziano) pare riuscire a scorgere le incongruenze ed il lavoro scomposto, oltre all'inettitudine di qualche ministro sul percorso delle riforme.
Ma vorrei prendere l'occasione per porre ancora una volta i miei dubbi sull'insieme di queste riforme che continuano esclusivamente a trarre una precisa opportunità in favore di una governabilità imposta e mai ricercata dal basso.

Se nel merito dell'art 1 e 2 la questione è stata espressa con precisione dal consigliere Cacopardo, vi sono ulteriori dubbi su tutto il pacchetto di riforme costituzionali nel contesto di una nuova legge elettorale che vorrebbe, in tal modo, costruire una governabilità dall'alto fregandosene palesemente di ogni altro più funzionale percorso: Il sostanza.. con una sola Camera eletta e con un Senato che cambierà continuamente figure che non avranno alcun potere sul governo (anzi che ne saranno del tutto condizionate) ed una legge elettorale che potrà premiare le figure proposte da chi oggi sembra in grado di comandare in seno ad un Partito e nel contempo governare, il tutto apparirà assai semplice ed ingabbierà definitivamente ogni principio più alto di democrazia.

Ma tutto ciò sembra non interessare ad alcuno..poichè ogni atto sembrerebbe essere considerato a parte e non in una utile visione d'insieme. Se l'allegra compagnia di dilettenti allo sbaraglio continua su questa strada è proprio per la mancanza di una percezione più utile ..è per una innata incompetenza su una materia che andrebbe considerata con un primario rispetto verso la democrazia e non per opportunismo politico o per farsi belli davanti ad un elettorato che sembra premiare prese di posizioni determinate, ma per niente coerenti e funzionali.

E' proprio il combinato di tutte queste nuove riforme( Una sola Camera- il finanziamento privato - i ruoli politici non separati e compromessi che creano conflitti-una legge elettorale con forte premio di maggioranza- la politica regionale dipendente dal governo centrale..etc ) che dovrebbe far pensare seriamente: Una lunga serie di anomalie che.. messe insieme... forniscono un quadro chiaro di come non vi possa essere nel futuro scampo per un sistema di vera democrazia e di equità sociale.

Certo adesso al Senato l'aria cambierà e non sarà facile per Renzi affrontare i nuovi disegni di un cambiamento tanto falso, quanto frettoloso e dispotico. La lettura è ormai chiara e difficilmente contestabile: Avendo una forte premura per volontà richiesta dalla Comunità europea e non avendo nuove idee in proposito, si è scelto di relegare il quadro istituzionale.. umiliando un sistema di democrazia. Quello che più fa specie e colpisce è..il pretendere di rappresentare questo subdolo cambiamento nel quadro dei principi costituzionali di una vera democrazia....Nessuno oggi sembra in grado di percepire le reazioni che si scateneranno in seguito a questo tipo di riforme che costringono, anche se non nell'immediato, ad un effetto di insofferenza, il pensiero politico di base che dovrebbe rendersi più libero.
vincenzo cacopardo


Ci mancava che Giorgio Napolitano, in un impeto di senile generosità istituzionale, rendesse visita a Sergio Mattarella per sensibilizzarlo sulla necessità di «premere» su Pietro Grasso perché agevoli, al di là del regolamento, la strada del disegno di legge di riforma del Senato. Una specie di intervento a gamba tesa («absit iniuria verbis») di cui nessuno vede la necessità e che aggrava il complesso di illazioni e di sospetti che gravano proprio sul presidente del Senato.
Del resto, Sergio Mattarella è, come si dice in Sicilia, «santo che non suda», e, su una questione così delicata come la riforma del Senato, non eserciterà alcuna pressione propria o impropria come usava il suo predecessore.
A questo punto, dobbiamo fare ammenda nei confronti di Pietro Grasso: non ci sono alternative alla riapertura della discussione di merito sull’art. 1 e sull’art. 2 del disegno di legge, giacché entrambi sono stati modificati –e non in modo marginale- nella seconda lettura della Camera dei Deputati. L’esame del Senato, quindi, si presenta ora come una vera e propria seconda lettura, non una terza come immaginavano Matteo Renzi e la sua corte di incompetenti a partire dal capo del dipartimento affari legislativi, Antonella Manzione (già capo dei vigili urbani di Firenze), e dal suo stesso ministro Maria Elena Boschi. A entrambe è sfuggito –e non poteva sfuggire- che il dettato costituzionale dispone per le leggi di modifica della Costituzione una doppia lettura di un medesimo identico testo, cosa che non è avvenuta nel passaggio dal Senato alla Camera. Qui, con leggerezza degna di un bravo ballerino di Formentera, la ministra per le riforme non ha posto alcun ostacolo alla modifica del testo licenziato dal Senato.
L’idea del «cerchio magico» dei renziani che, ora, Pietro Grasso, travalicano i propri poteri ed entrando in rotta di collisione con i suoi personali obblighi istituzionali, impedisca la discussione di emendamenti agli articoli 1 e 2 (e quindi anche agli altri) dimostra ancora una volta –e se ce ne fosse stato bisogno- l’assoluta ignoranza del premier&intimi dei limiti dell’attività di governo e delle necessità formali e sostanziali di ogni testo legislativo e, a maggior ragione, costituzionale.
Nel merito le questioni sono serie. L’art. 1 (che, ai fini delle esigenze del Paese, è il più importante) definisce le funzioni della nuova assemblea. Le modifiche apportate dalla Camera dei deputati (nella sua prima lettura) hanno natura limitativa. Per esempio: il raccordo tra Unione europea, Stato e misteriosi «altri enti costitutivi della Repubblica» (questo è il livello dei nostri legislatori, a cominciare da quelli seduti nei comodi uffici di Palazzo Chigi, che scrivono un richiamo così generico per non prendersi il disturbo di verificare quali enti siano interessati all’esercizio della funzione di raccordo) cessa di essere funzione esclusiva e si trasforma in partecipazione, il «concorso» nell’esercizio, appunto, del raccordo che rimane limitato ai rapporti tra Stato ed enti territoriali e tra Unione europea ed enti medesimi.
Altro esempio, la cessazione della competenza del nuovo Senato nella valutazione dell’impatto degli atti normativi e delle politiche dell'Unione. E ancora, la valutazione delle politiche nazionali e delle attività della pubbliche Amministrazioni e la verifica dell’attuazione delle leggi statali, cessano di essere compiti esclusivi del nuovo Senato che li può esercitare in «concorso» con gli altri soggetti dell’ordinamento, cioè la Camera dei deputati e il governo.
Infine, è stato soppresso il «concorso paritario» con la Camera nella funzione legislativa in materia di famiglia, di matrimonio e di trattamenti sanitari obbligatori.
In sostanza, nessuna delle funzioni specifiche ed esclusive è sopravvissuta dal vaglio dei deputati. Sono rimaste in vita alcune funzioni da esercitarsi solo in concorso (con la Camera).
Il nuovo Senato, quindi, è ancora più svuotato. Rimarrà solo un fantasma, meno importante e influente del pur non importante e non influente Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (soppresso).
Non si capisce, quindi, la ratio di una sopravvivenza in camera iperbarica, in una sorta di coma farmacologico, dal quale non può sopravvenire alcun risveglio.
Quanto all’art. 2, la questione è presto detta. Nel testo originario, i senatori duravano in carica per la durata dell’organo nel quale erano stati eletti. Ora, il «nel» è stato sostituito da un «dal». Non si tratta di lana caprina, ma di un elemento di parificazione tra consiglieri regionali (eletti senatori) e sindaci. Durando il mandato quanto dura l’organo che dal quale sono stati eletti, quando la regione viene a scadenza, scadono anche tutti coloro (sindaci e consiglieri) che la stessa ha eletto «senatori».
Sembra semplice, ma diventa complicato, visto che il Senato sarà composto da soggetti che avranno tutti scadenze diverse.
Ora, in una situazione come quella che abbiamo descritto, risulta complicato un percorso breve e lineare della terza lettura del disegno di legge che, in realtà, è solo la seconda.
E non sarà possibile a nessuno porre limiti sostanziali agli emendamenti e al dibattito. E, se pure in commissione ci potrà essere un esame piuttosto rapito, l’adozione del «passo del bersagliere» in aula sarà impossibile.
Riaprendosi del tutto il percorso, sarà molto più difficile a Renzi il controllo degli amici, l’esercizio del vacillante potere che ancora ha sul gruppo parlamentare del Pd, la difesa del testo «così com’è».
Quelli che, a prima vista, sembrano problemi tecnici sono già diventati problemi politici, a dimostrazione che presupposto indispensabile di ogni azione di governo è la capacità tecnica dei ministri e dei loro staff rispetto alle questioni di cui sono chiamati a occuparci.
L’allegra compagnia di dilettanti allo sbaraglio che ha accompagnato Matteo Renzi nell’ascesa a Palazzo Chigi –e che pure tante iniziative giuste e necessarie ha preso- è alla prova finale. Una prova che si somma alla legge di stabilità, al problema immigrati e agli altri appuntamenti di questo e del prossimo mese.
Non è proprio detto che il nostro premier ce la faccia.
Se non ce la farà, potrà solo prendersela con se stesso e con la leggerezza con la quale ha affrontato il governo dell’Italia.
Ps: debbo ringraziare il Senato della Repubblica per la qualità del suo sito e per l’eccellente lavoro del suo ufficio studi che ha messo in rete un’analisi completa e comprensibile della riforma. Consultabile da tutti.
Domenico Cacopardo

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