Questa
interessante cronaca che espone Giulio Ambrosetti affronta un'analisi sul difficile
percorso di una Regione che, malgrado la forza di uno Statuto
Autonomo, non ha saputo gestire una politica in favore del proprio sviluppo. Sarebbe opportuno anche mettere in evidenza la differenza
tra un'Autonomia e un'Indipendenza, poichè sembrano essere in tanti
i cittadini che, nella confusione, non ne hanno ancora ben percepito
la differenza. E' chiaro che se si resta nel campo dell'autonomia si
rimane in un ambito di regole in favore della Regione che lo
mantiene. Ma rimane davvero impensabile poter proiettarsi oggi in
direzione di una indipendenza in un momento storico come quello
odierno.
-L'indipendenza
e
la situazione in cui un un
Popolo non
è più sottomesso all'autorità di un altro: Il territorio che
diventa indipendente è
libero da
qualsiasi vincolo o peso preesistente prima dell'indipendenza...
L'indipendenza
si identifica quindi in un'emancipazione
da
un potere altrui.
-L'Autonomia
invece,
è quella situazione in cui continuano ad esistere alcuni vincoli
istituzionali tra i territori ed i popoli: Il potere
assoluto lo mantiene sempre lo Stato su una Regione, sebbene nel caso
della presenza di uno Statuto.. vi sono delle regole che per
determinate competenze variano rendendo le decisioni autonome.
Non
vì è dubbio che nello Statuto siciliano
vi siano i presupposti per poter rendere più autonome alcune
decisioni in favore del proprio territorio di competenza...e questo
non è poco..se non fosse che negli anni passati non vi è stata una
politica capace di sostenerlo in favore di una politica più
efficiente e lungimirante. Se avessimo davvero conquistato una indipendenza, con i risultati di una politica agli occhi di tutti, oggi saremmo ancora più in default e..probabilmente tagliati fuori da ogni altra possibilità di sviluppo...diversamente se avessimo condotto con sapienza una Autonomia con equilibrio e spirito costruttivo attraverso ciò che uno Statuto ci ha sempre offerto.
L'opportuna premessa
non intende sminuire la puntuale cronistoria di Ambrosetti che rispecchia in pieno il modo quasi leggero con cui
si affronta tutt'oggi l'argomento: Un'Autonomia è sostenibile..una indipendenza resta quasi impossibile !
Al
di là dei nomi che
Giulio sottolinea con evidenza, quello che al sottoscritto preme
chiarire.. è il fatto che in un territorio come il nostro... ricco
di valori naturali straordinari.. non si dovrebbe nemmeno porre il
dubbio dell'importanza di avere avuto uno Statuto Autonomo con in
quale si sarebbe potuto procedere in favore di quei pricipi più consoni
per la salvaguardia e la promozione degli stessi...Qualunque politica governativa ha mancato nel suo ruolo di portatrice di idee attraverso l'uso di
uno strumento che avrebbe reso facile la strada di uno
sviluppo sicuramente più logico e congenito.
Vincenzo
cacopardo
Proviamo,
tra cronaca e storia, a ricostruire, per sommi capi, i tanti
tentativi di rilanciare l’Autonomia siciliana. Dal ‘Milazzismo’
a Piersanti Mattarella. Dalle intuizioni di Rino Nicolosi al
trasformismo di Raffaele Lombardo. Un racconto che arriva fino ai
nostri giorni. Con la facoltà di Giurisprudenza di Palermo fucina di
tanti leader, da Sergio D’Antoni a Vito Riggio, da Luigi Cocilovo a
Leoluca Orlando
Sulla
rete, in queste ore, si discute, e molto, della spaccatura avvenuta
in Sicilia
Nazione. Sulla
vicenda sono già intervenuto dando ragione al professore
Massimo Costa. Torno
sull’argomento per porre alcune domande al variegato (e complicato)
mondo dell’autonomismo e dell’indipendentismo siciliano. Sono
domande che ruotano tra i miei pensieri da molto tempo. Oggi ne parlo
a ruota libera.
Conosco
il professore Costa da tanti anni. Per la precisione, dal 1996,
quando il professore Andrea
Piraino,
docente di Diritto Costituzionale all’Università di Palermo,
esponente di punta del libero pensiero dei cattolici impegnati nel
sociale, praticamente in quasi-solitudine, ha posto il tema del
rilancio dell’Autonomia siciliana e, in generale, della questione
siciliana. Di
quegli anni ricordo il tentativo di valorizzare il pensiero
sturziano, coniugandolo con i bisogni di una Sicilia già allora in
affanno.
Mi
piace ricordare il professore Piraino perché, nella sua idea di
rilancio dell’Autonomia siciliana e, in generale, della questione
siciliana – ripeto: anno di grazia 1996 – c’erano tanti temi
che, da ragazzino, sentivo enunciare da mio padre: erano i temi
legati all’esperienza di Piersanti
Mattarella presidente
della Regione: riforma della pubblica amministrazione, ‘trasparenza
amministrativa’, lotta senza quartiere alla mafia e alla mentalità
mafiosa con i fatti e non con le chiacchiere e gli affari (legge
antiracket, con annessi business, e gestione truffaldina dei beni
sequestrati alla mafia).
In
quell’anno ebbi modo di lavorare insieme ad alcune persone che
conoscevo e stimavo (per esempio, Beppe
De Santis,
‘funambolico’ e vulcanico ex sindacalista della Cgil, genio e
sregolatezza e comunque ‘inafferrabile’ per definizione: infatti
è ‘sparito’). Tra le tante persone conosciute ricordo anche il
professore Costa, che forse non faceva parte del gruppo messo su dal
professore Piraino.
Il
professore Costa l’ho incontrato un altro paio di volte. Nei primi
anni del 2000, quando iniziava la sua azione ‘pastorale’ di
autonomista. E poi quando si è candidato alle elezioni comunali di
Palermo. Lo seguo da allora con interesse. Ed è sempre stato in
prima fila in difesa dell’Autonomia.
L’esperienza
di Raffaele
Lombardo –
iniziata nella prima metà del 2000 – sembrava un fatto politico
interessante. Nuovo, no. Chi segue la politica regionale (nel mio
caso la seguo per lavoro dal 1985 e anche da appassionato di storia
dell’Autonomia) sa che ci sono stati tanti tentativi di rilanciare
l’Autonomia siciliana. Il più serio di tutti è stato quello messo
in atto da Giuseppe
Alessi,
il primo presidente della Regione, all’indomani della ‘famigerata’
sentenza della Corte Costituzionale – se non ricordo male, correva
l’anno 1957 – che ‘assorbiva’ le competenze per l’Alta
Corte per la Sicilia.
Una
sentenza abusiva, italiana, da Promessi sposi con un finale scritto
male, che toglieva alla nostra Regione la possibilità di difendersi.
Alessi
diceva che “l’Alta
Corte per la Sicilia era stata sepolta viva”,
perché lo Stato non ha mai avuto il coraggio di abrogarla con una
legge costituzionale. Grazie a Franco
Nicastro –
parlo del giornalista e storico dell’Autonomia siciliana, tra i
principali protagonisti diSicilia
domani,
periodico che è andato in stampa negli anni ’60 e ’70 del secolo
passato – persona che vedo poco, verso la quale nutro tantissima
stima, ho potuto leggere nelle edizioni di Sala d’Ercole di quegli
anni, quello che, sulla ‘sepoltura’ dell’Alta Corte, scriveva
il professore Giuseppe
Montalbano,
giurista, all’epoca esponente di spicco del Pci.
Ma
la cosa più intelligente provò a farla Giuseppe Alessi, che spedì
in Baviera un suo amico. L’ex presidente della Regione, dopo la
discutibile sentenza della Corte Costituzionale, aveva capito che,
senza l’Alta Corte, l’Autonomia siciliana era finita in un
binario morto. Da qui l’idea di costituire una Dc siciliana
federata alla Democrazia Cristiana nazionale. Don
Luigi Sturzo,
che allora era ancora in vita (sarebbe venuto a mancare qualche anno
dopo) era d’accordo? Non lo sapremo mai con certezza.
In
ogni caso, l’idea di una DC siciliana federata allo Scudocrociato
nazionale venne intercettata dai ‘capi’ romani di questo partito.
Sembra – così mi hanno raccontato – da Andreotti,
che con la Sicilia ha sempre avuto un rapporto particolare, ancor
prima che Salvo Lima, dopo essere stato messo alla porta dalla
corrente di Giovanni Gioia, approdasse nella sua corrente. Ai
‘numi tutelari’ romani della DC l’idea ‘antiascarismo’ di
Alessi non andava a genio, vuoi perché i democristiani siciliani, a
Piazza del Gesù, li volevano ‘ascari’, vuoi perché temevano di
non poter controllare Alessi, che in quanto fondatore della DC e
figura autorevole assai, non prendeva ordini da nessuno. Così
i ‘capi’ di quello che allora era partito di maggioranza decisero
di ‘promuovere e rimuovere’ Alessi: l’avrebbero candidato ‘a
vita’ nel collegio senatoriale di Caltagirone-Gela, cioè nel
collegio più sicuro d’Italia. E così fu.
Un
altro politico che ha giocato la carta del rilancio dell’Autonomia,
appena un anno dopo l’abolizione dell’Alta Corte, è stato un
altro democristiano: Silvio
Milazzo. Più
furbo che politicamente intelligente, Milazzo è stati il
protagonista di una stagione politica al chiaroscuro passata alla
storia come ‘Milazzismo’. Un’eterogenea alleanza tra un ‘pezzo’
di DC, monarchici, fascisti, socialisti e comunisti contro la DC
ufficiale. Un’operazione ‘benedetta’ anche da don Luigi Sturzo
contro Amintore
Fanfani,
che all’epoca dei fatti ricopriva la carica di segretario nazionale
della DC, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri. In
pratica, Fanfani era quello che oggi è Renzi (che oggi è un po’
più forte, in proporzione, perché ha dietro la Germania della
signora Merkel, mentre Fanfani, in quanto sostenitore dell’allora
presidente dell’ENI, Enrico
Mattei,
aveva contro mezzo mondo, americani, francesi e ‘Sette sorelle’
in testa: queste ultime erano le multinazionali del petrolio) e mezza
DC lo voleva a tutti i costi ‘sbarellare’.
L’operazione
riuscì, solo che in Sicilia Milazzo decise di continuare
l’avventura, strumentalizzato dal Pci di Emanuele
Macaluso e dall’avvocato Vito Guarrasi, una
coppia che godeva dell’appoggio del ‘Migliore’, al
secolo Palmiro
Togliatti,
segretario nazionale del Pci. Quest’ultimo, con l’operazione
Milazzo – che nella seconda parte era mediata dalla mafia –
s’illudeva di rompere l’unità politica dei cattolici.
L’operazione Milazzo, è noto, finì male per Milazzo e bene per i
personaggi che avevano voluto il secondo e il terzo governo Milazzo:
ci riferiamo a Nino
e Ignazio Salvo,
che durante il ‘milazzismo’ acquisirono il controllo delle
esattorie siciliane, e a un gruppo di imprenditori catanesi che,
trent’anni dopo, sarebbero passati alla storia come ‘I Cavalieri’
dell’Apocalisse’, ovvero i notiCavalieri
del Lavoro di Catania.
Per
completezza di cronaca va detto che i deputati dell’Msi
parteciparono solo al primo governo Milazzo (l’unica cosa da
salvare di quest’esperienza); mentre nei due successivi governi
Milazzo, condizionati dalla mafia, si chiamarono fuori, lasciando il
campo ai monarchici, a qualche socialista ‘inciucione’ e,
soprattutto, al Pci di Macaluso, ma non al Pci di Girolamo
Li Causi e di Pio La Torre,
che erano contrari all’operazione Milazzo e, soprattutto, al
secondo e al terzo governo Milazzo, governi condizionati dai mafiosi.
Negli
anni successivi non sono mancati i tentativi di rilanciare
l’Autonomia siciliana. Ma l’unica esperienza seria è quella
diPiersanti
Mattarella.
Che si è conclusa in modo tragico. Nelle sue memorie, l’onorevole
Salvatore Natoli, figura storica del Partito repubblicano italiano in
Sicilia, assessore del governo Mattarella, tra i tanti particolari,
ricorda che il presidente della Regione, nelle ultime settimane del
1979 (Mattarella verrà trucidato il 6 Gennaio del 1980 a Palermo),
si era recato più volte a Roma. Anche allora – e questo me lo
confermava mio padre che le cose della DC siciliana la conosceva bene
– si vociferava di un nuovo soggetto politico d’ispirazione
cattolica. Difficile, oggi, appurare altri particolari di questa
storia. Ma un fatto è certo: Piersanti Mattarella era perfettamente
cosciente dei problemi del suo partito in Sicilia e sapeva – ad
esempio – che Vito
Cincimino (che
non era solo il responsabile per gli enti locali della Dc di Palermo,
ma era anche ‘altro’, molto ‘altro’) non era un estimatore
della sua azione politica e dell’azione politica di Calogero
Mannino e
di Rosario
Nicoletti,
per citare altri due dirigenti di primo piano della DC siciliana di
quegli anni.
Negli
anni ’80 c’è un timido tentativo di rilancio dell’Autonomia.
Ci prova l’allora deputato regionale Leopoldo
Pullara, in
rottura con il suo partito (il Pri), dando vita al Movimento di
azione per l’Autonomia. Ma è un’operazione ‘pilotata’ a metà
dal Pci siciliano retto in quegli anni da Luigi
Colaianni.
Risultato: un fallimento.
Un
rilancio dell’Autonomia lo si ha con la presidenza di Rino
Nicolosi.
Che paga a caro prezzo il tentativo di liberarsi dalla stretta
‘consociativa’ dell’Assemblea regionale siciliana, permeata da
regolamenti cervellotici e truffaldini che invadevano l’azione del
governo (come le nomine dell’esecutivo che debbono passare dal
vaglio delle commissioni legislative: cosa ancora in parte in atto).
Su alcune cose Nicolosi è un innovativo e un sincero autonomista, in
altre cose gioca in retroguardia: chi scrive, nel 1989, gli chiese:
“Presidente, perché avete abbandonato l’articolo 38 dello
Statuto?”. Risposta: “Se metto in mezzo l’articolo 38 il mio
partito, a Roma, mi blocca una parte dei fondi della legge 64. Non ci
conviene”.
Il
presidente parlava della legge
nazionale n. 64 del 1986, forse
il più importante intervento straordinario in favore del Sud messo
in campo dallo Stato: 120 mila miliardi di vecchie lire che, per i
tre quarti, finiranno in opere pubbliche mediate da grandi aziende
del Nord Italia e dalle mafie, mentre il restante quarto di questo
fondi, negli anni subito successivi a Tangentopoli, verrà utilizzato
per lo stabilimento Fiat nel Basento, in Basilicata.
Che
non è mai stato innamorato del’Autonomia siciliana, pur essendo un
docente universitario di Diritto pubblico regionale, èLeoluca
Orlando.
Nemmeno per un momento, negli anni della Rete, Orlando si occuperà
di Sicilia e di Autonomia. Verrà eletto all’Ars nel 1991. Ma
resterà in Assemblea pochi mesi. Nel 1992 verrà eletto al
Parlamento nazionale. Di lui e del suo disinteresse vero i temi
dell’Autonomia si ricorderanno, forse ‘inconsciamente’, i
siciliani, che nel 2001 gli preferiranno Totò Cuffaro.
Gli
anni ’90, per l’Autonomia siciliana, sono un disastro. Si salva
solo la già citata esperienza del professore Piraino. Il 2000,
invece, è il decennio della rinascita e della caduta. C’è
l’esperienza dei tanti movimenti autonomisti e indipendentisti che
tornano a prendere piede. Forse è a questi movimenti che s’ispira
Raffaele Lombardo, quando, a metà del 2000, lascia l’UDC per
fondare il Movimento
per l’Autonomia.
Esperienza politica, quella di Lombardo, che inizia bene, prosegue
male e finisce peggio, tra clientelismo becero e, soprattutto,
malgoverno. Non possiamo non ricordare una Finanziaria regionale –
assessore all’Economia era Gaetano
Armao –
con oltre 80 norme impugnate. Un disastro politico. Un ‘raro’
esempio di norme raffazzonate-contrattate tra Aula e corridoi. Da
dimenticare.
In
tutti questi anni abbiamo visto il professore Massimo Costa darsi un
gran da fare. Unica figura che riesce quanto meno discutere con i
protagonisti delle infinite sigle dell’Autonomismo e
dell’Indipendentismo siciliano. Detto questo, siamo rimasti stupiti
quando abbiamo visto il professore Costa in coppia con Armao. E
restavamo basiti nel vedere Armao che diventava il ‘leader’, con
il professore Costa messo un po’ in ombra.
Lo
possiamo dire? Ci sembrava una storia già vista. Ma possibile che
ogni cosa politica made in Palermo debba nascere dalla facoltà di
Giurisprudenza del capoluogo siciliano? Abbiamo iniziato con Lauro
Chiazzese.
La Cisl ha preso da questa facoltà Sergio
D’Antoni, Vito Riggio e Luigi Cocilovo.
Per non parlare del già citato Leoluca Orlando che calca la scena
politica dal 1985. E prima di lui c’è Sergio
Mattarella –
docente di Diritto parlamentare sempre in questa facoltà – in
politica dal 1981 e oggi Presidente della Repubblica. Ora si era
presentato Armao – altro docente di questa facoltà – in versione
autonomista-indipendentista.
Ragazzi,
basta! Basta con questa facoltà di Giurisprudenza di Palermo! Anche
perché, a parte Cocilovo – di certo il meno dannoso di questa
‘nidiata’ – non è che questi personaggi abbiano fatto crescere
la nostra sempre più disastrata Isola. Se in Sicilia siamo dove
siamo – e siamo messi male, no? – con rispetto parlando, il
‘merito’ è anche loro. Orlando, che da
trent’anni ‘strumintia’ al
Comune di Palermo, dopo averci regalato migliaia di precari, pur di
far partire tre diseconomiche linee di Tram ci vorrebbe appioppare le
ZTL. Sempre per la cronaca, Orlando e Riggio (che ormai vola alto,
visto che è eterno presidente dell’ENAC) hanno regalato
all’Assemblea regionale siciliana i già citati regolamenti
consociativi dell’Ars (in quegli anni Piersanti Mattarella non
poteva seguire tutto: e queste cose oscene – vere e proprie
‘teratologie’, in bilico tra Diritto & Parlamento
blocca-governi – debbono essergli sfuggite). Mentre Sergio
Mattarella, se debbo essere sincero, non mi ha mai fatto sognare.
Insomma
almeno l’Indipendentismo facciamolo in modo diverso!
Giulio Ambrosetti
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