3 nov 2016

REFERENDUM..si voterà a Dicembre?



di vincenzo cacopardo
Siamo ancora appesi alla decisione del tribunale civile di Milano, verso cui il presidente emerito della Corte Costituzionale Onida ha  sollevato una questione di legittimità costituzionale su un quesito che ammette solo un Sì o un No. Il quesito.. apparendo multiplo e omogeneo, pone una più variegata mole di domande. Si parla quindi di una richiesta di un possibile «spacchettamento», di cui si è già molto parlato.

L'ex presidente della Corte, fa riferimento alla legge del 1970 ( quella che istituisce il referendum) affermando che andrebbe corretta, poichè non prevede l'obbligo di formulare più quesiti in presenza di diversi temi.. violando la libertà di voto.

L'attesa per la decisione del Tribunale è persino snervante e, ove il Tribunale la accogliesse le ragioni di Onida, potrebbe persino giovare al premier Renzi in considerazione del fatto che i pronostici danno avanti il fronte del NO. Renzi otterrebbe uno slittamento ed il tempo necessario per riprendere fiato e spingere il SI. Naturalmente il Paese, seppure in fibrillazione, comincia ad essere stanco di questi continui slittamenti.

Ricordiamo che detta riforma e nata con un disegno di legge presentato dal governo Renzi il 18 aprile 2014 ( Quando la Corte Costituzionale aveva già emesso la sentenza depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2014).

Detta riforma, aspramente avversata dalle opposizioni parlamentari e da alcuni giuristi, è stata approvata con una maggioranza inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna camera: di conseguenza, come prescritto dall'articolo 138 della Costituzione, il provvedimento non è stato promulgato direttamente, essendo prevista la facoltà di richiedere un referendum per sottoporlo al giudizio degli elettori.



Per meglio comprendere... poniamo all'attenzione degli elettori le ultime righe della sentenza della Corte che dovrebbero far riflettere sull'opportunità di procedere verso una riforma che stravolge 47 articoli della Costituzione


È evidente che la decisione che si assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere.”

Vale appena ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio «che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della cosi detta “retroattività” di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984).”

Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti. Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.

Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento.”

È pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.).

Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica);
3) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2013. Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2014.


Osservazioni

la Corte chiarisce – richiamando la propria giurisprudenza - che il termine “retroattività”, riferito alle sentenze di accoglimento, vale unicamente per i rapporti pendenti, “con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida”. Sicché, la sentenza di annullamento della legge elettorale non incide in alcun modo sugli atti posti in essere “in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto”.
Ne consegue, che le consultazioni elettorali già svolte, ancorché in applicazione di una legge poi dichiarata incostituzionale, costituiscono un fatto concluso e pertanto nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione “neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali”.

A tal proposito, non sembra inutile ricordare che in base a quanto stabilito nell’art. 136 della Costituzione “quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente valore di legge la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Si tratta, dunque, di una efficacia pro futuro che riguarda, vale a dire, solo i rapporti che si sono realizzati dopo la pubblicazione della sentenza di incostituzionalità.


Non si dubita della circostanza che durante il regime di prorogatio le Camere, seppur non più pienamente rappresentative del corpo elettorale, mantengano, comunque, funzioni relative alla ordinaria amministrazione, compresi gli atti di controllo politico sul Governo e di garanzia costituzionale, ma se le Camere, dopo una simile sentenza, possano o no dare vita legittimamente ad un processo di riforma della Carta fondante non rendendo di contro alla stessa la dovuta necessaria garanzia. 

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